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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza Italia / Abuso di posizione dominante e settore del trasporto merci via nave – L’AGCM ha sanzionato Moby S.p.A. e Compagnia Italiana di Navigazione S.p.A. per un abuso di posizione dominante nel settore del trasporto marittimo di merci da e per la Sardegna

Con il provvedimento pubblicato il 23 marzo scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato, con una ammenda di 29 milioni di euro, Moby S.p.A. e Compagnia Italiana di Navigazione S.p.A. (insieme, Moby), società attive nel settore del trasporto marittimo sulle rotte tra l’Italia continentale e la Sardegna. In particolare, secondo l’AGCM, Moby ha abusato della propria posizione dominante in tre fasci di rotte di trasporto marittimo di merci (Nord-Sardegna-Nord Italia, Nord-Sardegna-Centro Italia, Sud Sardegna-Centro Italia, insieme i Mercati rilevanti), in violazione dell’art. 102 TFUE.

Al termine dell’istruttoria, avviata a seguito delle denunce di alcune società attive nel mercato della logistica, nonché da Grimaldi Euromed S.p.A. (Grimaldi), società di navigazione marittima concorrente di Moby, l’AGCM ha ritenuto che alcune condotte poste in essere da Moby a partire dal settembre 2015 avevano quale unico scopo quello di punire le imprese di logistica che si avvalevano dei servizi di trasporto marittimo di merci da e per la Sardegna offerti da altre imprese concorrenti. Secondo l’AGCM, all’ingresso dei concorrenti sui Mercati rilevanti, Moby ha “…puntualmente risposto con una multiforme strategia aggressiva, che si è concretizzata nel boicottaggio diretto, sotto il profilo economico e commerciale, a danno dei clienti che si erano rivolti ai concorrenti per usufruire dei loro servizi di trasporto marittimo di merci da e per la Sardegna e nella concessione di sostanziali vantaggi economici nei confronti dei clienti che, invece, si erano astenuti dal rivolgersi ai concorrenti…”.

In particolare, nell’autunno 2015, quando Grimaldi aveva inaugurato una rotta da e per la Sardegna in concorrenza con Moby, quest’ultima avrebbe ripetutamente rifiutato l’imbarco e applicato condizioni commerciali svantaggiose alle imprese di logistica che avevano iniziato ad utilizzare il nuovo servizio concorrente. Le medesime condotte ritorsive sarebbe state poste in essere anche nei confronti di altre imprese all’apertura della rotta Olbia-Livorno, nel gennaio 2016. Inoltre, secondo l’AGCM nello stesso periodo Moby si era attivata per esercitare pressioni sui committenti e sugli spedizionieri “…per indurli a non affidare le loro commesse alle imprese di logistica che oramai considerava traditrici, realizzando […] un boicottaggio indiretto nei loro confronti…”. Infine, un ulteriore tassello della complessa strategia escludente realizzata da Moby era rappresentato dalla concessione di vantaggi competitivi (secondo l’AGCM, “…ingiustificatamente premianti…” in quanto non correlati con i volumi conferiti) di varia natura alle imprese rimaste “fedeli”, così da consentire loro di sottrarre commesse alle imprese di logistica “traditrici”.

Secondo l’AGCM, tali condotte avevano avuto lo scopo di “…nuocere alle imprese di logistica traditrici e, per riflesso, di ostacolare o impedire l’accesso ai nuovi concorrenti ai mercati rilevanti…”. Tale strategia escludente non solo era idonea ad ostacolare e/o limitare l’ingresso dei concorrenti sui Mercati rilevanti ma avrebbe concretamente dispiegato i propri effetti in tal senso. Infatti, l’AGCM rileva che, nonostante le caratteristiche del nuovo entrante (Grimaldi è una primaria impresa nel trasporto marittimo, presente in tutti i mercati mondiali con una dimensione ragguardevole), dopo oltre due anni dal primo ingresso sul mercato sardo, almeno il “…70-80% circa dei volumi di traffico sui mercati rilevanti rimane sostanzialmente appannaggio esclusivo dell’operatore dominante…”.

