Newsletter
Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE / Antitrust e gare d’appalto – Per la Corte di Giustizia la sottoscrizione di due offerte in una gara d’appalto da parte del medesimo rappresentante generale non può essere considerato automaticamente un indice di collusione
Con la sentenza dello scorso 8 febbraio la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG), pronunciatasi su un rinvio pregiudiziale sollevato dal TAR Calabria in una controversia in cui Loyd’s London (Lloyd) contestava la decisione dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria (Arpcal) di escludere due syndacates membri di Loyd dalla partecipazione ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi assicurativi, ha ritenuto che il solo fatto che le rispettive offerte fossero state entrambe sottoscritte dal rappresentante generale di Lloyd non poteva essere considerato automaticamente un indice di collusione e, dunque, causa di esclusione dalla gara.
Ripercorrendo brevemente i fatti approdati dinanzi alla CdG, nel 2015 Arpcal aveva indetto una procedura per l’aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi assicurativi per la copertura del rischio derivante da responsabilità civile di tale agenzia, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Due sindacati facenti parte di Lloyd avevano presentato le proprie offerte, sottoscritte entrambe dal procuratore speciale del rappresentante generale per l’Italia di Lloyd. Arpcal aveva quindi escluso i due sindacati adducendo la violazione dell’articolo 38 del Codice degli appalti (che prevede che siano esclusi i soggetti che si trovino rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 c.c. o qualsiasi altra relazione, anche di fatto, che comporti che le offerte siano imputabili ad un unico centro decisionale). Lloyd aveva presentato ricorso avverso tale decisione ed il TAR Calabria aveva censurato tali decisioni riammettendo i sindacati alla procedura. Tuttavia, Arpcal aveva nuovamente escluso i due sindacati, questa volta dopo avere valutato che le offerte tecniche ed economiche erano state presentate, formulate e sottoscritte dalla medesima persona, sostenendo che vari elementi (tra cui l’identicità dei moduli, l’unicità della firma, la numerazione progressiva dei valori bollati delle due offerte, l’identicità delle diciture e dichiarazioni) deponessero nel senso dell’imputazione a un unico centro decisionale di entrambe le offerte. E ciò risultava nella violazione dei principi di segretezza delle offerte, della leale concorrenza e della parità di trattamento tra gli offerenti.
La decisione veniva quindi impugnata innanzi al TAR ed il giudice del rinvio si è chiesto dunque se la normativa italiana fosse conforme ai principi generali dell’UE e se la sottoscrizione da parte di una stessa persona di più offerte presentate da diversi offerenti fosse atta a compromettere l’autonomia e la segretezza delle offerte e ledere perciò il principio di leale concorrenza, ed in particolare l’art. 101 TFUE.
La CdG ha dapprima ricordato che la Direttiva 2004/18/CE (che riporta le cause di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione ad un appalto pubblico) non prevede una simile causa di esclusione, diretta ad evitare qualsiasi rischio di collusione tra entità aderenti ad una stessa organizzazione, bensì solo cause di esclusione connesse alle qualità professionali degli interessati. Tuttavia, ciò non preclude agli Stati membri di stabilire in aggiunta norme sostanziali dirette a garantire – specie in materia di appalti – il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza.
Ciò detto, la CdG ha proseguito ricordando che una normativa come quella in questione, atta a scongiurare ogni possibile collusione ad una procedura d’appalto, non può eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito. Per la CdG, l’esclusione automatica di candidati va al di là quanto necessario per prevenire comportamenti collusivi. Una simile esclusione infatti genera una presunzione assoluta d’interferenza reciproca nelle rispettive offerte di imprese legate da una situazione di controllo o collegamento, escludendo la possibilità di tali imprese di dimostrare l’indipendenza delle loro offerte. Pertanto, il mero fatto che le offerte siano sottoscritte dalla stessa persona non può per la CdG giustificare una esclusione automatica, in quanto aver preso conoscenza del contenuto delle offerte non dimostra di per sé che i syndacates si siano accordati quanto al contenuto delle rispettive offerte. Di contro è necessario che l’amministrazione escluda gli offerenti solo ove essa constati “sulla base di elementi incontestabili” che le loro offerte non sono formulate in maniera indipendente.
