Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Cartelli e servizi di trasporto – La Corte di Giustizia conferma le sanzioni di oltre 160 milioni imposte dalla Commissione agli spedizionieri internazionali

Con le sentenze pubblicate lo scorso 1 febbraio, la Corte di Giustizia (CdG) ha rigettato i ricorsi presentati da varie società che nel 2012 erano state sanzionate dalla Commissione europea (Commissione) per un totale di € 169 milioni per aver posto in essere quattro infrazioni delle regole di concorrenza nel mercato dei servizi di trasporto aereo internazionale di merci. In particolare, la Commissione aveva accertato il coordinamento di alcune imprese attive nella fornitura di servizi di spedizione nella fissazione di diversi meccanismi di tariffazione e maggiorazioni.

In particolare, la Commissione aveva ritenuto che (i) alcune imprese indagate avessero concordato di introdurre una maggiorazione per la compilazione delle dichiarazioni richieste dal nuovo sistema di esportazione (c.d. “new export system” o NES, che riguardava un sistema di pre-sdoganamento per le esportazioni) dal Regno Unito verso i Paesi esterni; (ii) alcuni spedizionieri si fossero coordinati per l’introduzione di una maggiorazione applicabile al sistema di comunicazione avanzata della merce da spedire (c.d. “advanced manifest system” o AMS, che impone alle società di fornire dati preliminari sulle merci che intendono spedire verso gli Stati Uniti); (iii) sussistesse un’intesa riguardante il meccanismo di adeguamento valutario (c.d. “currency adjustment factor” o CAF) diretta a trovare un accordo su una strategia tariffaria comune che consentisse di far fronte al rischio di una diminuzione degli utili in seguito alla decisione della banca centrale cinese nel 2005 di non collegare più la moneta cinese al dollaro statunitense. In particolare, gli spedizionieri per la Commissione avevano deciso di introdurre una maggiorazione CAF fissandone al contempo l’importo; e infine (iv) sussistesse un’intesa relativa alla maggiorazione per alta stagione (c.d. “peak season surcharge” o PSS) sull’applicazione di un coefficiente di adeguamento temporaneo dei prezzi. Tale accordo sarebbe stato teso a proteggere i margini degli spedizionieri coinvolti.

Nel 2016 il Tribunale dell’UE aveva confermato le decisioni assunte dalla Commissione e le imprese coinvolte avevano dunque deciso di adire la CdG. Quest’ultima, con la sentenza in commento, ha confermato in ultima istanza le valutazioni espresse dalla Commissione. In particolare, la CdG ha ritenuto che:

(i) quanto all’accordo sul sistema NES (che come detto incideva sulle esportazioni dal Regno Unito verso i paesi che non facevano parte dello Spazio Economico Europeo (SEE)), la Commissione avesse correttamente concluso che esso avesse effetti sul commercio tra Stati membri, nella misura in cui il mercato rilevante in questione era quello dei servizi di trasporto aereo di merci e non invece un mercato più circoscritto avente ad oggetto esclusivamente il singolo elemento del sistema NES specificatamente oggetto dell’accordo anticoncorrenziale. Infatti, secondo un consolidato orientamento una condotta anticoncorrenziale impatta lo SEE ogniqualvolta vi sia un sufficiente grado di probabilità che detta pratica abbia influenzato direttamente o indirettamente (anche a livello potenziale e non attuale) le dinamiche del commercio tra Stati membri. Nel caso di specie, i servizi in questione non erano forniti solo nel Regno Unito ma anche negli altri Stati ed il Tribunale aveva correttamente ritenuto che fosse “sufficientemente probabile” che l’accordo in questione avesse avuto ripercussioni sulle condotte di altri operatori anche in altri Stati membri;

(ii) la Commissione non avesse errato nel calcolare l’importo delle sanzioni sulla base del fatturato generato dai servizi di spedizione nel loro complesso (intesi come “pacchetto di servizi”, coerentemente alla definizione del mercato del prodotto rilevante), piuttosto che sulla base dei singoli meccanismi di prezzo oggetto di ciascuno dei quattro accordi anticoncorrenziali accertati. E ciò nella misura in cui il punto 13 delle linee guida sul calcolo delle sanzioni della Commissione del 2006 (Linee Guida) prevedono che a tal fine debba prendersi in considerazione “…il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l'infrazione direttamente o indirettamente si riferisce…” (i.e. quello dei servizi di trasporto merci). Di contro le Linee Guida non prevedono che il valore delle vendite rilevante debba essere “aggiustato” in modo da riflettere il pregiudizio economico determinato dalle infrazioni, e non può neanche ritenersi l’importo della sanzione, per ciò solo, non proporzionato. Il Tribunale aveva quindi correttamente ritenuto che fosse appropriato fondare il calcolo dell’importo delle ammende sul valore delle vendite relative ai servizi di spedizione, in quanto “lotto di servizi” sulle tratte commerciali interessate;

