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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Commissione europea e risarcimento del danno antitrust – Pubblicate le Linee guida per il calcolo del sovrapprezzo determinato da una condotta illecita e trasferito in capo ad un acquirente indiretto

Lo scorso 1 luglio, la Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato le Linee guida – ad espresso beneficio dei giudici nazionali degli Stati membri dell’Unione europea (UE) – concernenti le modalità di stima della parte di sovrapprezzo (determinato dall’adozione di una condotta contraria al diritto della concorrenza) trasferita sull’acquirente indiretto (le Linee guida). Tramite l’emanazione delle Linee Guida, la Commissione ha aggiunto un ulteriore prezioso tassello al mosaico – normativo ed informativo – faticosamente costruito negli ultimi anni e volto a fornire una disciplina completa di stimolo delle azioni di risarcimento danni a seguito di violazioni antitrust (il c.d. ‘Pacchetto danni’). Questo sistema di norme e c.d. soft law – che vede come proprio elemento centrale la Direttiva n. 104 del 26 novembre 2014 (la Direttiva 104), nella quale anche le summenzionate Linee guida trovano la propria ‘base giuridica’ – è già stato precedentemente arricchito dalla pubblicazione sia di comunicazioni di ‘chiarimento’ da parte della Commissione stessa (si veda, la Comunicazione relativa alla quantificazione del danno nelle azioni di risarcimento), che di relazioni ed approfondimenti prodotti anche con il contributo di studi legali, Think tank ed altri specialisti antitrust.

Prima di concentrarsi sull’analisi delle Linee guida, occorre meglio identificare il concetto cardine oggetto delle medesime, ossia il ‘trasferimento del sovrapprezzo’ (o ‘passing on’). Si ha una situazione di tal genere ogniqualvolta un acquirente diretto trasferisca il c.d. ‘sovrapprezzo’ (ossia la maggiorazione del prezzo del prodotto/servizio interessato e originato dall’adozione di una condotta anticoncorrenziale precedentemente corrisposto all’autore della violazione antitrust) in capo ad un ulteriore acquirente indiretto, traslando quindi su quest’ultimo gli effetti negativi della condotta in esame.

Concentrandosi sulle Linee guida qui in oggetto, si sottolinea come la ratio sottesa alla loro emanazione risieda principalmente nella volontà espressa della Commissione di fornire agli organi giurisdizionali nazionali, nonché alle parti interessate in un procedimento per danni, “orientamenti pratici sulle modalità di stima del trasferimento del sovrapprezzo”. Così facendo, quindi, la Commissione intende suggerire quali siano i principi economici, le diverse metodologie, le fonti probatorie (le quali possono ricomprendere anche le dichiarazioni delle parti interessate, nonché perizie di esperti economisti) su cui il giudice nazionale adito dovrebbe basare la propria analisi, al fine di emanare una decisione realmente ponderata e giustificata in tema di risarcimento. Ciò, naturalmente, si basa sul principio ormai consolidato secondo cui a ‘tutti’ (quindi, acquirenti diretti e indiretti) è riconosciuto il diritto di richiedere il risarcimento (ricomprendente sia il damnum emergens che il lucrum cessans) di un danno derivante da una condotta anticoncorrenziale. Come riconosciuto dalle Linee guida (e peraltro in linea anche con il nostro sistema civilistico di responsabilità civile), il soggetto richiedente, infatti, dev’essere posto nella situazione in cui si sarebbe trovato se la violazione contestata non avesse avuto luogo (‘principio compensativo’). A tal scopo, il giudice dovrà basarsi sul confronto della situazione sottoposta alla sua attenzione con uno ‘scenario controfattuale’, ossia una situazione puramente ipotetica in cui non ha avuto luogo alcuna violazione.

