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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e settore del trasporto marittimo – Pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale Wahl: un altro tassello della saga degli aiuti di Stato nel trasporto marittimo in Italia

Con le conclusioni pubblicate il 13 settembre scorso nella causa C-387/17, l’Avvocato Generale (AG) Wahl si è pronunciato sul rinvio pregiudiziale proposto dalla Corte di Cassazione nel contenzioso tra Traghetti del Mediterraneo S.p.a. (ora in liquidazione) (TDM) e la Repubblica italiana per un risarcimento del danno (asseritamente) subito da TDM a causa della concessione di (illecite) sovvenzioni pubbliche a favore di Tirrenia nel periodo dal 1976 al 1980.

Di seguito si riportano i fatti principali della intricata vicenda, definita dallo stesso AG come una “saga giurisprudenziale” in cui “…le autorità italiane hanno dato prova di una certa inerzia e […] hanno rivaleggiato in audace inventiva nell’elaborazione di argomenti giuridici…”. Nel 1981, TDM citava in giudizio Tirrenia davanti al Tribunale di Napoli al fine di ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito a causa della politica di prezzi bassi praticata da Tirrenia fra il 1976 e il 1980 nell’ambito dei suoi servizi di collegamento marittimo. Secondo TDM, la politica di prezzi bassi era resa possibile grazie al versamento di sovvenzioni pubbliche in violazione delle norme sugli aiuti di Stato. Nel 1993 e nel 1996 prima il Tribunale poi la Corte di Appello di Napoli respingevano tale domanda. Nel 2000, anche il ricorso promosso dal curatore fallimentare di TDM veniva respinto dalla Cassazione, la quale, tra le altre cose, non rinviava alcune questioni di interpretazione del diritto UE in materia di aiuti di Stato alla Corte di Giustizia (CdG), come richiesto dal ricorrente. Nel 2002, TDM conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Genova, lo Stato italiano evocando la responsabilità dello Stato sia sotto il profilo dello “Stato-legislatore”, per avere erogato aiuti incompatibili con il Trattato UE, sia, nella veste di “Stato-giudice”, per aver violato l’obbligo di rinvio alla CdG. Il Tribunale di Genova, a seguito di un primo rinvio pregiudiziale, condannava lo Stato italiano al risarcimento dei danni cagionati dall’illecito commesso dallo “Stato-giudice”. Tale sentenza veniva a sua volta impugnata e infine annullata nel 2014. In appello, la Corte di Appello di Genova aveva escluso la responsabilità dello “Stato-giudice” ma riconosceva invece quella dello “Stato-legislatore”, obbligando così l’Italia al risarcimento del danno. In particolare, la Corte d Appello aveva ritenuto che gli aiuti in esame dovevano essere considerati come “aiuti nuovi” soggetti all’obbligo di notificazione ai sensi dell’art. 108, par. 3 TFUE e, poiché tale notificazione non era stata effettuata dallo Stato italiano, doveva essere constatata una violazione del diritto UE.

La sentenza da ultimo citata era stata impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in Cassazione. Quest’ultima, probabilmente alla luce del contenzioso precedente, ha questa volta chiesto l’intervento della CdG per diramare alcune questioni sull’interpretazione delle norme europee in materia di aiuti di Stato. In particolare, la CdG è stata chiamata a decidere se, ai fini della qualificazione di un aiuto come “esistente” (e non come “nuovo”) rileva il fatto che sia stato adottato prima della liberalizzazione del mercato pertinente (nel caso di specie, quello del cabotaggio marittimo). I risvolti pratici di tale diversa qualificazione sono noti: se un aiuto è “nuovo”, deve essere notificato, esaminato dalla Commissione e, in caso di incompatibilità, deve esserne ordinato il recupero. Al contrario, gli aiuti “esistenti” possono essere erogati finché la Commissione non ha constatato la loro incompatibilità; non devono essere notificati e non possono essere qualificati come illegali. Inoltre, in quest’ultimo caso, le misure applicabili dalla Commissione possono mirare unicamente alla modifica o alla soppressione per il futuro di tali regimi mentre non possono esigerne il recupero.

