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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Intese e circolazione della responsabilità antitrust – Il Tribunale di Primo Grado dell’Unione europea ribadisce la personalità della responsabilità antitrust e l’eccezionalità del principio della continuità economica

Coveris Rigid France (Coveris), società di diritto francese appartenente al gruppo Huhtamäki, al tempo dei fatti rilevanti attiva nella produzione di vassoi in polistirolo per il confezionamento di prodotti alimentari, nel 2015 era stata sanzionata dalla Commissione europea (Commissione) con una ammenda pari a 4.756.000 di euro, in solido con la società holding del gruppo, per aver partecipato ad un cartello tra diverse imprese attive nella produzione dei suddetti vassoi in polistirolo. In particolare, la Commissione aveva accertato l’esistenza di cinque distinti cartelli, avvenuti tra il 2000 e il 2008, in distinti mercati rilevanti diversi all’interno dell’Unione europea. A Coveris era stata imputata l’infrazione relativa al mercato francese (il Cartello francese), durata dal settembre 2004 al novembre 2005, mentre un’altra società portoghese del medesimo gruppo era stata parimenti sanzionata dalla Commissione per aver preso parte al separato cartello avvenuto nel mercato dell’ovest europeo durante il medesimo periodo.

Nel luglio 2006, successivamente alla cessazione dell’infrazione, il gruppo Huhtamäki aveva ceduto il ramo di azienda di Coveris inerente alle attività oggetto del cartello alla società Ono Packaging, (Ono), appartenente ad un altro e separato gruppo societario. Nel contesto della medesima operazione era avvenuta anche la cessione, allo stesso gruppo acquirente, della totalità delle azioni della società portoghese di cui sopra, la quale successivamente veniva rinominata Ono Packaging Portugal (OP).

Sulla base di un siffatto contesto fattuale, Coveris aveva impugnato la decisione del 2015 di fronte al Tribunale dell’Unione europea (Tribunale), chiedendone l’annullamento nella parte in cui le imputa la partecipazione al Cartello francese. Il principale motivo di doglianza si sofferma sull’erronea applicazione, da parte della Commissione, del principio della responsabilità personale, poiché secondo la ricorrente la società a cui attribuire la responsabilità per l’infrazione sarebbe invero Ono, successiva acquirente del ramo di azienda rilevante di Coveris. In primis, quest’ultima ha sostenuto che la vendita di tali asset nonché delle azioni di OP al medesimo acquirente costituirebbe una medesima operazione, pur costituita da due parti, avente natura mista in quanto comprendente la cessione sia di cespiti aziendali, sia di titoli azionari. Pertanto, la Commissione avrebbe dovuto seguire i canoni del diritto contrattuale e societario, secondo cui si è in presenza di una singola operazione e trattare Coveris e OP come un’unica entità economica. In tale ottica, la responsabilità per l’infrazione del diritto della concorrenza, rispettivamente per i diversi cartelli francese e portoghese, non poteva che essere stata trasferita in maniera identica sia in relazione al cartello in Francia, sia per quanto concerne quello in Spagna e Portogallo.

Su tale premessa che qualcuno potrebbe definire “creativa”, Coveris ha affermato come sarebbe stato necessario per la Commissione esaminare il caso in base ad un approccio olistico, che partisse dal presupposto di un’unica operazione di vendita degli asset e delle azioni delle imprese del gruppo a cui era stata attribuita la responsabilità per aver partecipato ai distinti cartelli qui in rilievo, e che portasse a ritenere responsabile per entrambe le infrazioni unicamente la società acquirente. E ciò nonostante Coveris rimanesse in esistenza sia dal punto di vista giuridico, sia economico. Secondo la ricorrente, invero, la responsabilità per la violazione della normativa antitrust avrebbe dovuto seguire il ramo di azienda rilevante per il cartello e non essere imputata alla persona giuridica in quanto tale.