(iii) la Commissione non avesse errato nel calcolare l’importo delle sanzioni utilizzando lo stesso metodo anche per le società che avevano agito principalmente come intermediari per la fornitura dei servizi in questione, nella misura in cui ciò non viola il principio di parità di trattamento;

(iv) la Commissione non aveva ecceduto i limiti della propria discrezionalità nel ritenere responsabili le società controllanti per le condotte delle proprie controllate che avevano partecipato alle intese anticoncorrenziali, senza tuttavia perseguire le medesime società controllanti. A tal riguardo, la CdG ha confermato la validità dell’approccio tenuto dalla Commissione (confermato dal Tribunale) quando aveva ritenuto di non estendere soggettivamente il procedimento anche nei confronti delle società controllanti, stante il già consistente numero di soggetti coinvolti, e l’ingente dispendio di risorse e di lavoro che ciò avrebbe comportato.

Con le sentenze in commento, la CdG ha in primo luogo confermato il principio che anche condotte poste in essere fuori dallo SEE sono passibili di essere sanzionate ai sensi dell’art. 101 TFEU, ove sia comunque probabile la generazione di effetti anche sulle dinamiche concorrenziali del mercato interno. Inoltre, pur confermando il consolidato orientamento secondo cui le società controllanti possono essere ritenute solidalmente responsabili per condotte concretamente poste in essere dalle proprie controllate (nei limiti in cui non sia vinta la presunzione esistente di una loro influenza determinante sulla condotta delle controllate), la CdG ha anche ricordato l’ampia discrezionalità di cui gode la Commissione (e le autorità nazionali) nello scegliere o meno di estendere il procedimento amministrativo anche nei loro confronti. Così, sembra permanere tuttavia un’aurea di incertezza per le imprese, che – secondo quanto confermato anche in questa sede dalla CdG, forse in modo non del tutto convincente – potrebbe essere connesso anche solo al mero numero di parti già coinvolte in un’indagine e dalle risorse che la Commissione è (o non è in grado) di impiegare nello svolgimento della stessa.

Cecilia Carli
----------------------------------------------------------------------

Diritto della concorrenza Italia / Concentrazioni e prodotti cosmetici di lusso – L’AGCM autorizza con condizioni  l’acquisizione del controllo di Limoni S.p.a. e La Gardenia S.p.A. da parte del gruppo CVC

Con il provvedimento pubblicato lo scorso 22 gennaio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha autorizzato con condizioni l’acquisizione da parte del gruppo CVC Capital Partners SICAV-FIS S.A., per il tramite di Profumerie Douglas S.p.A. (Douglas), del controllo esclusivo di Limoni S.p.A. e La Gardenia Beauty S.p.A. (tutte considerate, le Parti). La decisione è stato adottata al termine della c.d. fase II di istruttoria piena, deliberata dall’AGCM il 13 novembre scorso (si veda sul punto la Newsletter del 20 novembre). L’AGCM era diventata competente a decidere sull’operazione, nonostante quest’ultima fosse di dimensione comunitaria per il superamento delle soglie di fatturato previste dal Regolamento UE n. 139/2004, a seguito del rinvio della Commissione europea, su richiesta delle Parti, in quanto l’operazione avrebbe dispiegato i propri effetti unicamente in Italia.

L’AGCM ha delimitato il mercato del prodotto all’attività di distribuzione selettiva al dettaglio di profumi e cosmetici di lusso. L’AGCM, forte di una consolidata casistica in materia, ha considerato il mercato della vendita al dettaglio di cosmetici e profumi di lusso  distinto da quello della distribuzione di beni destinati al consumo di massa. I primi, infatti, sulla base di alcune caratteristiche quali il prezzo, la qualità nonché l’esposizione, la presentazione e l’assistenza alla vendita, non sono ritenuti sostituibili rispetto a ai beni di massa. Sempre sul punto, l’AGCM ha rilevato altresì come i prodotti di lusso siano venduti in punti vendita (pv) che devono soddisfare i requisiti, sia di natura qualitativa che quantitativa, che vengono individuati dai fornitori (quali Dior, Chanel, ecc.) per le proprie reti di distribuzione selettiva.