Nel caso di specie, secondo l’AG Wahl, in linea con la sentenza della Corte di Appello di Genova, la data di liberalizzazione non è sufficiente per escludere che si tratti di un aiuto nuovo qualora sia possibile dimostrare che la misura è stata adottata su un mercato già, in tutto o in parte, aperto alla concorrenza anche prima della data di liberalizzazione fatta a livello UE. Infatti, non è detto che “…taluni aiuti, anche in assenza di liberalizzazione, siano idonei a incidere sugli scambi tra Stati membri e falsare o minacciare di falsare la concorrenza…”. Nella vicenda in commento, l’AG Wahl ribadisce come una misura non possa essere qualificata come aiuto esistente “…solo a causa di una mancanza formale di liberalizzazione nella misura in cui è pacifico, da un lato, che tali aiuti erano in grado di incidere sugli scambi fra Stati membri e, dall’altro, che essi falsavano o minacciavano di falsare la concorrenza…”.

Nel caso in esame, le sovvenzioni annuali di cui Tirrenia ha beneficiato dal 1976 al 1980 costituivano aiuti di Stato che dovevano essere qualificati come aiuti nuovi e, pertanto, la Repubblica italiana avrebbe dovuto notificarli. Non avendolo fatto, devono essere qualificati come aiuti di Stato illegali.

L’AG Whal si esprime altresì sulla seconda questione sollevata dalla Cassazione, vertente nella sostanza su una asserita violazione del legittimo affidamento, nell’ambito dell’azione risarcitoria proposta nei confronti dello Stato italiano, dovuta alla scadenza del termine (decennale) di prescrizione in materia di recupero degli aiuti di Stato previsto dal Regolamento n. 659/99. L’AG afferma che il fatto che la Commissione non abbia adottato una decisione che si pronunciasse sulla legittimità e compatibilità degli aiuti non può avere come effetto quello di sanare tali misure. Infatti, la norma sulla prescrizione decennale si limita a circoscrivere i poteri della Commissione nel tempo riguardanti il recupero degli aiuti illegali. Al contrario, tale limitazione non incide sulla possibilità dei giudici nazionali di constatare che un aiuto è illegale (a causa dell’omessa notificazione). Infine, l’AG ha evidenziato come la tutela del legittimo affidamento non può essere invocata da un soggetto che abbia commesso una violazione della normativa vigente.

Non resta che attendere se la CdG seguirà quanto proposto dall’AG Wahl. Spetterà poi alla Cassazione, quale giudice di rinvio, mettere (forse) la parola fine su una “saga” che si protrae ormai da quasi quarant’anni.

Jacopo Pelucchi
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Trasporti  / Corte di Giustizia e settore del trasporto aereo – La Corte di Giustizia si è pronunciata, in via pregiudiziale, in materia di calcolo del rimborso dei biglietti aerei da parte del vettore in caso di cancellazione del volo, imbarco negato o prolungato ritardo

In seno ad una controversia nata di fronte al Tribunale circostanziale di Amburgo (il Tribunale), in Germania, la Corte di Giustizia (di seguito anche CdG) è stata chiamata dai giudici tedeschi a rispondere sull’interpretazione del Regolamento (CE) n. 261/2004 (il Regolamento), recante regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, cancellazione del volo o ritardo prolungato, in relazione al calcolo del rimborso dovuto dal vettore quando il biglietto aereo viene acquistato tramite intermediario.

In particolare, per quanto rileva nel caso di specie, l’art. 8, comma 1 lett. a) del suddetto Regolamento dispone che nelle circostanze menzionate al passeggero sia offerto, tra le altre opzioni, il “…rimborso, entro sette giorni […] del prezzo pieno del biglietto, allo stesso prezzo al quale è stato acquistato…”.