La parola tornerà dunque adesso ai giudici del rinvio, che dovranno verificare se le offerte siano o meno state di fatto formulate in maniera indipendente.
Cecilia Carli
-------------------------------------------------------------------
Ripercorrendo brevemente i fatti approdati dinanzi alla CdG, nel 2015 Arpcal aveva indetto una procedura per l’aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi assicurativi per la copertura del rischio derivante da responsabilità civile di tale agenzia, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Due sindacati facenti parte di Lloyd avevano presentato le proprie offerte, sottoscritte entrambe dal procuratore speciale del rappresentante generale per l’Italia di Lloyd. Arpcal aveva quindi escluso i due sindacati adducendo la violazione dell’articolo 38 del Codice degli appalti (che prevede che siano esclusi i soggetti che si trovino rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 c.c. o qualsiasi altra relazione, anche di fatto, che comporti che le offerte siano imputabili ad un unico centro decisionale). Lloyd aveva presentato ricorso avverso tale decisione ed il TAR Calabria aveva censurato tali decisioni riammettendo i sindacati alla procedura. Tuttavia, Arpcal aveva nuovamente escluso i due sindacati, questa volta dopo avere valutato che le offerte tecniche ed economiche erano state presentate, formulate e sottoscritte dalla medesima persona, sostenendo che vari elementi (tra cui l’identicità dei moduli, l’unicità della firma, la numerazione progressiva dei valori bollati delle due offerte, l’identicità delle diciture e dichiarazioni) deponessero nel senso dell’imputazione a un unico centro decisionale di entrambe le offerte. E ciò risultava nella violazione dei principi di segretezza delle offerte, della leale concorrenza e della parità di trattamento tra gli offerenti.
La decisione veniva quindi impugnata innanzi al TAR ed il giudice del rinvio si è chiesto dunque se la normativa italiana fosse conforme ai principi generali dell’UE e se la sottoscrizione da parte di una stessa persona di più offerte presentate da diversi offerenti fosse atta a compromettere l’autonomia e la segretezza delle offerte e ledere perciò il principio di leale concorrenza, ed in particolare l’art. 101 TFUE.
La CdG ha dapprima ricordato che la Direttiva 2004/18/CE (che riporta le cause di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione ad un appalto pubblico) non prevede una simile causa di esclusione, diretta ad evitare qualsiasi rischio di collusione tra entità aderenti ad una stessa organizzazione, bensì solo cause di esclusione connesse alle qualità professionali degli interessati. Tuttavia, ciò non preclude agli Stati membri di stabilire in aggiunta norme sostanziali dirette a garantire – specie in materia di appalti – il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza.
Ciò detto, la CdG ha proseguito ricordando che una normativa come quella in questione, atta a scongiurare ogni possibile collusione ad una procedura d’appalto, non può eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito. Per la CdG, l’esclusione automatica di candidati va al di là quanto necessario per prevenire comportamenti collusivi. Una simile esclusione infatti genera una presunzione assoluta d’interferenza reciproca nelle rispettive offerte di imprese legate da una situazione di controllo o collegamento, escludendo la possibilità di tali imprese di dimostrare l’indipendenza delle loro offerte. Pertanto, il mero fatto che le offerte siano sottoscritte dalla stessa persona non può per la CdG giustificare una esclusione automatica, in quanto aver preso conoscenza del contenuto delle offerte non dimostra di per sé che i syndacates si siano accordati quanto al contenuto delle rispettive offerte. Di contro è necessario che l’amministrazione escluda gli offerenti solo ove essa constati “sulla base di elementi incontestabili” che le loro offerte non sono formulate in maniera indipendente.
La parola tornerà dunque adesso ai giudici del rinvio, che dovranno verificare se le offerte siano o meno state di fatto formulate in maniera indipendente.