Il mercato in parola è caratterizzato dalla presenza di poche catene multibrand nazionali (tra cui Douglas, Limoni e La Gardenia, Sephora e i corner di profumeria di department store Coin e La Rinascente), di alcune catene di profumerie multibrand locali e da un numero elevato di piccole profumerie indipendenti. Tuttavia, le catene locali e le profumerie indipendenti, nonostante distribuiscano prodotti di lusso comparabili, sono stati considerati come concorrenti meno prossimi rispetto alle catene nazionali in quanto hanno una minore leva negoziale in sede di contrattazione con i fornitori dei prodotti selettivi a monte. Inoltre, non possono conseguire benefici derivanti dall’operare sotto un’insegna forte e nota a livello nazionale.

L’AGCM si è inoltre soffermata sull’analisi del canale online, che è risultato tuttavia avere un peso molto marginale (l’e-commerce rappresenterebbe meno del 3% dei consumi complessivi di cosmetici in Italia). Proprio sul punto, l’AGCM ha ritenuto altresì di escludere che la vendita online possa avere uno sviluppo significativo anche alla luce della recente sentenza Coty, che ha ritenuto compatibili con l’art. 101 TFUE, nell’ambito di sistemi di distribuzione selettiva, le restrizioni alle vendite online di cosmetici e profumi di lusso sulle piattaforme telematiche (si veda sul punto la Newsletter dell’11 dicembre scorso).

Passando al mercato geografico, l’AGCM ha individuato 39 mercati locali. Nell’individuazione delle aree locali in cui si realizza la competizione tra profumerie selettive, l’AGCM non si è fermata ad individuare, in linea con la prassi comunitaria in materia, i territori coincidenti con le aree site intorno ai pv delle Parti, percorribili in 20 minuti di tragitto di macchine (c.d. isocrone). Infatti, in fase di istruttoria, l’AGCM ha individuato l’effettivo bacino di utenza (c.d. catchment area) dei pv dell’acquirente, analizzando la disponibilità allo spostamento dei clienti in possesso di carte fedeltà. Infatti, per ciascuno dei 39 pv Douglas posti al centro dei mercati interessati, l’AGCM ha considerato la loro distanza, in termini di percorrenza in auto, dall’indirizzo di residenza di ogni cliente in possesso di carta fedeltà.

All’interno dei mercati così delineati, per calcolare le quote di mercato degli operatori, l’AGCM ha utilizzato il valore delle vendite realizzate presso i pv e non, come suggerito dalle Parti, il numero di pv, in quanto il fatturato medio per pv delle diverse categorie di profumerie cambia in misura significativa.

In tale contesto, a valle dell’operazione, Douglas avrebbe disposto di un “…notevole potere di mercato con quote di mercato elevate e superiori al 45% in 15 dei 39 mercati locali…in quasi la metà [di questi] sarà presente con quote che si assestano al di sopra del 60%...”.

Nel corso dell’istruttoria, Douglas aveva proposto inizialmente alcune misure correttive. In particolare, aveva previsto la cessione di 8 pv di Limoni e La Gardenia, nonché si era impegnata a cedere 16 pv facente parti della rete distributiva delle Parti. Tuttavia, l’AGCM aveva ritenuto tali misure (eccetto una) non idonee. Tra i diversi motivi, l’AGCM ha rilevato come le misure prospettate dalla Parte riguardassero ipotesi di cessione di 16 pv che insistevano nel complesso solo su 9 aree problematiche dal punto di vista concorrenziale.

Per dare il via libera all’operazione, l’AGCM ha quindi individuato ulteriori misure rispetto a quelle inizialmente proposte. In particolare, ha condizionato l’autorizzazione dell’operazione alla cessione, da parte di Douglas, ad un soggetto terzo e indipendente, del controllo di una serie di pv individuati nelle restanti 14 aree critiche, così da fare in modo che la quota di mercato detenuta dalle parti post merger non superasse il 45% (ossia la soglia di criticità individuata dall’AGCM).