La controversia nasce a seguito dell’acquisto da parte di una famiglia tedesca (l’Acquirente) di biglietti aerei per un volo operato dalla compagnia Vueling Airlines (Vueling), tramite il sito internet dell’intermediario Opodo. Quest’ultimo, al momento dell’acquisto, ha addebitato all’Acquirente la cifra di euro 1.108,88, dando conferma dell’avvenuta transazione senza ulteriori precisazioni. Contemporaneamente, Opodo ha trasferito a Vueling la cifra di euro 1.031,88, trattenendo una commissione di euro 77. Tuttavia il volo non veniva operato, motivo per cui l’Acquirente ha richiesto alla compagnia aerea il rimborso dell’intero della cifra pagata, pari a euro 1.108,88. Vueling tuttavia, pur non contestando la fondatezza in sé della domanda, si è opposta al pagamento di tale cifra, acconsentendo invece di rimborsare all’Acquirente l’importo di 1.031,88 euro effettivamente incassato, sottraendo dunque l’ammontare della commissione pagata dal cliente ma trattenuta da Opodo.

Dopo l’approdo della controversia davanti al Tribunale, quest’ultimo ha sospeso il procedimento per chiedere alla CdG se con la nozione di “…rimborso del prezzo pieno del biglietto, allo stesso prezzo al quale è stato acquistato…” di cui all’art. 8, paragrafo 1 lett. a) del Regolamento, si debba intendere la somma versata dal passeggero per il biglietto aereo oppure la somma effettivamente percepita dal vettore qualora, nel processo di prenotazione, sia intervenuta una società di intermediazione che, senza peraltro dichiararlo, abbia lucrato sulla differenza tra i due menzionati importi.

La CdG, in apertura alla sua analisi, ha chiarito che l’intento del Regolamento non è solo quello di garantire un livello elevato di protezione dei passeggeri ma anche di assicurare un equilibrio tra gli interessi di tali passeggeri e quelli dei vettori aerei. Inoltre, la CdG ha sottolineato che l’articolo 8 del Regolamento stabilisce un legame diretto tra la nozione di “biglietto” e l’espressione “prezzo al quale è stato acquistato”. Tuttavia, a tal riguardo, è necessario attenersi alla definizione di biglietto fornita dal Regolamento stesso, all’art. 2, il quale stabilisce che un “biglietto” costituisce un documento o un titolo equivalente in forma non cartacea, compresa la forma elettronica, “emesso o autorizzato” dalla compagnia aerea. Ne consegue, dunque, che tutte le componenti del biglietto, ivi incluso il prezzo, devono essere, nel caso in cui il biglietto non sia emesso dal vettore, in ogni caso autorizzate da quest’ultimo, e pertanto non possono essere fissate a sua insaputa.

Di conseguenza, ha concluso la CdG, in linea di principio la commissione trattenuta da un intermediario deve essere considerata come una componente del prezzo da rimborsare ai passeggeri in caso di cancellazione del volo da parte della compagnia aerea. Tuttavia, in virtù del bilanciamento tra gli interessi dei consumatori e dei vettori aerei e sulla base della definizione di “biglietto”, tale inclusione deve essere soggetta ad alcuni limiti, in specie quello della conoscenza da parte del vettore della presenza di una commissione applicata dall’intermediario al momento dell’acquisto dei biglietti per il tramite di quest’ultimo.