Cecilia Carli
-------------------------------------------------------------------
Intese e accesso agli atti – Il Tribunale dell’Unione europea conferma la decisione della Commissione di rigettare la richiesta di accesso all’indice analitico del fascicolo presentata da Edeka
Con la sentenza pubblicata il 5 febbraio scorso, il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) ha respinto il ricorso di Edeka-Handelsgeesellschaft Hessenring mgH (Edeka o la Ricorrente), società attiva principalmente in Germania nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio dei prodotti alimentari, avverso la decisione con cui la Commissione europea (Commissione) le negava l’accesso ad alcuni documenti contenuti nel fascicolo istruttorio di un procedimento, ancora in corso, per violazione dell’art. 101 TFUE.
I fatti oggetto della sentenza in commento sono i seguenti. Nel 2013, in un caso relativo ad un asserito cartello nel settore dei derivati sui tassi di interesse in euro, la Commissione aveva concluso il procedimento, con quattro delle banche coinvolte, con una transazione (c.d. settlement decision). Nel 2014, quando l’indagine nei confronti delle banche che non avevano deciso di transigere era ancora in corso, Edeka chiedeva alla Commissione di accedere, ai sensi del Regolamento n. 1409/2001 (il regolamento relativo all’accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni europee) al fascicolo istruttorio. La Commissione respingeva la richiesta, fondando il diniego nell’esigenza di tutelare gli interessi commerciali delle imprese coinvolte, con gli obiettivi delle attività ispettive e di indagine, nonché nelle modalità di svolgimento del processo decisionale della Commissione stessa. Edeka chiedeva quindi, quantomeno, l’accesso all’indice analitico del fascicolo di tale procedimento. Ancora una volta, la Commissione respingeva la richiesta di Edeka (la Decisione). Infatti, secondo la Commissione, la divulgazione pubblica anche solo di tale documento avrebbe rischiato di compromettere le indagini in corso e di violare le norme sulla riservatezza, i diritti della difesa e gli interessi commerciali delle parti interessate dall’indagine.
Nell’impugnare la Decisione, Edeka affermava che il totale rifiuto ad accedere all’indice analitico si ponesse in violazione del Regolamento n. 1049/2001, in quanto le eccezioni all’accesso ai documenti delle istituzioni europee devono essere interpretate restrittivamente. Inoltre, dato che la richiesta verteva su un solo documento specificamente indicato, la Commissione non avrebbe potuto applicare una presunzione generale di riservatezza, ritenendo che per tale documento fosse necessario un bilanciamento, caso per caso, dei diversi interessi che giustificano la comunicazione o la protezione di tale documento e che, pertanto, la Commissione avrebbe dovuto esporre chiaramente le ragioni del diniego.
Con la sentenza in commento, il Tribunale ha respinto tali argomentazioni. Innanzitutto, il Tribunale ha rilevato come dalla sua stessa giurisprudenza “…non emerge che la presunzione generale di diniego di accesso si applichi solamente allorché la domanda di accesso verte sull’intero fascicolo…”. Infatti, a prescindere dal numero di documenti oggetto della domanda, l’accesso ai documenti di un procedimento antitrust non può essere concesso senza tenere conto delle stesse regole sul trattamento delle informazioni ottenute nell’ambito di tale procedimento.
Il Tribunale ha riconosciuto che l’indice analitico del fascicolo, indicando, tra le altre cose, tutti i documenti contenuti nello stesso (fornendone il titolo) e permettendo di osservare tutte le misure adottate dalla Commissione nel procedimento, contiene informazioni pertinenti e precise relative al contenuto del fascicolo e può, “…al pari dei documenti veri e propri, arrecare pregiudizio agli interessi tutelati dalle eccezioni […] del regolamento n. 1409/2001, nella misura in cui essa si risolva nel portare a conoscenza di un terzo informazioni commercialmente sensibili o informazioni sull’indagine in corso…”.
