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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza Europa / Aiuti di Stato e imposizioni fiscali – No della Corte di Giustizia all’intervento degli Stati Uniti nella causa avviata da Apple contro la decisione della Commissione di dichiarare illegittimi i vantaggi fiscali concessi dall’Irlanda

Con l’ordinanza dello scorso 17 maggio, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CdG) ha definitivamente respinto l’istanza formulata dal governo degli Stati Uniti d’America per cercare di intervenire a supporto di Apple Sales International e Apple Operations International (collettivamente, Apple) nella controversia, attualmente pendente dinanzi al Tribunale dell’Unione Europea (Tribunale), su ricorso della stessa Apple avverso la decisione della Commissione UE (Commissione) che ha ordinato all’Irlanda il recupero dei vantaggi fiscali concessi a tali società per un totale di 13 miliardi di euro in quanto, secondo la Commissione, in violazione della normativa in materia di aiuti di Stato (commentata in questa Newsletter).

Già il Tribunale aveva respinto in primo grado l’istanza di intervento formulata dagli Stati Uniti, i quali avevano sostenuto la sussistenza di un proprio interesse ad intervenire nella causa in esame in considerazione del significativo impatto che l’esito di tale controversia avrebbe potuto avere sul proprio sistema economico. Secondo gli USA, l’ordine di recuperare il suddetto importo da parte dell’Irlanda nei confronti di Apple si sarebbe tradotto nella possibilità della controllante di questa, Apple Inc., con sede negli USA, di chiedere un credito di imposta maggiore o maggiori deduzioni fiscali, nel caso in cui, successivamente al recupero dell’aiuto da parte dell’Irlanda, Apple avesse deciso di “rimpatriare” negli Stati Uniti i profitti ottenuti dalle proprie controllate. E ciò, anche in considerazione del progetto di riforma del sistema fiscale avviato negli Stati Uniti, che prevedeva la possibilità di considerare gli ordini di restituzione di aiuti di Stato imposti dalla Commissione alla stregua di imposte sui redditi esteri che le società americane avrebbero potuto far valere come crediti di imposta o deduzioni, a condizione di “rimpatriare” i profitti ottenuti dalle proprie controllate al di fuori del territorio USA.

Il Tribunale aveva tuttavia negato rilievo a tale interesse dedotto dagli USA, posto che lo stesso si basava su di una prospettazione meramente teorica della possibilità per Apple di decidere di rimpatriare i propri profitti a seguito dell’ordine di restituzione dell’aiuto di Stato, e, conseguentemente, di far valere nei confronti delle autorità fiscali statunitensi quanto restituito al governo irlandese a titolo di credito di imposta o di deduzioni fiscali.

Gli Stati Uniti hanno quindi proposto appello avverso la decisione del Tribunale. Hanno reiterato la sussistenza di un legittimo interesse ad intervenire a supporto di Apple nella controversia europea, posto che l’ordine di restituzione dei vantaggi fiscali concessi ad Apple dall’Irlanda sarebbe stato automaticamente idoneo a privare il governo statunitense della possibilità di opporsi ad una richiesta di riduzione dell’imposta fiscale da parte del gruppo Apple. Secondo gli USA sarebbe invece del tutto irrilevante se e quando l’eventuale decisione di rimpatriare i profitti sarebbe stata presa da Apple.

Con l’ordinanza in commento la CdG ha tuttavia respinto le censure sollevate dagli USA, ritenendo l’accertamento dell’effettiva intenzione della Apple di rimpatriare i propri profitti di rilevanza cruciale ai fini del riconoscimento della legittimazione degli Stati Uniti ad intervenire nella causa in commento. Secondo la CdG, gli USA non avrebbero fornito alcuna prova idonea a dimostrare il “rimpatrio” dei profitti di Apple, limitandosi a considerare “ragionevole” una simile mossa da parte del colosso degli smartphone. Inoltre tale “rimpatrio” sarebbe stato altresì smentito dalle recenti dichiarazioni rilasciate dallo stesso presidente di Apple in senso contrario.