Il Tribunale tuttavia ha rigettato gli argomenti proposti da Coveris. In primis, i giudici hanno (curiosamente) osservato come il mero fatto che due società separate siano interamente controllate dalla medesima holding è insufficiente in sé a dimostrare che esse costituiscono un’unica entità economica con il risultato per cui, secondo il diritto della concorrenza, la responsabilità per i fatti commessi da una possa essere attribuita anche all’altra. Il fatto che, secondo i canoni del diritto contrattuale-societario, due compravendite possano in realtà costituire un’unica operazione è secondo il Tribunale irrilevante ai fini dell’applicazione del principio della responsabilità personale. A tal riguardo, il Tribunale ha sottolineato che una deviazione dal principio della responsabilità personale per violazioni del diritto antitrust è ammissibile solo al ricorrere di circostanze eccezionali, in particolare quando la persona giuridica direttamente partecipante ceda i propri cespiti aziendali e successivamente si estingua, rendendo dunque impossibile ogni intervento sanzionatorio contro la stessa. In tal caso, dunque, la responsabilità circola insieme al compendio aziendale e pertanto potrà essere riconosciuta in capo all’impresa acquirente.

Nel caso di specie era tuttavia pacifico che Coveris, dopo aver venduto i cespiti inerenti al settore in questione, era comunque rimasta esistente ed operativa. Pertanto, il Tribunale non poteva che concludere per la mancata sussistenza delle condizioni per trasferire la responsabilità per la partecipazione al Cartello francese all’acquirente Ono. Parimenti il Tribunale non ha accolto l’argomento secondo cui l’operazione di trasferimento degli asset sarebbe in realtà corrispondente ad una ristrutturazione interna per via della continuità degli stessi tra il cedente ed il cessionario, e pertanto il principio della continuità economica comporterebbe la responsabilità di Ono. A tal riguardo, il Tribunale ha chiarito che secondo il criterio della continuità economica, la responsabilità può essere attribuita anche all’impresa acquirente soltanto quando è provata la malafede delle due parti dell’operazione, al fine di evitare le sanzioni. Anche tale circostanza risultava non provata nel caso di specie e, pertanto, il Tribunale ha concluso circa la non sussistenza delle condizioni per deviare dal principio della responsabilità personale.

Leonardo Stiz
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Excessive pricing e settore farmaceutico – L’Unione europea ricorda come il divieto di imposizione di prezzi eccessivi ex art. 102 TFUE deve essere applicato a qualsiasi prodotto e servizio, compresi quelli farmaceutici, senza che però ciò ostacoli lo sviluppo e l’innovazione del settore

Il divieto di imposizione di prezzi eccessivi (c.d. excessive pricing) da parte di un’impresa in posizione dominante deve essere applicato anche ai prodotti farmaceutici e medicinali, dovendo in questi casi le autorità antitrust comunque tenere in debita considerazione le caratteristiche peculiari del settore e dei relativi prodotti e operare in modo tale da non ostacolare l’innovazione e gli investimenti in ricerca e sviluppo.

Questo il messaggio che l’Unione europea ha inteso lanciare in occasione della 130esima edizione dell'OECD Competition Commitee. Nel proprio intervento pubblicato lo scorso 28 novembre, l’Unione Europea ha infatti ricordato come il divieto di abuso di posizione dominante di cui all’art. 102 TFUE colpisca non solo le condotte escludenti poste in essere da un’impresa con potere di mercato a danno dei propri concorrenti ma altresì quelle condotte puramente abusive, quali l’imposizione di prezzi eccessivi, suscettibili di pregiudicare il c.d. “consumer welfare”, che, a sua volta, costituisce l’obiettivo primario della normativa a tutela della concorrenza.

L’applicazione del divieto di excessive pricing deve essere quindi garantita in qualunque settore, ivi compreso quello farmaceutico, benché lo stesso presenti delle caratteristiche peculiari tali da non rendere sempre agevole per l’autorità antitrust accertare se un determinato prezzo sia effettivamente eccessivo. Tali difficoltà sono in primo luogo determinate dalle caratteristiche del settore, connotato da una domanda fortemente anelastica, che rimane spesso invariata anche a fronte di significativi aumenti di prezzo. Anche le diverse fasi del ciclo di vita medio di un prodotto farmaceutico hanno una elevata incidenza sulla determinazione dei prezzi da praticare e, conseguentemente, sulla valutazione in merito alla loro effettiva iniquità.