L’AGCM ha evidenziato altresì come l’accertata strategia escludente di Moby ha conseguentemente prodotto effetti dannosi anche nei confronti dei consumatori finali dei servizi di trasporto merci da e per la Sardegna, in quanto “…impedisc[e] che i prezzi dei noli sul mercato si riducano – o non si riducano tanto quanto si sarebbero ridotti in assenza delle condotte ostative – per effetto delle pressione competitiva derivante dall’ingresso di armatori più efficienti sui mercati rilevanti…”.

Infine, l’AGCM ha considerato la condotta “molto grave”, applicando, per il calcolo della sanzione, come importo base un valore tra il 5 e il 10% del valore delle vendite e una somma una tantum (c.d. entry fee, applicabile anche in casi che seppur di durata relativamente contenuta sono comunque considerati particolarmente gravi) nella misura tra il 15 e il 20%.

Ancora una volta l’AGCM mostra di prestare attenzione all’impatto che comportamenti strategici possono avere per il collegamento con le isole principali, come i numerosi casi al riguardo dimostrano (si vedano, ad esempio, i casi relativi alle tariffe dei traghetti da/per la Sardegna e all’organizzazione dei servizi marittimi nel Golfo di Napoli, entrambi tuttavia successivamente annullati dai giudici amministrativi) . Non resta che attendere il (probabile) ricorso di Moby avverso la decisione in commento.

Jacopo Pelucchi
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Legal news/ Antitrust e regolamentazione – E’ entrato in vigore il nuovo regolamento UE sul geo-blocking 

Lo scorso 22 marzo è entrato in vigore il regolamento n. 2018/302/UE sul geo-blocking e altre forme di geo-discriminazione (Regolamento), che rientra fra le iniziative legislative proposte nel maggio 2016 dalla Commissione europea nel quadro della Strategia per il mercato unico digitale sviluppata al fine di migliorare l'accesso di consumatori e imprese ai beni e ai servizi online (si veda la Newsletter del 30 maggio 2016) e che si applicherà a partire dal 3 dicembre 2018.

In particolare, l’obiettivo del Regolamento è quello di contribuire al buon funzionamento del mercato interno vietando i blocchi geografici ingiustificati (c.d. geo-blocking) e altre forme di discriminazione basate, direttamente o indirettamente, sulla nazionalità, il luogo di residenza o il luogo di stabilimento dei clienti. Esso si applica a tutti i professionisti che offrono beni o servizi agli utenti finali nell'UE, indipendentemente dal fatto che siano stabiliti in uno Stato membro o in un paese terzo. L’ambito di applicazione del Regolamento è inoltre circoscritto alle sole transazioni transfrontaliere (non si applica a situazioni puramente interne) e – sotto il profilo oggettivo - non si applica ai (i) servizi quali (ad esempio) quelli finanziari, di trasporto, audiovisivi, sanitari, sociali; (ii) servizi la cui principale caratteristica consiste nel fornire l'accesso e permettere l'uso di contenuti tutelati dal diritto d'autore (es. musica in streaming, e-books, software, giochi online), compresa la vendita di opere tutelate dal diritto d'autore. Tuttavia, nei prossimi anni la Commissione dovrà verificare l’opportunità di estendere o meno l'ambito di applicazione del Regolamento anche a tali servizi.

I divieti di discriminazione su base geografica sanciti dal Regolamento riguardano in particolare tre aspetti: (i) l'accesso alle interfacce online; (ii) l'accesso ai beni o servizi; (ii) gli strumenti e le condizioni di pagamento.

Quanto al primo aspetto, il Regolamento sancisce il divieto di bloccare o limitare, attraverso l'uso di strumenti tecnologici (es. indirizzi IP, sistemi GPS ecc.) l'accesso alle interfacce online (siti web, applicazioni) per motivi legati alla nazionalità, al luogo di residenza o di stabilimento del cliente. È inoltre vietato il re-indirizzamento automatico del cliente a una diversa versione dell'interfaccia online, salvo suo espresso consenso ovvero se necessario alla luce di specifiche disposizioni normative. In simili ipotesi, il professionista sarà comunque tenuto a fornire al cliente una chiara e specifica informativa in merito ai motivi del blocco/limitazione/re-indirizzamento.

