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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Direttiva sul private enforcement e diritto nazionale – L’Avvocato Generale Kokott ha presentato le proprie conclusioni sul primo caso sottoposto alla Corte di Giustizia in relazione alla “direttiva danni”

L’Avvocato Generale Kokott (AG) ha presentato le proprie conclusioni nel contesto di una domanda di pronuncia pregiudiziale posta alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) dal Tribunale di Lisbona (il Tribunale), relativamente all’efficacia della Direttiva 2014/104/UE (la Direttiva) in materia di azioni di risarcimento del danno derivante da violazioni del diritto antitrust europeo.

La controversia sottesa alla richiesta di rinvio pregiudiziale ha avuto inizio quando, nel giugno 2013, l’Autorità della concorrenza portoghese (l’Autorità) aveva sanzionato la società Sport TV Portugal e i suoi due soci per abuso di posizione dominante nel mercato dei servizi televisivi a pagamento, a danni della società Cogeco Communications Inc. (Cogeco), indirettamente attiva nel medesimo mercato. L’Autorità aveva comminato sanzioni per quasi 4 milioni, accertando una violazione sia della normativa portoghese in materia di concorrenza, sia dell’art. 102 TFUE. Tali sanzioni erano state successivamente ridotte dal Tribunale della Concorrenza portoghese a seguito dell’esclusione dell’applicabilità dell’art. 102 TFUE. Nel febbraio 2015 Cogeco ha quindi intentato un’azione civile di risarcimento del danno asseritamente subito a seguito della condotta abusiva. Assume rilevanza nel caso di specie sottolineare che i fatti della controversia si siano verificati prima dell’entrata in vigore della Direttiva, mentre l’azione di risarcimento del danno è stata proposta dopo l’entrata in vigore della stessa ma prima della scadenza del termine per la sua trasposizione nel diritto nazionale (alla quale il Portogallo ancora non aveva provveduto).

Investito del compito di giudicare la controversia, il Tribunale ha tuttavia proposto un rinvio pregiudiziale alla CdG al fine di verificare se due disposizioni del diritto portoghese fossero in contrasto con la Direttiva e con i principi del diritto UE applicabili. La prima delle due disposizioni nazionali stabilisce che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in tre anni a decorrere dalla data in cui la parte lesa è venuta a conoscenza del diritto che le spetta, pur senza conoscere l’identità del responsabile e l’entità complessiva dei danni. La seconda norma poneva invece dei dubbi interpretativi circa il valore probatorio della decisione di una autorità di concorrenza in un giudizio civile.

Con un primo ordine di quesiti, il Tribunale in primis ha chiesto alla CdG se la Direttiva e l’art. 102 TFUE possano esplicare un’efficacia diretta nell’ambito della controversia in oggetto. Nell’opinione dell’AG (ed al di là della questione circa l’applicabilità diretta di una direttiva) poiché i fatti rilevanti della controversia non ricadono nell’ambito temporale di applicazione della Direttiva in oggetto, vi sono forti dubbi circa l’applicabilità in particolare degli articoli della stessa che riguardano la prescrizione e il valore probatorio delle decisioni dell’Autorità. L’AG infatti rileva che l’art. 22 della direttiva vieta l’applicazione retroattiva delle disposizioni sostanziali, permettendola invece per quanto riguarda quelle procedurali. Secondo l’AG pertanto assume rilevanza la circostanza che i fatti della controversia sono precedenti all’entrata in vigore della Direttiva e che la domanda di risarcimento è stata presentata prima della scadenza del termine per la trasposizione nel diritto portoghese.

Con un secondo quesito, il Tribunale ha chiesto alla CdG se la Direttiva e i principi applicabili del diritto UE ostino a un regime nazionale sulla prescrizione del diritto al risarcimento del danno così come disciplinato dalla prima norma di diritto portoghese qui in rilievo. Al riguardo, poiché, come visto con la risposta al primo quesito, l’AG ritiene l’inapplicabilità ratione temporis della Direttiva, il secondo quesito è stato analizzato alla luce dell’art. 102 TFUE e, in particolare, del principio di effettività, ai sensi del quale il diritto degli Stati membri non deve impedire l’applicazione effettiva del diritto UE. Secondo l’AG una siffatta norma di prescrizione sarebbe incompatibile con tale principio, poiché la non conoscenza dell’identità della persona che ha cagionato il danno, assieme alla circostanza per cui la pendenza di un procedimento avviato dall’Autorità non interrompe il termine triennale, rendono eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al risarcimento.