In particolare, vengono in rilievo tre distinte fasi: (i) una prima fase di ricerca e sviluppo, spesso molto lunga e costosa, durante la quale l’impresa farmaceutica non genera alcun profitto; (ii) una seconda fase, caratterizzata dal lancio sul mercato del nuovo prodotto scoperto, che spesso viene coperto da diritti di esclusiva e brevetti, che permettono all’impresa produttrice di essere “premiata” per gli investimenti sopportati; e (iii) un terza fase, che si apre una volta cessata la tutela brevettuale e di esclusiva, in cui la vendita del medicinale avviene in concorrenza con altri farmaci c.d. “generici”, con conseguente riduzione dei prezzi di acquisto. Tuttavia, se ciò non avviene, questo potrebbe essere un chiaro indizio di excessive pricing rispetto al quale l’autorità antitrust deve intervenire.

Non è infatti un caso che i principali procedimenti istruttori avviati (e spesso conclusi con l’irrogazione di ingenti sanzioni) da parte delle autorità antitrust nazionali e della Commissione europea (Commissione) nel settore farmaceutico abbiano riguardato prodotti non più coperti da brevetti e altre forme di esclusiva. Tra i tanti, nel documento in parola vengono ricordati il caso Aspen (commentato in questa Newsletter), concluso nel settembre 2016 dall’AGCM italiana, che ha sanzionato Aspen per aver applicato prezzi ingiustificatamente elevati per la vendita di taluni medicinali anti-tumorali (gli aumenti sono stati calcolati tra il 300% e il 1500%), ovvero la decisione della CMA inglese del dicembre 2016, con la quale quest’ultima autorità ha accertato e sanzionato due abusi rispettivamente posti in essere dal produttore Pzifer e dal proprio distributore all’ingrosso Flynn, e consistenti nell’applicazione di prezzi oggettivamente eccessivi per la vendita di un farmaco anti-epilettico. Entrambe tali decisioni sono state oggetto di appello innanzi ai rispettivi giudici nazionali e, nel caso di Pzifer/Flynn, la corte inglese ha confermato la decisione della CMA con riferimento all’individuazione del mercato rilevante e alla sussistenza di una posizione dominante, annullandola tuttavia nella parte relativa all’analisi delle condotte asseritamente abusive. Anche la Commissione ha avviato nel maggio 2017 un procedimento istruttorio avente ad oggetto una presunta condotta di excessive princing posta in essere da Aspen all’interno dello Spazio Economico Europeo, ad eccezione dell’Italia.

L’intervento in commento dimostra quindi la sempre più crescente attenzione delle autorità antitrust al fenomeno dell’execessive pricing in generale – si veda al riguardo anche il recente seminario della’ICN in merito tenutosi ad inizio novembre in Sud Africa – e in particolare con riferimento all’industria farmaceutica.

Tuttavia, numerosi sono gli interrogativi che rimangono aperti. Primo fra tutti il metodo da impiegare per accertare in concreto se un determinato prezzo sia effettivamente eccessivo – rispetto al quale nel documento si sottolinea come non esista un unico metodo di analisi, godendo l’autorità antitrust di un certo “margine di manovra” –, e soprattutto quale sia il “prezzo corretto” che l’impresa dominante dovrebbe applicare al fine di eliminare gli effetti abusivi della propria condotta.

Martina Bischetti
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Diritto della concorrenza UE e commissioni interbancarie – La Commissione pubblica gli impegni proposti da Visa e Mastercard nell’ambito del procedimento relativo a possibili violazioni del diritto della concorrenza nel settore delle commissioni interbancarie inter-regionali e invita tutti i soggetti interessati ad inviare i propri commenti

Sono stati pubblicati gli impegni presentati da Visa Inc. e Visa International Service Association (Visa) e, separatamente, da MasterCard Incorporated, MasterCard International Incorporated e MasterCard Europe SA (MasterCard) (congiuntamente, le Società) nell’ambito del procedimento relativo a possibili violazioni del diritto della concorrenza nel settore delle commissioni interbancarie inter-regionali. Per ricevere commenti sul testo pubblicato, la Commissione europea (Commissione) ha aperto una consultazione invitando tutti i soggetti interessati ad inviare i propri commenti.