Parimenti, secondo la CdG gli Stati Uniti avrebbero altresì mancato di dimostrare gli effetti concreti della riforma del proprio sistema fiscale, limitandosi a fornire al Tribunale un “White Papers” nel quale veniva menzionata la mera possibilità di riconoscere rilievo agli ordini di restituzione degli aiuti di Stato della Commissione a titolo di sgravi fiscali, a condizione del rimpatrio dei profitti.

Con la decisione in commento la CdG ha quindi ricordato come anche gli Stati extraeuropei, benché legittimati ad intervenire nei giudizi instaurati dinanzi alle corti dell’UE, possono farlo alla stregua di qualunque soggetto terzo interessato, e quindi dovendo adeguatamente dimostrare la sussistenza di un interesse diretto, attuale e concreto rispetto alla controversia in questione.

Martina Bischetti
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Abuso di posizione dominante, impegni e settore del gas – La Commissione rende vincolanti gli impegni presentati da Gazprom al fine di consentire il libero flusso di gas a prezzi competitivi 

Lo scorso 24 maggio, la Commissione Europea (Commissione) ha reso vincolanti gli impegni proposti da Gazprom nell’ambito del procedimento avviato nell’agosto 2012, in cui l’autorità europea – mediante l’invio della comunicazione degli addebiti in data 22 aprile 2015 – aveva contestato a Gazprom la violazione delle norme poste a tutela della concorrenza. Secondo la Commissione Gazprom avrebbe attuato una strategia di complessiva segmentazione dei mercati del gas lungo i confini nazionali in otto Stati membri (Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia) per mezzo dell’imposizione di restrizioni territoriali/prezzi eccessivi. Per un maggior approfondimento si rimanda alla nostra Newsletter del 27 aprile 2015.

La decisione di accettazione degli impegni in commento, ponendo fine ai suddetti comportamenti, sembra altresì in grado di modificare drasticamente il modus operandi dell’operatore russo nei mercati del gas dell’Europa centrale e orientale. Specificatamente, Gazprom dovrà attuare le seguenti misure:
  - eliminare gli ostacoli al libero flusso del gas in Europa centrale e orientale mediante la rimozione di quelle clausole contrattuali che impedivano le vendite transfrontaliere o le rendevano semplicemente meno convenienti dal punto di vista finanziario. Con particolare riferimento alla Bulgaria, Gazprom dovrà modificare i propri contratti relativamente alle disposizioni sul monitoraggio e la misurazione del gas, che hanno comportato negli anni un isolamento del mercato del gas bulgaro dai mercati limitrofi dell’UE. Al riguardo, Gazprom cederà il controllo dell’infrastruttura di trasmissione del gas all’operatore bulgaro;
  - attuare misure concrete al fine di integrare i mercati del gas dell’Europa centrale e orientale. Sul punto, considerata la frequente mancanza di interconnessione nei paesi quali la Bulgaria, l’Estonia e la Lettonia, Gazprom si impegna a sopperire a ciò, offrendo ai clienti la possibilità di consegnare il gas da e verso questi paesi. In dettaglio, i clienti che hanno originariamente acquistato gas per consegnarlo all'Ungheria, alla Polonia o alla Slovacchia possono scegliere di farlo consegnare, interamente o parzialmente, alla Bulgaria o agli Stati baltici (e viceversa). Tale offerta potrà essere garantita mediante differenti scambi (c.d. swaps), secondo cui ad esempio i clienti di Gazprom avranno la possibilità di chiedere all’impresa di consegnare il gas agli Stati baltici e alla Bulgaria, invece del luogo di consegna originariamente concordato;
  - intervenire in relazione ai prezzi, garantendo un livello competitivo in Europa centrale e orientale. Come noto, al riguardo, la preoccupazione della Commissione verteva sul fatto che Gazprom avesse praticato prezzi più elevati in cinque Stati membri (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia). In base alle misure rese vincolanti: (i) i clienti di Gazprom potranno esigere un prezzo più basso qualora il prezzo che viene imposto loro si discosti dai prezzi di riferimento competitivi praticati in Europa occidentale; (ii) il nuovo prezzo del gas deve essere in linea con il livello dei prezzi competitivi sui mercati del gas dell’Europa continentale occidentale ed infine (iii) è previsto un arbitrato se la società in questione non si accorda con i suoi clienti su un nuovo prezzo entro 120 giorni;
  - eliminare le domande ottenute facendo leva sulla propria posizione di mercato. Le criticità sollevate dall’antitrust UE consistevano nel fatto che Gazprom avesse sfruttato la propria posizione dominante sul mercato della fornitura del gas per ottenere vantaggi in materia di accesso o controllo delle infrastrutture del gas. La comunicazione degli addebiti ha espresso preoccupazioni in relazione al progetto South Stream in Bulgaria e al gasdotto Yamal in Polonia. Pertanto, con riferimento al progetto South Stream, Gazprom si è impegnata a non richiedere il risarcimento dei danni ai partner bulgari a seguito dell'abbandono del progetto; situazione diversa invece sul gasdotto Yamal, in quanto sussiste un accordo intergovernativo su cui non può intervenire il procedimento antitrust. Ciò nonostante, la Commissione precisa che è stata presentata una proposta legislativa volta a subordinare gli accordi intergovernativi nel settore del gas e del petrolio a un suo esame preliminare.