Quanto al secondo aspetto, il Regolamento vieta eventuali disparità di trattamento dei clienti attraverso l’applicazione di condizioni generali di accesso (i.e. non negoziate individualmente con il cliente) a beni o servizi differenziate per motivi legati alla nazionalità, al luogo di residenza o stabilimento del cliente in una serie di ipotesi (compreso il rifiuto di vendere beni/prestare servizi) ove non vi siano ragioni legate ai costi della consegna transfrontaliera o agli obblighi in materia di IVA che potrebbero giustificare un trattamento differenziato. In ogni caso, il divieto non impedisce ai professionisti di offrire beni/servizi in Stati membri diversi o a determinati gruppi di clienti ricorrendo ad offerte mirate e a condizioni generali di accesso (compresi i prezzi di vendita) diverse tra Stati . Ad esempio, il divieto non preclude la predisposizione di interfacce online specifiche per Paese, condizioni (inclusi i prezzi) differenti in punti vendita diversi (quali negozi e siti internet) o fare offerte specifiche solo in un determinato territorio di uno Stato membro. Tuttavia, anche laddove i professionisti formulino offerte mirate per territori specifici o per gruppi di clienti, “i professionisti dovrebbero sempre trattare i clienti in modo non discriminatorio, indipendentemente dalla nazionalità, dal luogo di residenza o dal luogo di stabilimento”.

Quanto al terzo aspetto, il Regolamento vieta l'applicazione, nell'ambito dei mezzi di pagamento, di condizioni diverse a un'operazione di pagamento per motivi connessi alla nazionalità, residenza o luogo di stabilimento del cliente, all'ubicazione del conto di pagamento, al luogo di stabilimento del prestatore dei servizi di pagamento o al luogo di emissione dello strumento di pagamento all'interno dell'UE in determinate circostanze.

Come chiarito espressamente dal Regolamento, inoltre, esso non incide sull’applicazione delle norme in materia di concorrenza e non pregiudica dunque la legittimità degli accordi verticali (tra produttori e distributori/rivenditori) atti a limitare le “vendite attive” (i.e. sollecitate dal professionista) nel rispetto dei requisiti di esenzione al divieto di cui all’art. 101 TFUE secondo quanto previsto dal Regolamento n. 330/2010/CE sugli accordi verticali.

Per quanto riguarda le vendite passive (i.e. non sollecitate dal professionista al quale il cliente si rivolge spontaneamente), è invece espressamente sancita la nullità di diritto di eventuali disposizioni di accordi verticali che impongano ai professionisti di agire in violazione dei divieti introdotti dal regolamento. Merita particolare attenzione il fatto che tale nullità avrà una portata “retroattiva”, in quanto si applicherà agli accordi conclusi prima del 2 marzo 2018, a far data dal 23 marzo 2020.

In ultimo, il Regolamento contiene una specifica previsione sui pacchetti di servizi o di servizi/beni: qualora un professionista offrisse un pacchetto di servizi/beni combinati tra loro ed almeno uno di essi, se offerto individualmente, rientrasse nell'ambito di applicazione del Regolamento, il professionista è soggetto ai divieti del Regolamento per quanto riguarda il pacchetto nel suo insieme “se tali servizi sono offerti ai clienti da parte dello stesso professionista su base individuale”. Inoltre, il professionista che fornisce un servizio/bene al di fuori del pacchetto rimane libero di decidere il prezzo da applicargli al di fuori del pacchetto, “purché non applichi prezzi differenti per motivi connessi alla nazionalità, al luogo di residenza o al luogo di stabilimento”.

Il Regolamento lascia agli Stati membri il compito di stabilire norme che prevedano le misure applicabili alle violazioni delle disposizioni sopra richiamate, indicando esclusivamente (e genericamente) come principio generale che “le misure previste devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive”.

Le imprese dovranno ora verificare l’impatto delle disposizioni in commento sul proprio modello di business.

Cecilia Carli
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M&A e concorrenza - Negoziazioni, due-diligence e scambio di informazioni: la Federal Trade Commission statunitense sui rischi antitrust e su come ridurli

Con una nota pubblicata sul proprio sito web, la Federal Trade Commission (Bureau of Competition), ossia l’autorità amministrativa competente per l’applicazione del diritto antitrust negli Stati Uniti d’America (accanto alla Antitrust Division del Department of Justice) ha voluto richiamare l’attenzione sui rischi di scambi di informazioni illeciti nel contesto di negoziazioni, attività di due diligence e attività di integration planning collegate ad acquisizioni, fusioni e joint-venture.