Come meglio specificato nelle Linee guida, i giudici aditi devono, inoltre, prestare particolare attenzione ad alcuni tra i principi fondanti il funzionamento dell’UE, ossia il principio di equivalenza (necessità di assicurare che le norme nazionali che disciplinano il risarcimento del danno per violazione degli articoli 101 e 102 TFUE non siano meno favorevoli di quelle volte a disciplinare azioni simili) e quello di efficacia (i giudici interessati devono applicare la normativa nazionale in modo da non rendere particolarmente difficile o impossibile il richiedere un risarcimento per una violazione della normativa europea). A risultato di ciò, i giudici nazionali devono definire “un’approssimazione plausibile” dell’importo o della parte del sovrapprezzo oggetto di trasferimento, al fine quindi – in ultimo – di quantificare il danno che dovrà essere imputato all’autore della violazione.

Coerentemente con le caratteristiche del c.d. passing-on,  le Linee guida possono risultare utili sia in situazioni in cui siano adottate a difesa della posizione dell’autore di una violazione concorrenziale nei confronti di una domanda di risarcimento (assurgendo così a ruolo di “scudo”), sia quando, invece, debbano avvalorare quantitativamente la pretesa risarcitoria di un acquirente indiretto precedentemente leso dall’applicazione di un sovrapprezzo (rivestendo, così, la funzione di “spada”). Naturalmente, l’onus probandi relativo al diverso ‘utilizzo’ del trasferimento risulta sensibilmente diverso. Nel primo caso, infatti, l’onere ricadrà in capo al convenuto, il quale dovrà quindi dimostrare che il richiedente attore ha traslato il sovrapprezzo in questione, de facto rifacendosi dello stesso sui propri clienti. Nel secondo caso, invece, sarà onere dell’acquirente indiretto il dover provare l’esistenza del suddetto trasferimento a suo danno. Esclusivamente in relazione a tale ultimo punto – le presenti Linee Guida richiamano la ‘presunzione relativa’ prevista espressamente dalla Direttiva 104, secondo cui si ritiene provato il trasferimento del sovraprezzo nel caso in cui sia stato dimostrato: (a) che il convenuto ha commesso una violazione della normativa antitrust UE (un elemento peraltro di frequentemente soddisfatto da un previo accertamento di un’autorità antitrust); (b) che tale violazione ha determinato l’applicazione di un sovrapprezzo (elemento a sua volta presunto nel caso delle infrazioni più gravi, i.e. cartelli); e (c) che vi è stato acquisto di un bene (o servizio) oggetto della stessa violazione o ad essa strettamente collegata. La vera ‘attività’ richiesta all’acquirente indiretto, quindi, concerne la prova del nesso di causalità tra la sua situazione specifica e la violazione antitrust in questione, poiché i primi due punti sopra richiamati trovano già riscontro nella decisione della Commissione su cui l’azione tipicamente si basa.

Nonostante le Linee guida non abbiano carattere vincolante, è probabile che queste si guadagneranno un ruolo di sicura importanza in tutti i procedimenti nazionali per risarcimento danni derivanti da violazioni antitrust di livello comunitario. Come sperimentato in situazioni similari, infatti, i giudici, con grande probabilità, tenderanno a riconoscere un deciso ruolo ‘chiarificatore’ alla Linee guida e, quindi, ad attribuire a quest’ultime quel valore ‘quasi vincolante’ che de facto non è stato loro riconosciuto ab origine dal legislatore europeo.

Luca Feltrin
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Restrizioni verticali e vendita di merchandising – La Commissione europea sanziona Sanrio Company Ltd per avere imposto limitazioni territoriali attraverso licenze di sfruttamento di proprietà intellettuale

La Commissione europea (Commissione) ha irrogato una sanzione nei confronti di Sanrio Company Ltd. (Sanrio) per avere messo in atto restrizioni verticali della concorrenza. Sanrio è una società giapponese che progetta, produce e commercializza, prodotti che riproducono una serie di personaggi immaginari di cui detiene i diritti di proprietà intellettuale, tra cui il più famoso è il gatto antropomorfo “Hello Kitty”. Sanrio abitualmente concede licenze di sfruttamento di tali diritti a terzi (Licenziatari) affinché questi possano produrre e commercializzare una varietà di oggetti riproducenti i personaggi (Merchandising).