Questa decisione pone fine ad una saga che, iniziata nel lontano 2012, si è nel tempo intrecciata a crisi internazionali (si pensi alla crisi Ucraina) e poneva la Commissione nella difficile posizione di dover perseguire i comportamenti di una impresa che si identificava in larga misura con gli interessi di uno Stato sovrano come la Russia. La Commissione, dimostrando un notevole pragmatismo e abilità, è riuscita a trovare un equilibrio che le ha permesso di risolvere, almeno in parte, i problemi concorrenziali, mantenere la propria credibilità e allo stesso tempo evitare quella che poteva diventare una difficile relazione diplomatica.

Gloria Panaccione
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Diritto della concorrenza Italia / Aiuti di Stato e settore ferroviario – Il Consiglio di Stato ha formulato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea per verificare se le modalità con cui FS ha acquistato il controllo di FSE – Ferrovie del Sud Est costituiscano aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107 TFUE

Il Consiglio di Stato, con ordinanza, ha proposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in materia di aiuti di Stato con riferimento a una vicenda svoltasi nel settore del trasporto ferroviario pugliese. Con disposizione della legge di stabilità per il 2016, e successivo decreto attuativo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT), è stato disposto il commissariamento della società Ferrovie del Sud Est e Servizi Automobilistici S.p.A. (Ferrovie del Sud Est o FSE), che si trovava in grave situazione di dissesto finanziario, nonché il trasferimento della stessa dal MIT, che ne deteneva il 100% del capitale sociale, a Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. (FS), come noto interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). Il tutto senza alcun corrispettivo. Inoltre, veniva previsto uno stanziamento di 70 milioni di euro al fine di garantire la continuità e la regolarità del servizio esercitato dalla società. L’operazione veniva realizzata con la comunicazione da parte di FS del suo impegno a rimuovere la situazione di squilibrio patrimoniale di Ferrovie del Sud Est. Veniva quindi specificato dal MIT che lo stanziamento era soggetto ad un vincolo di destinazione, ossia la copertura delle esigenze finanziarie delle infrastrutture ferroviarie della società trasferita.