Jacopo Pelucchi
-------------------------------------------------------------------

Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e trasporto pubblico locale – Il Tar Lazio conferma la sanzione di € 3.600.000 irrogata dall’AGCM per pratiche commerciali scorrette poste in essere da Atac

Con sentenza pubblicata lo scorso 30 gennaio, il Tar Lazio ha respinto il ricorso presentato da Atac S.p.A. (Atac) avverso il provvedimento  n. 26710 del 25 luglio 2017 con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva comminato nei confronti della ricorrente una sanzione di importo pari a € 3.600.000 euro per alcune pratiche commerciali scorrette (ex artt. 20.2, 21 e 22 del Codice del Consumo). Tali pratiche, in particolare, avevano riguardato il mancato rispetto dell’orario diffuso presso le stazioni e sul sito internet della società relativo all’offerta di trasporto, anche a seguito della “sistematica e persistente” soppressione  - senza adeguata tempestiva comunicazione - di numerose corse sulle tratte Roma – Lido Ostia, Roma - Giardinetti – Pantano e Roma – Civita Castellana Viterbo, che aveva così determinato la realizzazione di un’offerta di trasporto diversa e inferiore (dal punto di vista qualitativo e quantitativo) a quella indicata nel contratto di servizio stipulato con la Regione Lazio.

Ad avviso dell’AGCM, la condotta di Atac era tale da essere considerata idonea ad ingannare il consumatore rispetto all’effettiva disponibilità del servizio e a falsarne il comportamento economico (circa le modalità di trasporto da utilizzare).

Con il primo motivo di ricorso, Atac ha sostenuto che la normativa sopra richiamata non tutelasse i consumatori anche in merito all’adeguatezza del livello di servizio reso nei loro confronti; sul punto, la sentenza in commento chiarisce che le prerogative dell’AGCM sono riconducibili alla tutela del consumatore e, pertanto, ricomprendono anche le valutazioni relative alla modalità di gestione dei servizi resi (stante anche la rilevanza dell’interesse coinvolto). Il Tar ha, inoltre, ricordato che un’omissione è ingannevole laddove ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale (che, in assenza di tale omissione, non avrebbe preso).

Il Tar ha respinto anche il secondo motivo di ricorso afferente al difetto assoluto di competenza dell’AGCM circa la sindacabilità da parte di quest’ultima del servizio reso al pubblico da Atac, spettando tale valutazione (ad avviso della ricorrente) all’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART). Tuttavia, il Collegio ha sottolineato come già la stessa ART, nel corso dell’istruttoria, avesse dichiarato la propria incompetenza in materia, potendo conoscere solo delle condotte adottate dalle imprese attive nei servizi di trasporto munite della relativa licenza (tra cui non rientra Atac, essendo subentrata a Met.ro S.p.A. nello svolgimento del servizio di trasporto pubblico ferroviario, senza, per l’appunto, detenere l’apposita licenza).

Rigettando il terzo motivo di ricorso, il Tar ha precisato che, indipendentemente dalle rimodulazioni intervenute successivamente, la soppressione delle corse ha pregiudicato l’attendibilità informativa dell’orario pubblicato da Atac, che è stato, di conseguenza, disatteso; tale circostanza rappresenta un elemento di peculiare tutela nel settore dei trasporti, in quanto l’utente – consumatore, sulla base delle informazioni a disposizione, può decidere di modificare la propria scelta per raggiungere un più elevato livello di soddisfazione.

E proprio tale carenza di diligenza da parte di Atac nel non rendere edotto tempestivamente il consumatore delle rimodulazioni del servizio di trasporto effettivamente offerto (non mettendolo, quindi, in condizione di poter valutare un sistema di trasporto alternativo) rende vane anche le giustificazioni addotte dalla società nel quarto motivo di ricorso (tra cui l’intervento, a partire dal 2015, della spending review), che sono state, di fatto, smentite dalle risultanze istruttorie.

Con il quinto motivo di ricorso, Atac aveva lamentato la mancata considerazione da parte dell’AGCM delle circostanze attenuanti, tra cui l’interruzione della condotta, che, come oramai consolidato in giurisprudenza, non è sufficiente ad ottenere una riduzione della sanzione, non trattandosi propriamente di un ravvedimento operoso.

Il Tar ha, quindi, confermato la quantificazione dell’importo sanzionatorio irrogato dall’AGCM, in considerazione dell’importanza dell’operatore di mercato (e della specifica responsabilità, alla luce del numero di utenti a cui si rivolge la sua attività), nonché della gravità e durata dell’infrazione (circa 6 anni), anche indipendentemente dall’intenzionalità della condotta rivelatasi ingannevole.

Filippo Alberti
-----------------------------------------------------------------

Nozione di consumatore e giudice competente - I principi che regolano la nozione di consumatore e l’individuazione del giudice competente nella recente decisione della Corte di Giustizia nei confronti di Facebook

Con decisione dello scorso 25 gennaio, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CdG) ha precisato il contenuto di alcune nozioni classiche di diritto comunitario, sia sostanziale, quale quella di consumatore, sia processuale, sul foro esclusivo del domicilio del consumatore. La decisione è destinata sicuramente ad aver risonanza a livello nazionale per alcuni suoi passaggi che verranno illustrati nel prosieguo.