Con il terzo quesito posto dal Tribunale viene chiesto quale sia il valore probatorio delle decisioni delle autorità della concorrenza nazionali. In particolare, è richiesto se la Direttiva o i principi rilevanti del diritto UE ostino a una norma la quale può essere interpretata sia nel senso che tali decisioni non producono effetti nei procedimenti civili di risarcimento del danno, sia che possano costituire una presunzione relativa. Ancora una volta, tale quesito secondo l’AG non può essere affrontato alla luce della Direttiva (che prevede un termine di prescrizione quinquennale) bensì alla luce del principio di effettività e dell’art. 102 TFUE. In particolare, il principio di effettività impedirebbe che alle decisioni delle autorità che accertano violazioni del diritto della concorrenza non venga attribuito alcun valore nelle cause di risarcimento danni, poiché ciò renderebbe l’esercizio di tale diritto eccessivamente difficile. Dall’altro lato, secondo l’AG dal solo principio di effettività non può desumersi che le decisioni delle autorità debbano avere una valenza inconfutabile non appena raggiungano forza di giudicato. L’AG ha dunque concluso che in materia, il principio di effettività impone di conferire all’accertamento di un’infrazione del diritto della concorrenza quantomeno un valore di “indizio” nel procedimento per il risarcimento del danno. Pertanto, il diritto UE non osta all’applicazione della normativa portoghese in parola solamente se interpretata nel senso che tali decisioni abbiano valore di presunzione relativa circa i fatti alla base della sanzione imposta.

Come precisato dall’AG, si tratta della prima volta in cui la CdG è chiamata a pronunciarsi sulla Direttiva in materia di private enforcement. Nelle conclusioni in esame appare particolarmente rilevante la conclusione secondo cui le disposizioni sostanziali della Direttiva non sarebbero in alcun modo applicabili ratione temporis a controversie relative a fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore e in cui la domanda di risarcimento è stata proposta prima della scadenza del termine per la trasposizione. In particolare, la rilevanza dei fatti antecedenti all’entrata in vigore della direttiva costituisce un fattore importante per l’applicazione della Direttiva, poiché, ad oggi, un importante numero di controversie si basa su fatti avvenuti prima del 2014. Inoltre, non è chiaro se l’AG abbia inteso raggiungere una siffatta conclusione solamente sulla base della storicità dei fatti sottesi alla controversia ovvero anche in funzione della tempistica della domanda. Non resta che attendere il giudizio della Corte di Giustizia sulla questione.

Leonardo Stiz
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Riforma diritto antitrust e poteri delle autorità nazionali – Adottata la Direttiva volta ad aumentare l’efficacia dell’enforcement da parte delle autorità garanti della concorrenza nazionali

Il 14 gennaio scorso il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno approvato la Direttiva (la Direttiva) volta a garantire alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri (ANC) poteri di applicazione delle regole di concorrenza più efficaci. Obiettivo della Direttiva è far sì che le ANC dispongano “…delle garanzie di indipendenza, delle risorse e dei poteri di indagine e sanzionatori necessari per applicare efficacemente gli articoli 101 e 102 TFUE…”. Come riconosciuto nelle stesse premesse del testo legislativo, la Direttiva avrà inevitabilmente un impatto sul diritto nazionale della concorrenza applicato parallelamente dalle ANC.

Come ricordato nel commento alla Proposta di Direttiva (si veda sul punto la Newsletter del 27 marzo 2017), la volontà delle istituzioni europee era quella di dotare le ANC degli strumenti (minimi) per poter applicare in modo uniforme ed efficace la legislazione europea in materia antitrust. Infatti, come ricordato dalla Direttiva, in vari casi la legislazione nazionale impedisce a molte ANC di disporre delle garanzie di indipendenza, delle risorse e dei poteri di indagine e sanzionatori che risultano necessari per applicare efficacemente le norme dell'Unione europea in materia di concorrenza. Risulterebbe per esempio che, ai sensi del diritto nazionale “…molte ANC non hanno strumenti efficaci per rinvenire le prove di infrazioni degli articoli 101 e 102 TFUE o per irrogare ammende alle imprese che violano la legge, oppure non dispongono di risorse umane e finanziarie adeguate né dell'indipendenza operativa necessarie per applicare efficacemente gli articoli in questione…”.

Per ovviare a tali problematiche, la Direttiva ordina agli Stati Membri di intervenire nei propri ordinamenti inter alia con i seguenti obiettivi:

-     adozione di un adeguato quadro di autonomia e indipendenza rispetto al potere governativo. La Direttiva prevede, ad esempio, la possibilità che i commissari possano essere rimossi dall’incarico solamente se non soddisfano più le condizioni richieste per lo svolgimento dei loro compiti o se responsabili di gravi illeciti;
-     attribuzione di risorse (finanziarie e umane) sufficienti al fine di svolgere adeguatamente le loro funzioni;
-     attribuzione di poteri di indagine che permettano ai funzionari, ad esempio, di accedere a informazioni relative a un potenziale illecito antitrust indipendentemente dal supporto (fisico o digitale) su cui sono archiviate e di effettuare ispezioni non solo presso la sede dell’impresa ma altresì presso le abitazioni dei dipendenti (previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria);
-     imposizione di misure cautelari nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave e irreparabile;
-     imposizione di sanzioni proporzionate e con effetto dissuasivo (fissando quale limite minimo della sanzione massima il 10% del fatturato globale dell’impresa interessata), nonché applicazione di penalità di mora in caso di ritardo nel pagamento della sanzione;
-     previsione di condizioni generali (e comuni) per l’applicazione dei programmi di leniency, sia dal punto di vista sostanziale (contenuto e requisiti da soddisfare per poter beneficiare del trattamento), sia da quello procedurale (forma delle dichiarazioni, marker, domande semplificate).