Per l’annullamento del decreto del MIT hanno proposto ricorso al Tar Lazio (il Tar) le società Arriva Italia S.r.l., Ferrotramviaria S.pA. e Consorzio Trasporti Aziende Pugliesi (congiuntamente, le Ricorrenti), contestando la scelta del MIT di dismettere la partecipazione, trasferendola a FS senza gara, in violazione degli obblighi di legge che prevedono che l’alienazione delle partecipazioni debba avvenire con modalità trasparenti e non discriminatorie. Inoltre, le ricorrenti hanno contestato la mancata notifica alla Commissione europea e il mancato rispetto dell’obbligo di stand still, previsti dall’articolo 108 del TFUE in caso di aiuti di Stato. Il TAR rigettava i ricorsi escludendo l’applicazione nel caso di specie delle norme sulle privatizzazioni poiché l’operazione in oggetto consisterebbe nella mera riallocazione della partecipazione di Ferrovie del Sud Est, che passava dal controllo diretto del MIT an controllo indiretto del Ministero del Tesoro, ossia nell’ambito di un medesimo insieme economico unitario, facente capo allo Stato, equivalente nella sostanza ad una riorganizzazione interna. Inoltre, non sarebbero applicabili gli obblighi previsti dal TFUE in materia di aiuti di Stato, poiché lo stanziamento dei 70 milioni era stato destinato esclusivamente alle esigenze di carattere infrastrutturale con riferimento alle ferrovie, un settore non aperto alla concorrenza.

A seguito dell’appello proposto dalle ricorrenti al Consiglio di Stato, quest’ultimo ha ritenuto che la fondatezza delle censure relative all’esistenza di un aiuto di Stato non sia di immediata evidenza, soppesando, nelle sue considerazioni, alcuni elementi a sostegno e a discredito di tale ipotesi. Tra i profili più rilevanti, sotto un primo aspetto si chiede il Consiglio di Stato se possa esservi un aiuto ex articolo 107 TFUE nel caso di una cessione azionaria che si esaurisce nel perimetro delle articolazioni statali. Il CdS rileva peraltro che FS è pur sempre la holding del gruppo che costituisce il principale operatore del settore del trasporto ferroviario e certamente la medesima rientra nella definizione di impresa ai fini del diritto della concorrenza, la cui applicazione prescinde dallo status giuridico delle società e dalle loro modalità di finanziamento. Allo stesso tempo, il CdS sottolinea che l’attività di trasporto ferroviario è ricompresa tra i servizi di interesse economico generale e le imprese che svolgono tale servizio potrebbero rientrare nell’applicazione delle regole speciali in materia di aiuti ex art. 106 TFUE.

Sotto un secondo profilo, il CdS, in maniera un po’ stravagante, ha considerato che, vista l’impossibilità constatata di risanare l’impresa senza l’apporto di nuovi capitali, il trasferimento di 70 milioni non sarebbe finalizzato a una migliore collocazione sul mercato della società, bensì al risanamento di un’azienda pubblica in situazione di squilibrio patrimoniale. La misura in oggetto dunque, potrebbe rientrare tra le legittime prerogative dell’azionista proprietario di assicurare la sopravvivenza della sua partecipata. In tal caso, dovrebbe negarsi l’effetto di alterazione della concorrenza a favore di soggetti specifici, richiesta dalla disciplina sugli aiuti di Stato. A ciò si aggiunga vi sarebbe un dubbio sulla configurazione di un aiuto nel caso in cui il beneficio economico sia intervenuto fra due entità interamente partecipate dallo Stato, nel caso di specie i due Ministeri, i quali non hanno bilanci autonomi ma si rifanno al medesimo bilancio statale. Da tal punto di vista, secondo il CdS, l’erogazione potrebbe essere considerata di fatto neutra.