Il casus belli è quello promosso da un utente austriaco (M.S.) di Facebook proprio nei confronti del famoso social network, finito dinnanzi alla Corte Suprema austriaca e, quindi alla CdG invocata dalla prima in sede di rinvio pregiudiziale.

M.S., un acerrimo avversatore di Facebook e accanito sostenitore della tutela della privacy, dopo aver utilizzato per soli fini privati e sotto un falso nome un account Facebook sin dal 2008, aveva intrapreso una serie di azioni legali nei confronti di Facebook, reo secondo M.S. di violare la riservatezza dei dati personali suoi e degli utenti.

Nel 2011, M.S. apriva anche una pagina pubblica Facebook all’interno della quale informava gli utenti internet delle sue azioni legali nei confronti di Facebook, delle sue conferenze, delle partecipazioni a dibattiti e dei suoi interventi nei media, nonché presentava richieste di donazioni e promuoveva i suoi due libri sulle vicende che lo riguardavano.

M.S. ha, inoltre, fondato un’associazione con lo scopo di promuovere la tutela del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali e ha ottenuto la cessione, da parte di oltre 25000 persone in tutto il mondo, dei loro diritti al fine di farli valere collettivamente nella causa oggetto della decisione della CdG qui in commento.

Le questioni sulle quali la CdG è stata chiamata a pronunciarsi sono due: 1) se la nozione di consumatore si estenda sino a coprire un utilizzatore di un account Facebook privato che utilizzi Facebook anche per finalità professionali e 2) se il foro speciale del domicilio del consumatore possa essere invocato anche nel caso in cui un consumatore agisca in giudizio per far valere in modo collettivo diritti simili oggetto di cessione da parte di altri consumatori, domiciliati in altri stati membri o stati terzi.

Secondo la CdG, la nozione di consumatore rilevante ai fini dell’individuazione del giudice competente deve essere interpretata “…restrittivamente facendo riferimento alla posizione di tale persona in un determinato contratto, in relazione alla natura ed alla finalità di quest’ultimo, e non invece alla situazione soggettiva di quella stessa persona, potendo un solo e medesimo soggetto essere considerato un consumatore nell’ambito di determinate operazioni ed un operatore economico nell’ambito di altre…”.

La CdG ha quindi precisato che soltanto i contratti conclusi all’unico scopo di soddisfare le necessità di consumo privato proprie di un individuo, rientrano nel particolare regime sulla competenza in materia di tutela del consumatore, in quanto parte ritenuta debole. Più in particolare, nel caso di un contratto per un uso che si riferisca in parte anche ad un’attività professionale, per poter beneficare del regime speciale, il collegamento del contratto con l’attività professionale dell’interessato dovrà essere talmente tenue da divenire marginale e assumere un ruolo trascurabile nel contesto dell’operazione, considerata nel suo complesso, per la quale il contratto è stato stipulato, in questo caso il contratto avente ad oggetto l’apertura di un account e una pagina Facebook.

Proprio alla luce di questi principi la CdG ha escluso che l’utilizzatore di un account privato o di una pagina Facebook possa perdere la qualità di consumatore allorché pubblichi libri, tenga conferenze, gestisca siti Internet, raccolga donazioni e si faccia cedere diritti da numerosi consumatori al fine di far valere in giudizio tali diritti. Una diversa interpretazione che escludesse tali attività si risolverebbe, infatti, nell’impedire una tutela effettiva dei diritti di cui i consumatori dispongono nei confronti delle loro controparti professionali, compresi quelli relativi alla protezione dei loro dati personali.

Infine, sulla seconda questione, la CdG ha precisato che una cessione dei crediti non può incidere sulla determinazione ex lege del giudice competente, non potendo essere presupposto per l’individuazione di un nuovo foro specifico per far valere diritti dei consumatori domiciliati altrove. Infatti, le norme sulla competenza devono presentare un alto grado di prevedibilità ed articolarsi intorno al principio cardine della competenza del giudice del domicilio del convenuto, la quale deve valere in ogni ipotesi, salvo in alcuni casi rigorosamente determinati, che devono essere interpretate restrittivamente, nel senso che non possono dare luogo ad un’interpretazione che vada oltre le ipotesi espressamente previste.

Mario Cistaro