Infine, il Tribunale ha respinto altresì l’argomentazione, presentata da Edeka, circa l’esistenza di un interesse pubblico prevalente all’accesso all’indice analitico al fine di valutare la possibilità di promuovere un’azione per il risarcimento dei danni. Infatti, secondo il Tribunale, Edeka non avrebbe dimostrato la propria necessità di accedere a quel determinato documento del fascicolo istruttorio (necessaria affinché la Commissione possa bilanciare, caso per caso, gli interessi che giustificano la divulgazione o la protezione di un documento). Di conseguenza, in mancanza di tale necessità, l’interesse ad ottenere il risarcimento del danno subito per una violazione antitrust non può costituire un interesse pubblico prevalente. Infatti, secondo il Tribunale, non può essere qualificato “pubblico” l’interesse costituito unicamente da un danno subito da un’impresa privata nell’ambito di una violazione dell’art. 101 TFUE. Il Tribunale non ha infatti ritenuto sufficiente la motivazione di Edeka, che aveva sostenuto che l’accesso all’indice analitico le avrebbe “…consentito di farsi un’opinione sulla questione se i documenti in esso elencati potessero essere necessari per preparare un’eventuale azione di risarcimento danni…”. Il Tribunale ha evidenziato come tale argomento fosse molto generico e non sufficiente a dimostrare sotto quale profilo il diniego di accesso all’indice analitico avrebbe impedito alla ricorrente di esercitare in maniera effettiva il suo diritto al risarcimento dei danni.
Jacopo Pelucchi
-----------------------------------------------------------------
I fatti oggetto della sentenza in commento sono i seguenti. Nel 2013, in un caso relativo ad un asserito cartello nel settore dei derivati sui tassi di interesse in euro, la Commissione aveva concluso il procedimento, con quattro delle banche coinvolte, con una transazione (c.d. settlement decision). Nel 2014, quando l’indagine nei confronti delle banche che non avevano deciso di transigere era ancora in corso, Edeka chiedeva alla Commissione di accedere, ai sensi del Regolamento n. 1409/2001 (il regolamento relativo all’accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni europee) al fascicolo istruttorio. La Commissione respingeva la richiesta, fondando il diniego nell’esigenza di tutelare gli interessi commerciali delle imprese coinvolte, con gli obiettivi delle attività ispettive e di indagine, nonché nelle modalità di svolgimento del processo decisionale della Commissione stessa. Edeka chiedeva quindi, quantomeno, l’accesso all’indice analitico del fascicolo di tale procedimento. Ancora una volta, la Commissione respingeva la richiesta di Edeka (la Decisione). Infatti, secondo la Commissione, la divulgazione pubblica anche solo di tale documento avrebbe rischiato di compromettere le indagini in corso e di violare le norme sulla riservatezza, i diritti della difesa e gli interessi commerciali delle parti interessate dall’indagine.
Nell’impugnare la Decisione, Edeka affermava che il totale rifiuto ad accedere all’indice analitico si ponesse in violazione del Regolamento n. 1049/2001, in quanto le eccezioni all’accesso ai documenti delle istituzioni europee devono essere interpretate restrittivamente. Inoltre, dato che la richiesta verteva su un solo documento specificamente indicato, la Commissione non avrebbe potuto applicare una presunzione generale di riservatezza, ritenendo che per tale documento fosse necessario un bilanciamento, caso per caso, dei diversi interessi che giustificano la comunicazione o la protezione di tale documento e che, pertanto, la Commissione avrebbe dovuto esporre chiaramente le ragioni del diniego.
Con la sentenza in commento, il Tribunale ha respinto tali argomentazioni. Innanzitutto, il Tribunale ha rilevato come dalla sua stessa giurisprudenza “…non emerge che la presunzione generale di diniego di accesso si applichi solamente allorché la domanda di accesso verte sull’intero fascicolo…”. Infatti, a prescindere dal numero di documenti oggetto della domanda, l’accesso ai documenti di un procedimento antitrust non può essere concesso senza tenere conto delle stesse regole sul trattamento delle informazioni ottenute nell’ambito di tale procedimento.
Il Tribunale ha riconosciuto che l’indice analitico del fascicolo, indicando, tra le altre cose, tutti i documenti contenuti nello stesso (fornendone il titolo) e permettendo di osservare tutte le misure adottate dalla Commissione nel procedimento, contiene informazioni pertinenti e precise relative al contenuto del fascicolo e può, “…al pari dei documenti veri e propri, arrecare pregiudizio agli interessi tutelati dalle eccezioni […] del regolamento n. 1409/2001, nella misura in cui essa si risolva nel portare a conoscenza di un terzo informazioni commercialmente sensibili o informazioni sull’indagine in corso…”.