Tuttavia, il CdS ha valutato anche le considerazioni delle ricorrenti, le quali hanno osservato come l’assenza dell’indizione di una gara non abbia permesso di svolgere il c.d. test dell’operatore privato in un’economia di mercato, al fine di identificare l’operatore più idoneo al quale trasferire la società e a determinarne il prezzo di mercato. A ciò le ricorrenti hanno aggiunto che la mancata notificazione dell’ipotetico aiuto non avrebbe permesso di verificare il rispetto dei principi, enunciati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, necessari per garantire la compatibilità di una misura con la disciplina sugli aiuti di Stato, verifica che dunque non è potuta avvenire, sottolineando inoltre l’orientamento della Corte secondo cui, in caso di mancato rispetto dell’obbligo di notifica preventiva, la misura è considerata in ogni caso illegittima. In aggiunta, il CdS dà atto che le ricorrenti richiamano la giurisprudenza comunitaria secondo cui l’esclusione dall’ambito di applicazione delle norme sugli aiuti di Stato dei finanziamenti pubblici all’infrastruttura ferroviaria è subordinata alla dimostrazione, da parte degli Stati, che tali interventi di sostegno non possano essere utilizzati per sovvenzionare, in via trasversale, altre attività economiche, dimostrazione non fornita nel caso di specie.

Alla luce delle considerazioni di cui sopra, il CdS ha ritenuto di formulare un rinvio pregiudiziale per chiedere alla Corte di Giustizia se una misura di sostegno economico avvenuta nel contesto e con le modalità in oggetto costituisca o meno un aiuto di Stato secondo la normativa comunitaria. In caso affermativo, il CdS ha chiesto di stabilire se “l’aiuto in questione sia comunque compatibile con il diritto dell’UE e quali siano le conseguenze della sua mancata notifica […]”.

Leonardo Stiz
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Legal News / Tutela del consumatore e clausole vessatorie – La Cassazione afferma la non vessatorietà di una clausola per il risarcimento in forma specifica inclusa nei contratti RC Auto

Con la  sentenza del 15 maggio scorso la Corte di Cassazione (Cassazione) ha ritenuto che la clausola di risarcimento in forma specifica contenuta nei moduli contrattuali di Unipol SAI S.p.A. (Unipol), che stabiliva l’obbligo per l’assicurato di rivolgersi esclusivamente a determinati soggetti per la riparazione del veicolo a fronte di un vantaggio economico e liberamente scelta dalla parte assicurata, non potesse considerarsi vessatoria, rigettando il ricorso presentato da Carrozzeria La Salle 2 S.r.l. (Carrozzeria) che aveva chiesto originariamente ai giudici di prime cure la condanna di Unipol al pagamento della somma residua spettante quale cessionaria del credito inerente il veicolo assicurato dalla medesima compagnia.

In principio fu il Giudice di pace di Torino che aveva rigettato le richieste della Carrozzeria ed aveva escluso sia l’applicabilità dell’articolo 1342 c.c. (che prevede la nullità delle clausole non specificatamente approvate per iscritto nei contratti conclusi tramite moduli e formulari), sia la vessatorietà della clausola in questione. Le valutazioni svolte in primo grado erano state poi confermate in appello, ove la Corte d’Appello di Torino aveva specificato che la clausola in questione (i) non rientrava nel campo di applicazione dell’articolo 1342 c.c. in quanto non stabiliva una limitazione di responsabilità a favore dell’assicurazione ma prevedeva un risarcimento in forma specifica; (ii) non poteva considerarsi vessatoria in quanto meramente riproduttiva di una disposizione di legge (ossia il risarcimento in forma specifica previsto dall’articolo 2058 c.c.); (iii) era facilmente conoscibile dall’assicurato; (iv) non determinava un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti da contratto ex art. 33 del Codice del Consumo (CdC).