Nel dicembre 2007, la Commissione aveva stabilito che le commissioni interbancarie sulle transazioni cross-border nell’Area Economica Europea (EEA) applicate da MasterCard costituissero una limitazione della concorrenza tra banche, con una decisione confermata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CdG) già analizzata in una precedente Newsletter. Nel 2009, MasterCard riduceva tali commissioni ad una media ponderata massima dello 0.2% del valore della transazione per carte di debito e dello 0.3% per carte di credito, seppure limitatamente alle transazioni intra-EEA. Nel 2010 e nel 2014, la Commissione adottava decisioni per rendere vincolanti gli impegni proposti da Visa di limitare ai medesimi livelli le commissioni applicate, rispettivamente, alle transazioni con carte di debito e alle carte di credito intra-EEA, all’interno del proprio network.

Peraltro, questi impegni non erano applicabili alle transazioni interregionali, ossia effettuate all’interno dell’EEA con carte di debito o di credito emesse all’esterno dell’EEA; pertanto, la Commissione ha successivamente inviato alle Società, rispettivamente nel 2015 e nel 2017, due lettere degli addebiti con riferimento a quest’ultima tipologia di transazione. Il sospetto di incompatibilità con il mercato interno origina dal fatto che commissioni interbancarie interregionali più elevate rispetto alle commissioni intra-EEA avrebbero secondo la Commissione l’effetto di comportare una spesa maggiore, e dunque un maggiore (ed anticoncorrenziale) ricarico, per i commercianti al dettaglio europei che accettano pagamenti da carte emesse all’esterno dell’EEA, con la conseguenza ultima di provocare un rialzo dei prezzi di beni e servizi al consumatore all’interno della EEA.

Per risolvere le preoccupazioni della Commissione, le Società hanno separatamente presentato proposte di impegni, che ridurrebbero fortemente le commissioni interbancarie interregionali allineandole a quelle applicate alle transazioni intra-EEA. In particolare, le Società hanno proposto di ridurre le commissioni applicate alle transazioni effettuate alla presenza fisica del titolare della carta (“Card Present Transaction”) ai livelli identici a quelli applicati alle transazioni intra-EEA (0.2% e 0.3%, rispettivamente, con riferimento a carte di debito o di credito), e di ridurre le commissioni applicate alle transazioni effettuate a distanza (p.e., online) (“Card Not Present Transactions”) all’1.15% e all’1.50%, rispettivamente, per carte di debito o di credito.

In aggiunta, le Società hanno proposto di impegnarsi a: (i) prendere misure per portare a conoscenza dei commercianti interessati il cambiamento nei tassi di commissione, attraverso la notifica diretta a ciascun commerciante nonché l’esposizione delle nuove condizioni sul proprio sito internet; a (ii) nominare un monitoring trustee per il controllo su base regolare del rispetto degli impegni; nonché, da ultimo, a (iii) non aggirare, direttamente o indirettamente, tali misure, tramite qualsiasi pratica che potrebbe comportare un effetto equivalente. Il periodo di tempo proposto dalle società in relazione alla validità di simili misure è pari a cinque anni e sei mesi.

Riccardo Fadiga
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Tutela del consumatore e PCS / Social network e big data – L’AGCM sanziona Facebook per 10 milioni di euro per violazioni del Codice del Consumo relative all’uso dei dati degli utenti a fini commerciali

Con la decisione pubblicata il 7 dicembre scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato, per un importo totale di 10 milioni di euro, Facebook Inc. e Facebook Ireland Ltd. (insieme, Facebook o la Società) per due distinte pratiche commerciali scorrette aventi ad oggetto la raccolta, lo scambio con terzi e l’utilizzo, a fini commerciali, dei dati dei propri utenti-consumatori.

In particolare, l’AGCM ha sanzionato Facebook in quanto: (i) nella fase di prima registrazione dell’utente a Facebook (sia sito web, sia app, insieme la Piattaforma), la Società avrebbe adottato “…un’informativa priva di immediatezza, chiarezza e completezza…” con riguardo alla propria attività di raccolta e utilizzo, a fini commerciali, dei dati dei propri utenti (Pratica A) e (ii) avrebbe applicato, in relazione ai propri utenti registrati, un meccanismo che, da ultimo, comporterebbe la trasmissione dei dati degli utenti dalla Piattaforma di Facebook a siti web/app di terzi e viceversa, senza il preventivo consenso espresso dell’utente, per l’utilizzo di tali dati a fini di profilazione e commerciali (Pratica B).