Infine, il Tribunale ha respinto altresì l’argomentazione, presentata da Edeka, circa l’esistenza di un interesse pubblico prevalente all’accesso all’indice analitico al fine di valutare la possibilità di promuovere un’azione per il risarcimento dei danni. Infatti, secondo il Tribunale, Edeka non avrebbe dimostrato la propria necessità di accedere a quel determinato documento del fascicolo istruttorio (necessaria affinché la Commissione possa bilanciare, caso per caso, gli interessi che giustificano la divulgazione o la protezione di un documento). Di conseguenza, in mancanza di tale necessità, l’interesse ad ottenere il risarcimento del danno subito per una violazione antitrust non può costituire un interesse pubblico prevalente. Infatti, secondo il Tribunale, non può essere qualificato “pubblico” l’interesse costituito unicamente da un danno subito da un’impresa privata nell’ambito di una violazione dell’art. 101 TFUE. Il Tribunale non ha infatti ritenuto sufficiente la motivazione di Edeka, che aveva sostenuto che l’accesso all’indice analitico le avrebbe “…consentito di farsi un’opinione sulla questione se i documenti in esso elencati potessero essere necessari per preparare un’eventuale azione di risarcimento danni…”. Il Tribunale ha evidenziato come tale argomento fosse molto generico e non sufficiente a dimostrare sotto quale profilo il diniego di accesso all’indice analitico avrebbe impedito alla ricorrente di esercitare in maniera effettiva il suo diritto al risarcimento dei danni.
Jacopo Pelucchi
-----------------------------------------------------------------
Diritto della concorrenza Italia / Concentrazioni e distribuzione del gas naturale – L’AGCM approva con condizioni l’acquisizione di Nedgia da parte di 2i Rete Gas
Con la decisione assunta lo scorso 25 gennaio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha autorizzato con misure l’operazione di acquisizione (Operazione) da parte di 2i Rete Gas S.p.A. (2i) del controllo esclusivo di Nedgia S.p.A. (Nedgia), appartenente al gruppo spagnolo Gas Natural Fenosa (GNF); entrambe le società sono attive principalmente nella distribuzione di gas naturale (e fornitura di acqua potabile) sul territorio italiano.
L’Operazione, che ha determinato, di fatto, la dismissione da parte di GNF del business italiano relativo alla distribuzione del gas (operato, per l’appunto, tramite la propria società Nedgia), è stata realizzata a seguito dell’espletamento di una procedura competitiva che ha visto prevalere l’offerta di 2i rispetto a quelle presentate dal concorrente Italgas Reti S.p.A. (interveniente nel procedimento istruttorio in questione) e dal fondo di investimento statunitense I Squared Capital.
L’AGCM ha qualificato come restrizione accessoria (in quanto direttamente connessa e strettamente necessaria alla realizzazione dell’Operazione) il contratto di servizio che prevede che, per un periodo non superiore al dodicesimo anno successivo al perfezionamento dell’Operazione, GNF continuerà a fornire a Nedgia alcuni servizi di natura tecnica ed amministrativa (al fine di garantire la continuità del servizio), oltre alla licenza di utilizzo non esclusivo dei marchi GNF per un periodo di tre mesi decorrente dal closing (in cui dovrà essere completato il de-branding degli asset ceduti).
In sede di avvio del procedimento, l’AGCM aveva ritenuto l’Operazione idonea a costituire (o rafforzare) una posizione dominante, tale da scoraggiare la partecipazione di eventuali terzi alle gare, nei mercati delle gare future per l’aggiudicazione del servizio di distribuzione del gas in 12 Ambiti Territoriali Minimi (ATEM) - ossia, Agrigento, Foggia 1, Bari 2, Catania 1, Frosinone 2, Catania, Isernia, Salerno 3, Messina 2, Palermo 2, Brindisi e Taranto – in cui entrambe le società avevano una presenza notevole in termini di punti di riconsegna del gas (PDR).