Si tratta di un’area di particolare interesse pratico in quanto rileva in tutte le operazioni di concentrazione sopra una certa dimensione ma che, per qualche motivo, non è mai stata data sufficiente attenzione da parte delle autorità. Ciò ha lasciato gli operatori del diritto sprovvisti di precedenti e/o circolari a cui fare riferimento, con le sole best practices internazionali su cui basarsi.

E’ quindi benvenuta la nota della FTC. Il punto di partenza è la constatazione, affatto scontata, dell’esistenza, in tali contesti, di un’esigenza legittima di accesso ad informazioni dettagliate sul business della controparte, anche qualora le due imprese possano qualificarsi come concorrenti attuali ovvero quantomeno come concorrenti potenziali. Ciò avviene tipicamente:

(i)     ai fini della valutazione se procedere o meno con una determinata operazione, ossia del valore dell’impresa target al fine di poter ipotizzare una offerta e, sempre più,

(ii)     per avviare quanto prima le attività di pianificazione della futura integrazione (c.d. integration planning), ovvero per calcolare e massimizzare le effettive sinergie attese da quest’ultima.

La FTC ha sottolineato come i rischi antitrust connessi alle attività sopra richiamate siano:

(a)     quelli relativi alla possibile violazione del divieto specifico di gun-jumping, i.e. attuazione anche solo parziale della concentrazione prima della sua approvazione, rischio che esiste nella maggioranza delle giurisdizioni stante la presenza dell’obbligo di standstill in capo alle parti prima della effettiva autorizzazione dell’operazione (obbligo, che è bene ricordare, non sussiste in Italia e in poche altre giurisdizioni, quali il Regno Unito);

(b)     quelli afferenti gli scambi di informazioni sensibili tra imprese concorrenti (in possibile violazione delle norme sui cartelli e le intese) le quali, fino al closing, dovrebbero restare tali, evitando di ridurre l’incertezza circa i rispettivi comportamenti e strategie commerciali future, anche alla luce del rischio che l’operazione possa poi non concretizzarsi.

Nella nota l’FTC sottolinea l’importanza di delineare ed adottare un processo interno che disciplini in modo preciso e monitori i flussi di informazioni con la controparte. Più nello specifico, l’FTC raccomanda inter alia di:

-     condividere sempre il minimo possibile di dati effettivamente necessari;
-     aggregare e anonimizzare ogni informazione sensibile;
-     vietare la circolazione dei documenti al di fuori della data room (ad es. per e-mail);
-     istruire in modo preciso i dipendenti e consulenti coinvolti sui propri obblighi di riservatezza;
-     evitare che i membri del c.d. clean team (aventi accesso ad informazioni sensibili della controparte) non ricoprano posizioni legate a strategie, pricing ed altri aspetti commerciali direttamente rilevanti rispetto ai dati acquisiti. 
 
L’intervento dell’FTC appare significativo nel confermare la crescente attenzione delle autorità antitrust verso i comportamenti delle imprese nelle attività propedeutiche alle concentrazioni. Alcuni casi statunitensi (relativi in maniera specifica a scambi di informazioni commercialmente sensibili in ambiti pre-merger) sono segnalati nell’articolo stesso dalla FTC; in Europa, la Commissione, oltre ad aver avviato di recente alcuni procedimenti per gun-jumping, ha apertamente dichiarato di voler aumentare il proprio focus su questi temi; a fine 2016 l’autorità francese ha irrogato una sanzione di circa 80 milioni di euro per gun-jumping.

Inoltre, anche se avvenuta attraverso una nota informale nel proprio blog e con un livello di dettaglio abbastanza ridotto, la pubblicazione in commento rappresenta un importante punto di riferimento per gli operatori M&A, non solo negli Stati Uniti. Esso interviene infatti in un settore che – nonostante qualche decisione sul tema – resta ancora largamente non “testato” dinanzi ad autorità e corti, in particolare rispetto alle misure generalmente consigliate ed adottate per minimizzare i rischi antitrust (NDA, clean team etc.). Al riguardo, sembra che complessivamente la posizione espressa dall’FTC confermi molte delle tecniche formulate e già in uso nella prassi delle grandi operazioni. Data l’importanza crescente del tema, è possibile (ed anzi auspicabile) che altre autorità, anche grazie alle attività di cooperazione internazionale, possano avviare iniziative simili.

Alessandro Di Giò