Seppur delineate in termini generali, quanto contenuto nella Direttiva è già stato in larga parte attuato in Italia e i poteri e le modalità operative dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) non presenteranno particolari mutamenti. Tuttavia, di particolare rilevanza sarà sicuramente la possibilità per l’AGCM di effettuare ispezioni (anche) presso le abitazioni dei dipendenti delle imprese coinvolte in un (asserito) illecito. Ad oggi, infatti, i funzionari dell’AGCM, e la guardia di finanza che li accompagna, possono effettuare le ispezioni esclusivamente presso i locali delle società coinvolte. L’attuazione di tale norma riallineerebbe così i poteri dell’AGCM a quelli della Commissione.

Gli Stati Membri hanno due anni di tempo per dare seguito alla Direttiva. Non resterà che monitorarne attentamente la definitiva implementazione negli ordinamenti nazionali: come al solito, the devil is in the detail!

Jacopo Pelucchi
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Concentrazioni e diritto di difesa – La Corte di Giustizia dell’UE conferma l’annullamento della decisione della Commissione con la quale era stata vietata l’acquisizione di TNT Express da parte di UPS per violazione del diritto di difesa

La Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG), con la sentenza del 16 gennaio scorso, ha respinto l’impugnazione della sentenza del 7 marzo 2017, già commentata in questa Newsletter, con cui il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) aveva annullato la decisione della Commissione europea (Commissione) che aveva vietato la proposta di acquisizione di TNT Express NV (TNT) da parte di United Parcel Service Inc. (UPS) (congiuntamente, le Parti).

Secondo quanto rilevato a suo tempo dal Tribunale, e ribadito avanti alla CdG da parte di UPS, la Commissione avrebbe adottato la decisione controversa fondando la propria valutazione degli effetti della proposta concentrazione tra TNT e UPS su un modello econometrico diverso da quello comunicato alle parti durante la fase della comunicazione degli addebiti del procedimento. Questo avrebbe violato il diritto alla difesa delle Parti, in quanto avrebbe impedito una efficace argomentazione difensiva precludendo loro la possibilità di impiegare argomenti aderenti al modello econometrico effettivamente impiegato dalla Commissione.

Per giunta, quand’anche la Commissione avesse voluto modificare la sostanza del modello econometrico impiegato a fondamento della propria decisione, e attestato che tale decisione rientrerebbe di per sé nel pieno delle prerogative di quest’ultima, il Tribunale aveva rilevato che tale scelta avrebbe potuto non essere illegittima ove la Commissione avesse comunicato tale cambiamento alle Parti e offerto loro la possibilità di argomentare le proprie posizioni in merito; la Commissione invece, ingiustificatamente non provvedendo ad alcuna di tali due misure, non avrebbe efficacemente salvaguardato il diritto alla difesa delle Parti.

La Commissione, a sostegno della sua impugnazione secondo cui sarebbe stato insufficiente per determinare l’annullamento della propria decisione il rilievo che il modello econometrico impiegato nella decisione finale (per concludere la presenza di un sostanziale rischio di incremento dei prezzi nei mercati interessati) differisse da quello comunicato alle Parti nella fase di comunicazione degli addebiti, ha argomentato l’assenza di un ipotetico obbligo, a proprio carico, di divulgazione e/o comunicazione alle Parti delle eventuali valutazioni intermedie successive alla comunicazione degli addebiti, essendo quest’ultima comunque provvisoria e suscettibile di modifiche. In particolare, la Commissione ha rilevato che il diritto di accesso al fascicolo non si estende ai documenti interni della Commissione, e dunque l’unico obbligo in questo senso a cui la Commissione è assoggettata è quello di motivazione della decisione.

La CdG ha tuttavia ritenuto che il rispetto dei diritti di difesa esiga che le parti del procedimento vengano messe in condizione di manifestare “…utilmente il loro punto di vista…” riguardo agli elementi concreti sui quali la Commissione intende fondare la propria decisione, e che, pertanto, il cambiamento della sostanza del modello econometrico impiegato a fondamento della valutazione della Commissione, ove tale cambiamento non venga reso noto alle parti dando a queste la possibilità di esprimere le proprie posizioni in merito, irrimediabilmente precluda il rispetto di tali diritti. Di conseguenza, la CdG ha respinto l’impugnazione della sentenza del Tribunale, così confermando l’annullamento della decisione della Commissione.