Ciò rileva in quanto il servizio di distribuzione del gas (che si compone di tutte quelle attività connesse alla gestione della rete locale di trasporto del gas, quali, ad esempio, la manutenzione e potenziamento degli impianti, il bilanciamento, la lettura e gestione dei contatori) è svolto ex lege in monopolio legale derivante da una concessione aggiudicata tramite gara, che rappresenta, pertanto, l’unica possibilità per le aziende di competere sul mercato rilevante (coincidente con ciascuna gara bandita per ATEM).
All’esito di un’articolata istruttoria (comprensiva di due market test) e la presentazione di diversi set di impegni (inizialmente, soltanto di natura comportamentale) da parte di 2i, l’AGCM ha confermato i propri timori concorrenziali per 8 dei 12 ATEM individuati inizialmente, non rilevando particolari preoccupazioni per gli ATEM di Taranto, Brindisi, Messina 2 e Palermo 2.
Gli altri otto ATEM, invece, sono stati oggetto delle numerose e stringenti misure finali (strutturali e comportamentali) a cui è stata subordinata l’autorizzazione dell’Operazione (nel complesso, probabilmente una delle decisioni più rilevanti – quanto meno nel recente passato - in materia di concentrazioni autorizzate con condizioni dall’AGCM, forse anche riconducibili alla presenza del principale concorrente nel procedimento). In particolare, con riferimento agli ATEM di Foggia 1 e Bari 2, nei confronti dell’entità post – merger è stata disposta la cessione di PDR (e conseguente dismissione delle relative attività di gestione e distribuzione del gas), secondo procedure trasparenti e competitive (da articolarsi sulla falsariga di quanto già delineato dalla stessa AGCM nella decisione in commento), sulla base di un prezzo minimo comunicato al mercato, ad un unico soggetto indipendente da 2i, dotato di appropriata competenza e mezzi finanziari. Laddove tale cessione non dovesse realizzarsi, l’AGCM ha previsto misure incentivanti (anche di carattere economico-finanziario) per favorire l’apertura alla concorrenza e la massima partecipazione di terzi alle future gare d’ambito.
Filippo Alberti
----------------------------------------------------------------------
L’Operazione, che ha determinato, di fatto, la dismissione da parte di GNF del business italiano relativo alla distribuzione del gas (operato, per l’appunto, tramite la propria società Nedgia), è stata realizzata a seguito dell’espletamento di una procedura competitiva che ha visto prevalere l’offerta di 2i rispetto a quelle presentate dal concorrente Italgas Reti S.p.A. (interveniente nel procedimento istruttorio in questione) e dal fondo di investimento statunitense I Squared Capital.
L’AGCM ha qualificato come restrizione accessoria (in quanto direttamente connessa e strettamente necessaria alla realizzazione dell’Operazione) il contratto di servizio che prevede che, per un periodo non superiore al dodicesimo anno successivo al perfezionamento dell’Operazione, GNF continuerà a fornire a Nedgia alcuni servizi di natura tecnica ed amministrativa (al fine di garantire la continuità del servizio), oltre alla licenza di utilizzo non esclusivo dei marchi GNF per un periodo di tre mesi decorrente dal closing (in cui dovrà essere completato il de-branding degli asset ceduti).
In sede di avvio del procedimento, l’AGCM aveva ritenuto l’Operazione idonea a costituire (o rafforzare) una posizione dominante, tale da scoraggiare la partecipazione di eventuali terzi alle gare, nei mercati delle gare future per l’aggiudicazione del servizio di distribuzione del gas in 12 Ambiti Territoriali Minimi (ATEM) - ossia, Agrigento, Foggia 1, Bari 2, Catania 1, Frosinone 2, Catania, Isernia, Salerno 3, Messina 2, Palermo 2, Brindisi e Taranto – in cui entrambe le società avevano una presenza notevole in termini di punti di riconsegna del gas (PDR).
Ciò rileva in quanto il servizio di distribuzione del gas (che si compone di tutte quelle attività connesse alla gestione della rete locale di trasporto del gas, quali, ad esempio, la manutenzione e potenziamento degli impianti, il bilanciamento, la lettura e gestione dei contatori) è svolto ex lege in monopolio legale derivante da una concessione aggiudicata tramite gara, che rappresenta, pertanto, l’unica possibilità per le aziende di competere sul mercato rilevante (coincidente con ciascuna gara bandita per ATEM).