In conclusione dunque, la CdG ha stabilito che l’art. 8, comma 1, lett. a) del Regolamento deve essere interpretato nel senso che il prezzo del biglietto da considerare ai fini del calcolo del rimborso include la commissione percepita dall’intermediario, a meno che tale commissione sia stata fissata all’insaputa del vettore aereo in questione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

Leonardo Stiz
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Legal News / Riparto di competenze tra autorità e pratiche commerciali aggressive nel settore delle comunicazioni elettroniche - Per la Corte di Giustizia è l’AGCM competente ad irrogare sanzioni nel settore delle comunicazioni elettroniche in materia di pratiche commerciali aggressive

Lo scorso 13 settembre, nell’ambito delle cause riunite C-54/17 e C-55/17, la Corte di Giustizia Europea (CdG) ha reso in via pregiudiziale l’attesa  sentenza riguardante il riparto di competenze tra l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) e l’Autorità per le Garanzie sulle Comunicazioni (Agcom) in materia di pratiche scorrette.

La vicenda trae origine da due provvedimenti del 2012 con i quali l’AGCM aveva comminato sanzioni nei confronti di Wind Telecomunicazioni S.p.A. (oggi, WindTre) e Vodafone Omnitel NV (oggi, Vodafone), rispettivamente per € 200.000 ed € 250.000, per la messa in commercio e vendita di SIM card con alcuni servizi a pagamento preimpostati (tra cui, servizi di navigazione internet e segreteria telefonica), senza che tale circostanza venisse portata a conoscenza del consumatore in maniera adeguata.

A seguito dei ricorsi presentati da WindTre e Vodafone, il Tar Lazio aveva annullato tali decisioni ritenendo sussistente, per la fattispecie in esame, la competenza dell’Agcom (e non quella dell’AGCM).

Nell’ambito del giudizio di appello, il Consiglio di Stato aveva rimesso la questione all’Adunanza Plenaria, la quale, sposando l’interpretazione più aderente alla normativa comunitaria di riferimento, aveva ribadito l’approccio secondo cui la valutazione di una mera violazione di obblighi informativi nel comparto delle comunicazioni elettroniche spetta all’autorità di regolazione (l’Agcom), mentre, in maniera più ampia, la tutela dei consumatori rispetto alle pratiche commerciali aggressive (come, ad esempio, l’attivazione di forniture non richieste) appartiene all’AGCM. Ciononostante, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, reinvestita nuovamente della questione, non aveva sciolto le proprie riserve ed ha, quindi, chiamato la CdG a pronunciarsi in via pregiudiziale.

In buona sostanza, il quesito formulato dal Consiglio di Stato ruota intorno alla qualificazione della summenzionata condotta posta in essere da WindTre e Vodafone, dal momento che questa, se assimilata ad un’attivazione non richiesta e, quindi, in ossequio alla normativa comunitaria applicabile (in particolare, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali), inquadrabile come una pratica commerciale aggressiva, non risulterebbe essere soggetta allo scrutinio dell’Agcom.

Da un punto di vista fattuale, pur spettando al giudice del rinvio la verifica - in particolare, se un consumatore medio sia nelle condizioni di presumere che tali servizi siano effettivamente già attivi sulla SIM acquistata e se possa agevolmente adoperarsi per disdirli ove non interessato a fruire degli stessi -, la CdG evidenzia come un siffatto comportamento, quale quello adottato dalle due compagnie telefoniche, appare idoneo a determinare un’ipotesi di fornitura non richiesta (e, di conseguenza, di pratica commerciale aggressiva), dal momento che i servizi sulle SIM venivano attivati in assenza di un consenso espresso (e, quindi, di una scelta) prestato dal consumatore. D’altro canto, l’art. 8 della Direttiva 2005/29, non sembra residuare molti dubbi al riguardo, prevedendo che: “…è considerata aggressiva una pratica commerciale che […] mediante […] indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso…”.

La palla passa ora nelle mani del giudice del rinvio che dovrà valutare se confermare il principio sancito dalla CdG (e, prima ancora, dall’Adunanza Plenaria) secondo cui, nei casi – quali quello in questione – di forniture non richieste (rientranti nella nozione di pratica commerciale aggressiva) in materia di comunicazioni elettroniche è l’AGCM competente ad irrogare sanzioni (e non l’autorità di regolazione settoriale).

Filippo Alberti