Riccardo Fadiga
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Diritto della concorrenza Italia / Bid rigging e settore della sanità – Il Consiglio di Stato conferma l’annullamento della decisione dell’AGCM sulla gara ‘SORESA’ per la fornitura di apparecchiature per la risonanza magnetica

Lo scorso 14 gennaio il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto il ricorso presentato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) contro la sentenza del TAR Lazio (TAR) che aveva annullato la decisione adottata dall’AGCM il 5 agosto 2011. Questa sanzionava, per un totale di oltre € 5 milioni, quattro società – Philips S.p.A. (Philips), Siemens Healthcare Diagnostics S.r.l. (Siemens), Toshiba Medical Systems Italia S.r.l. (Toshiba) e Alliance Medical S.r.l (Alliance) (di seguito congiuntamente le Parti) – per aver asseritamente concordato in maniera illecita la propria partecipazione alla gara bandita dalla Società Regionale Sanità S.p.A. (SORESA), volta all’acquisto e noleggio di sette apparecchiature per la risonanza magnetica per alcune strutture ospedaliere site nella Regione Campania.

Il CdS ha rigettato interamente il ricorso presentato dall’AGCM, accogliendo in toto le conclusioni a cui era precedentemente giunto il TAR, il quale aveva concluso per l’inesistenza dell’asserita intesa restrittiva della concorrenza individuata dall’AGCM.

La ricorrente, in particolare, aveva cercato di sostenere che il TAR avesse erroneamente interpretato il testo del verbale di una riunione – tenutasi presso la sede di Alliance tra le Parti coinvolte – in occasione della quale quest’ultime si sarebbero scambiate informazioni di natura sensibile, concernenti le valutazioni su una loro possibile partecipazione alla gara, e avrebbero concluso un vero e proprio accordo di bid rigging al fine di coordinare le rispettive strategie di offerta. Il risultato di tale accordo – secondo l’AGCM – sarebbe stata la costituzione di un’associazione temporanea d’impresa (ATI) tra Alliance e Siemens tramite cui realizzare il disegno spartitorio. L’ATI in questione, infatti, oltre a fornire tre macchinari prodotti da Siemens (destinati all’acquisto), avrebbe acquistato i rimanenti quattro (destinati al noleggio) in sub-fornitura da Toshiba e Philips, le quali, come contropartita, si sarebbero astenute dal partecipare alla gara in maniera autonoma e quindi in concorrenza con l’ATI.

Con riferimento allo scambio di informazioni concretizzatosi durante la riunione, il CdS ritiene che queste non possano considerarsi sensibili – e quindi idonee ad influenzare la condotta delle Parti – bensì di “contenuto generico ed indeterminato” e senza una “valenza univoca”, in quanto lasciavano inalterato il grado di incertezza relativo al numero di operatori che avrebbero effettivamente partecipato alla formulazione delle offerte.

Relativamente alla ipotizzata concertazione collusiva in relazione alla gara, il CdS critica le risultanze istruttorie a cui è giunta l’AGCM, in particolare per non aver analizzato correttamente la natura di Alliance quale service provider e, quindi, operatore non in diretta concorrenza con le altre tre società bensì in una relazione verticale con le medesime, il quale non soddisfaceva i requisiti indicati nel capitolato di gara e necessari per la partecipazione a quest’ultima (in quanto non produce né commercializza le apparecchiature interessate). Pertanto, così come riconosciuto dal TAR, il CdS ribadisce che lo scopo dell’incontro risulta essere lecito in quanto meramente volto a permettere ad Alliance di sondare la possibilità di partecipare alla gara in oggetto tramite la costituzione di un’ATI con Siemens (soggetto in possesso dei requisiti necessari) e l’acquisto da Toshiba e Philips della strumentazione necessaria alla manutenzione delle apparecchiature.

Da ultimo, il CdS, adottando la stessa analisi effettuata dal TAR, ritiene che l’AGCM abbia qualificato erroneamente il comportamento in oggetto come violazione dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in quanto questo richiederebbe l’esistenza di un pregiudizio al commercio fra Stati Membri. Il CdS, riconoscendo la correttezza delle conclusioni del TAR, osserva che la gara in questione “…rappresentava un fenomeno estremamente circoscritto…”, in quanto “…non riguardava neppure l’intero territorio di uno Stato Membro…” bensì “…una frazione estremamente ridotta del mercato italiano…”. Non risulta però chiaro, da una prima lettura della sentenza del CdS, se questa errata qualificazione avrebbe di per se potuto comportare l’annullamento del provvedimento in assenza degli errori interpretativi sopra esposti.

Luca Feltrin