All’esito di un’articolata istruttoria (comprensiva di due market test) e la presentazione di diversi set di impegni (inizialmente, soltanto di natura comportamentale) da parte di 2i, l’AGCM ha confermato i propri timori concorrenziali per 8 dei 12 ATEM individuati inizialmente, non rilevando particolari preoccupazioni per gli ATEM di Taranto, Brindisi, Messina 2 e Palermo 2.
Gli altri otto ATEM, invece, sono stati oggetto delle numerose e stringenti misure finali (strutturali e comportamentali) a cui è stata subordinata l’autorizzazione dell’Operazione (nel complesso, probabilmente una delle decisioni più rilevanti – quanto meno nel recente passato - in materia di concentrazioni autorizzate con condizioni dall’AGCM, forse anche riconducibili alla presenza del principale concorrente nel procedimento). In particolare, con riferimento agli ATEM di Foggia 1 e Bari 2, nei confronti dell’entità post – merger è stata disposta la cessione di PDR (e conseguente dismissione delle relative attività di gestione e distribuzione del gas), secondo procedure trasparenti e competitive (da articolarsi sulla falsariga di quanto già delineato dalla stessa AGCM nella decisione in commento), sulla base di un prezzo minimo comunicato al mercato, ad un unico soggetto indipendente da 2i, dotato di appropriata competenza e mezzi finanziari. Laddove tale cessione non dovesse realizzarsi, l’AGCM ha previsto misure incentivanti (anche di carattere economico-finanziario) per favorire l’apertura alla concorrenza e la massima partecipazione di terzi alle future gare d’ambito.
Filippo Alberti
----------------------------------------------------------------------
Legal News / Antitrust e innovazione - L’iniziativa legislativa in materia di “innovazione predatoria”
Originata da un’iniziativa dello scorso dicembre da parte di un membro della camera dei deputati, la proposta di legge qui in commento si propone di introdurre nell’ordinamento italiano una nuova fattispecie giuridica, essenzialmente incentrata sul concetto di “innovazione predatoria”, nonché di una serie di misure normative a tutela della libera concorrenza e dei consumatori nel settore tecnologico e digitale.
Per “innovazione predatoria” si intenderebbe “…l’alterazione di uno o più elementi tecnici per limitare o eliminare la competizione…”, più precisamente la condotta di un’impresa volta a rimuovere “…la compatibilità del proprio prodotto dominante con le tecnologie di terze parti o compromettendo le attività di tecnologie concorrenti…”.
Secondo il redattore della proposta, allo stato, tali condotte non sono affrontate nell’ambito del nostro ordinamento in maniera diretta e specifica, rendendo “subottimale” la relativa tutela offerta dall’ordinamento, perché la legge antitrust e più in generale il sistema di tutela civilistico presenterebbero delle “crepe” attraverso cui questi comportamenti possono proliferare.
Sarebbe quindi necessario introdurre una nuova categoria di beni all’interno del codice civile, rappresentata dal dato informatico, che quale costituirebbe un “bene mobile immateriale avente utilità economica”. La proposta prosegue prevedendo che:
- l’innovazione predatoria andrebbe ex lege qualificata come violazione della concorrenza con previsioni di condotte abusive tipizzate, poste in essere anche a mezzo di sistemi informatici automatizzati;
- sia data una delega all’AGCM per l’adozione di un regolamento, modificabile annualmente, che individui le predette condotte;
- ogni innovazione di un prodotto, “per perfezionarlo e per limitare o eliminare la concorrenza”, andrebbe obbligatoriamente sottoposta ad un’analisi “indipendente” e si dovrebbe introdurre la possibilità di richiedere una valutazione preventiva dell’AGCM su ogni innovazione in odore di predatorietà; infine,
- i giudici e l’AGCM dovrebbero irrogare sanzioni, anche “aventi natura risarcitoria per l’utente” nei confronti di chi pone in essere pratiche di innovazione predatoria.