La Cassazione ha confermato in toto il giudizio espresso dai giudici nei precedenti gradi di giudizio, escludendo la vessatorietà della clausola esaminata. In primo luogo, la Cassazione – richiamando l’orientamento per cui occorre distinguere tra clausole che attengono all’oggetto del contratto, specificando il rischio garantito, e clausole che limitano la responsabilità dell’assicuratore – ha ritenuto che la clausola in esame delineasse i limiti entro cui l’assicuratore era tenuto a rivalere l’assicurato del danno prodottogli dal sinistro e, siccome era intesa a precisare l’oggetto del contratto, non rientrava tra quelle limitatrici della responsabilità dell’assicuratore, non richiedendo quindi la specifica approvazione scritta. Infatti, per la Cassazione, tale clausola non impone “…un peso che rende eccessivamente difficoltosa la realizzazione del diritto dell’assicurato, bensì l’ordinario onere del contraente di produrre il titolo negoziale in base al quale chiede alla controparte l’adempimento della sua obbligazione…”. Inoltre, la Cassazione, ribadendo la chiarezza della clausola in quanto evidenziata in grassetto nel frontespizio della polizza, ha parimenti escluso che la stessa determinasse un “significativo squilibrio” tra diritti ed obblighi derivanti dal contratto in quanto il consumatore aveva assunto una libera scelta in forza della quale otteneva i vantaggi descritti in polizza ed a lui veniva semplicemente imposto di rivolgersi esclusivamente a determinati soggetti, senza alcun aggravio o limitazione dei propri diritti.

La Cassazione, con la sentenza in commento, sembra voler “riportare sulla retta via” le corti territoriali che avevano adottato (anche di recente) un diverso orientamento, discostandosi anche dall’apprezzamento dell’AGCM in materia. Tuttavia tale interpretazione appare più aderente alla ratio economica di alcune clausole opzionali incluse nei contratti RC Auto, tra cui quella per il risarcimento in forma specifica: dinanzi alla libera scelta del consumatore di includere tali clausole nel proprio modulo contrattuale per fruire di un beneficio economico - al contempo aderendo a meccanismi in vario modo delineati dalle compagnie assicurative per tentare di abbattere i costi sostenuti per la gestione dei sinistri (con effetto indiretto di abbattimento dei premi RC Auto a beneficio dell’intero sistema) – non può essere lamentata la vessatorietà della medesima allorquando (anche qui liberamente) si decide di non rispettare le condizioni del contratto che pure ci si era impegnati a rispettare.

Diversamente opinando – sembra potersi leggere tra le righe della sentenza in commento – potrebbero venir favoriti comportamenti speculativi volti ad incassare sconti sull’ammontare del premio per poi eludere gli obblighi contrattualmente assunti.

Cecilia Carli
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Concentrazioni e soglie per la notifica di un’operazione – L’Autorità antitrust della Germania e dell’Austria sottopongono a consultazione pubblica le linee guida sulla nuova soglia di notifica fondata sul valore dell’operazione

Il 14 maggio scorso, il Bundenskartellamt (l’Autorità antitrust tedesca) e il Bundeswettbewerbsbehörde (l’Autorità antitrust austriaca) (insieme, le Autorità) hanno sottoposto a consultazione pubblica una bozza di linee guida sulla nuova e integrativa soglia che rende obbligatoria la notifica di una concentrazione in Germania e Austria fondata sul “valore” dell’operazione.

Come noto, sono anni che si dibatte in merito all’opportunità di modificare le soglie per la notifica delle concentrazioni in diversi Stati europei, al fine di adattare le attuali soglie, basate di fatto esclusivamente sul fatturato delle aziende coinvolte, alla nuova (e più dinamica) realtà economica. Nel caso di specie, l’obiettivo del legislatore austriaco e tedesco (nonché dei molti fautori di una riforma in tal senso) è stato quello di evitare che operazioni di concentrazione in cui l’impresa da acquisire (la c.d. target) abbia (ad oggi) un fatturato ridotto, ma venga comunque acquistata per un corrispettivo molto elevato in relazione al suo potenziale, possa sfuggire al controllo delle autorità della concorrenza. Infatti, ad oggi, in vari paesi, imprese leader di mercato sono in grado di acquistare, anche ad un prezzo elevato, concorrenti emergenti senza che l’operazione venga notificata (e quindi valutata dal punto di vista del rispetto delle concorrenza).