In merito alla Pratica A, l’AGCM ha contestato, tra le altre cose, il claim presente nell’homepage di Facebook al momento di registrazione della Piattaforma che sottolineava la gratuità del servizio offerto (“Iscriviti. E’ gratis e lo sarà per sempre”). Secondo l’AGCM, tale claim si porrebbe in contrato con il (noto) business model della Società, che si fonda sulla raccolta e lo sfruttamento dei dati degli utenti a fini remunerativi. Pertanto, tali dati si configurerebbero come una vera e propria “…contro-prestazione del servizio offerto dal social network, in quanto dotati di valore commerciale…”.

Le informazioni fornite all’utente sul punto risulterebbero “…generiche ed incomplete…”. Infatti, l’AGCM rileva come, nelle informative presenti su Facebook, non sarebbe stato adeguatamente distinto, da un lato, l’utilizzo dei dati funzionale alla personalizzazione del servizio (con l’obiettivo di facilitare la socializzazione con altri utenti) e, dall’altro, l’utilizzo dei dati per realizzare campagne pubblicitarie mirate. In particolare, non vi sarebbe “…un adeguato alert che informi gli utenti, con immediatezza ed efficacia, in merito alla centralità del valore commerciale dei propri dati rispetto al servizio di social network offerto…”:

Con riguardo alla Pratica B, l’AGCM rileva come l’attuale opzione a disposizione dell’utente di autorizzare (o meno) la trasmissione dei propri dati da Facebook a siti web di terzi risulta preimpostata sul consenso all’integrazione tecnica tra Facebook e i siti web/app di terzi. In tale modo, secondo l’AGCM, si tradurrebbe in una mera facoltà di opt-out. Sempre sul punto, l’AGCM evidenzia altresì come un’eventuale disattivazione di tale integrazione avrebbe conseguenze penalizzanti per l’utente sia nell’utilizzo di Facebook, sia nell’accessibilità e fruizione di siti web/app di terzi, disincentivando, di conseguenza, tale scelta.

Inoltre, l’AGCM rileva come l’utente venisse indotto a credere che, in caso di disattivazione dalla Piattaforma, non avrebbe potuto più accedere ai siti web o app di terzi usando Facebook, quando in realtà la restrizione riguardava solo l’accesso tramite l’account Facebook e non l’accesso in assoluto. Secondo l’AGCM, tale meccanismo, anche grazie al wording utilizzato nel fornire le informazioni, avrebbe creato un evidente effetto di lock-in a danno degli utenti registrati.

Nel contesto del Procedimento, Facebook ha sostenuto, tra le altre cose, con riguardo alla Pratica A, che “…i consumatori […] non verrebbero fuorvianti dalla indicazione che Facebook è un servizio gratuito alla luce del significato comune che chiaramente ha il termine gratuito […] vale a dire, che non vi è alcun costo finanziario…”. In merito alla Pratica B, Facebook ha sostenuto che l’utente, al fine di poter completare la procedura di autorizzazione all’integrazione dei servizi, “…deve attivarsi per porre in essere determinati passaggi, rimanendo sempre libero di interrompere la procedura ed effettuare il log-in con modalità alternative…”.

A nulla è valso infine il tentativo di Facebook di ricondurre le pratiche citate nell’ambito delle attribuzioni esclusive del Garante della Privacy. Infatti, come ricordato dall’AGCM, la circostanza che alle condotte contestate sia applicabile la normativa sulla privacy non esonera la Società dal rispettare le norme a tutela dei consumatori, dato che le due discipline “…hanno un campo di applicazione materiale differente e perseguono interessi distinti…”.

Per ciascuna delle pratiche sopra descritte, l’AGCM ha applicato una sanzione parti a 5 milioni di euro, sottolineando i profili di particolare scorrettezza e gravità delle condotte poste in essere da Facebook, nonché della durata (almeno dal maggio 2008 e, ad oggi, risulterebbero tuttora in corso) e della rilevante dimensione economica della Società.

Non resta che attendere il prevedibile appello da parte di Facebook davanti ai giudici amministrativi.

Jacopo Pelucchi