La proposta di legge, sia da un punto di vista tecnico, sia in termini di opportunità, non appare in prima battuta convincente. Basterà qui evidenziare che i beni immateriali aventi utilità economica già esistono nel nostro ordinamento; la tutela della libera concorrenza nei confronti di imprese dominanti già consente di ricostruire fattispecie in grado di impedire forme di “innovazione predatoria”, ovvero comportamenti escludenti, quando pregiudicano la concorrenza, mentre sanzionare condotte predatorie poste in essere da imprese non dominanti rischia esclusivamente di manomettere il meccanismo concorrenziale, introducendo aspetti regolatori che si sostituirebbero al mercato nella sua funzione di selezionatore degli operatori economici. Infine, riconoscere all’AGCM il potere di irrogare sanzioni anche di natura risarcitoria, qualunque cosa ciò significhi, appare difficilmente riconciliabile con un ordinamento come il nostro dove la tutela privata e quella pubblicistica operano su piani paralleli ma distinti.
È il caso, allora, di evidenziare che la proposta suscita molteplici perplessità, in quanto, almeno nella formulazione attuale, si manifesta nelle sembianze di un corpo completamente estraneo all’apparato normativo antitrust e civilistico vigente.
Mario Cistaro
Per “innovazione predatoria” si intenderebbe “…l’alterazione di uno o più elementi tecnici per limitare o eliminare la competizione…”, più precisamente la condotta di un’impresa volta a rimuovere “…la compatibilità del proprio prodotto dominante con le tecnologie di terze parti o compromettendo le attività di tecnologie concorrenti…”.
Secondo il redattore della proposta, allo stato, tali condotte non sono affrontate nell’ambito del nostro ordinamento in maniera diretta e specifica, rendendo “subottimale” la relativa tutela offerta dall’ordinamento, perché la legge antitrust e più in generale il sistema di tutela civilistico presenterebbero delle “crepe” attraverso cui questi comportamenti possono proliferare.
Sarebbe quindi necessario introdurre una nuova categoria di beni all’interno del codice civile, rappresentata dal dato informatico, che quale costituirebbe un “bene mobile immateriale avente utilità economica”. La proposta prosegue prevedendo che:
- l’innovazione predatoria andrebbe ex lege qualificata come violazione della concorrenza con previsioni di condotte abusive tipizzate, poste in essere anche a mezzo di sistemi informatici automatizzati;
- sia data una delega all’AGCM per l’adozione di un regolamento, modificabile annualmente, che individui le predette condotte;
- ogni innovazione di un prodotto, “per perfezionarlo e per limitare o eliminare la concorrenza”, andrebbe obbligatoriamente sottoposta ad un’analisi “indipendente” e si dovrebbe introdurre la possibilità di richiedere una valutazione preventiva dell’AGCM su ogni innovazione in odore di predatorietà; infine,
- i giudici e l’AGCM dovrebbero irrogare sanzioni, anche “aventi natura risarcitoria per l’utente” nei confronti di chi pone in essere pratiche di innovazione predatoria.
La proposta di legge, sia da un punto di vista tecnico, sia in termini di opportunità, non appare in prima battuta convincente. Basterà qui evidenziare che i beni immateriali aventi utilità economica già esistono nel nostro ordinamento; la tutela della libera concorrenza nei confronti di imprese dominanti già consente di ricostruire fattispecie in grado di impedire forme di “innovazione predatoria”, ovvero comportamenti escludenti, quando pregiudicano la concorrenza, mentre sanzionare condotte predatorie poste in essere da imprese non dominanti rischia esclusivamente di manomettere il meccanismo concorrenziale, introducendo aspetti regolatori che si sostituirebbero al mercato nella sua funzione di selezionatore degli operatori economici. Infine, riconoscere all’AGCM il potere di irrogare sanzioni anche di natura risarcitoria, qualunque cosa ciò significhi, appare difficilmente riconciliabile con un ordinamento come il nostro dove la tutela privata e quella pubblicistica operano su piani paralleli ma distinti.
È il caso, allora, di evidenziare che la proposta suscita molteplici perplessità, in quanto, almeno nella formulazione attuale, si manifesta nelle sembianze di un corpo completamente estraneo all’apparato normativo antitrust e civilistico vigente.
Mario Cistaro