Per tale motivo, lo scorso anno Austria e Germania hanno introdotto una soglia integrativa basata sul valore dell’operazione. Infatti, oltre alle soglie di fatturato “classiche”, ne è stata aggiunta una, subordinata, che, con riguardo alla Germania, prevede che un’operazione dovrà essere notificata all’autorità antitrust tedesca qualora, oltre a dei requisiti minimi di fatturato che devono essere sempre presenti, l'importo del corrispettivo per l'operazione superi i 400 milioni di euro e la target sia significativamente attiva in Germania. In relazione all’Austria, la nuova soglia del valore è di fatto analoga, con la differenza che il valore dell’operazione è fissato a 200 milioni e l’attività della target deve essere – ovviamente - in Austria.

Ed è proprio su come interpretare questi due requisiti che si concentrano le Linee Guida, le quali forniscono, oltre ad una (relativamente) dettagliata descrizione di tutti i possibili elementi da tenere in considerazione per la determinazione del valore e della significativa presenza locale, anche esempi pratici al fine di fornire alle imprese (e ai legali) una maggiore certezza e trasparenza.

Innanzitutto, in merito alla determinazione del valore, le Linee Guida affermano che questo debba ricomprendere non solo il prezzo di acquisto ma “…all assets and other monetary benefits…”. Ovviamente, il valore da prendere in considerazione riguarda solo il progetto di concentrazione in questione. Tuttavia, qualora un’operazione sia strettamente collegata a diverse e successive acquisizioni, il valore di ciascuna di tali operazioni deve essere considerato assieme per calcolare il valore della prima operazione.

Come evidenziato dalle stesse Linee Guida, il corrispettivo di acquisto in operazioni di M&A spesso include componenti di prezzo future e eventuali, non facilmente determinabili ex ante. Secondo le Linee Guida, anche queste componenti devono essere considerate e calcolate. Poiché tali valutazioni si basano (spesso) su assunti e previsioni, è necessario che il processo adottato per la determinazione del valore venga illustrato nel dettaglio. Ciò riguarda anche, e soprattutto, quei casi in cui il pagamento di una determinata somma è subordinata ad eventi futuri e incerti. In tali casi, ad esempio, le parti dovranno effettuare una stima della probabilità che tale evento si verifichi e tenere tale valore in considerazione nel calcolo finale.

Per tale motivo, le Linee Guida suggeriscono che il management delle imprese coinvolte confermi per iscritto la determinazione del valore indicata all’Autorità, così da facilitare il lavoro di verifica da parte delle Autorità. Le Parti dovranno altresì rivelare a queste ultime le basi di calcolo utilizzate per determinare il valore.

Le Linee Guida ricordano inoltre come sia responsabilità delle imprese coinvolte nell’operazione verificare il valore della stessa e, di conseguenza, valutare se l’operazione è soggetta a notifica, pena la violazione dell’obbligo di standstill.

In merito al requisito della “significativa attività” in Germania o Austria dell’impresa target, le Linee Guida indicano che, a seconda delle attività e dei settori coinvolti, possono essere utilizzati criteri differenti per misurarla. Sul punto, le Linee Guida si soffermano esclusivamente sul settore digitale, indicando come utili e importanti indicatori possono essere gli utenti attivi mensili o i c.d. visitatori unici di un sito.

Inoltre, le Linee Guida evidenziano come sia necessario che l’attività locale sia attuale. Di conseguenza, a differenza di quanto accade per i fatturati, dove si fa riferimento all’anno precedente alla notifica, la significativa attività della target va verificata al momento della notifica.

In conclusione, con le Linee Guida, attualmente sottoposte a consultazione pubblica, l’autorità tedesca e austriaca provano a fare maggiore chiarezza sull’interpretazione da dare a questa ulteriore soglia del valore introdotta recentemente nelle leggi antitrust di tali paesi. Sarà interessante seguire gli esiti di questa consultazione (da concludersi entro l’8 giugno), dato che la c.d. soglia del valore dell’operazione è un tema molto discusso e non è escluso che, in futuro, la sua introduzione possa essere proposta (proprio sulla scorta dell’esperienza tedesca e austriaca) nel regime di merger control di altri paesi o, addirittura, in quello europeo.

Jacopo Pelucchi