In particolare, la Commissione europea (Commissione) ha concluso che Sanrio avrebbe imposto ai Licenziatari condizioni contrattuali restrittive della concorrenza per limitare la capacità di questi ultimi di vendere il Merchandising all’esterno del territorio individuato per ciascuno di essi, in particolare attraverso (i) clausole espresse di divieto di vendita all’esterno di un determinato territorio; (ii) l’imposizione dell’obbligo di rinviare a Sanrio stessa tutti gli ordini provenienti dall’esterno di un determinato territorio; o anche (iii) limitando le lingue usate sul Merchandising. Sanrio avrebbe poi accertato il rispetto di tali limitazioni conducendo attività di audit nei confronti dei Licenziatari e negando il rinnovo delle licenze a quelli che avesse trovato in violazione di dette limitazioni.

La Commissione ha, di conseguenza, irrogato una sanzione a Sanrio, peraltro valorizzando in primo luogo il fatto che l’impresa abbia collaborato estensivamente con la Commissione durante le indagini, anche fornendo evidenze rilevanti; e, in secondo luogo, che Sanrio abbia espressamente riconosciuto sia i fatti, sia le infrazioni che le erano state contestate, con un livello di cooperazione equiparabile a quello tipicamente richiesto ad un partecipante ad un programma di clemenza (programmi che, come è noto, non sono attualmente disponibili per restrizioni verticali, sia a livello europeo, sia a livello nazionale). Pertanto, la Commissione ha quantificato la sanzione finale nella misura di 6,2 milioni di euro, applicando un significativo sconto, pari al 40% sull’importo base della sanzione.

Quest’ultima scelta rispecchia la prassi più recente della Commissione di applicare sconti significativi sulle sanzioni in ragione di una piena collaborazione nell’indagine, senza in questo caso peraltro ricorrere anche allo strumento del settlement, e risulterà certamente interessante leggerne la motivazione per esteso quando la decisione sarà pubblicata (attualmente è solo disponibile un comunicato stampa). La decisione in commento conferma altresì la rinnovata attenzione della Commissione, negli ultimi due anni, nei confronti di restrizioni verticali tese a limitare la circolazione e vendite dei beni e servizi nel mercato comune europeo.

Riccardo Fadiga
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Facilitazione di un’intesa e criteri di calcolo delle sanzioni – La Corte di giustizia conferma la sentenza del Tribunale che annulla parzialmente la sanzione irrogata dalla Commissione nei confronti di ICAP

La Corte di giustizia dell’Unione europea (Corte) ha confermato la sentenza del Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) che annullava, nella parte della quantificazione della sanzione, la decisione con cui la Commissione europea (Commissione) sanzionava per 14,9 milioni di euro le imprese di servizi di intermediazione e servizi di post-negoziazione Icap plc (nei diritti e negli obblighi della quale è subentrata la NEX International Limited), Icap Management Services Ltd e Icap New Zealand Ltd (congiuntamente, ICAP).
 
Già nel 2013, la Commissione aveva sanzionato le infrazioni dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) commesse da diverse banche, essenzialmente consistenti nella manipolazione dei tassi di riferimento interbancari London Interbank Offered Rate (LIBOR) e Tokyo Interbank Offered Rate (TIBOR) sul mercato dei derivati sui tassi di interesse in yen giapponesi. Con una successiva decisione del 2015, la Commissione aveva inoltre irrogato, nel contesto della medesima decisione, sei sanzioni, una per ciascuna infrazione già contestata, nei confronti di ICAP, per avere “facilitato” l’illecito antitrust attraverso (i) la fornitura del canale di comunicazione attraverso cui l’intesa era stata materialmente attuata; e (ii) la diffusione di informazioni previsionali sui tassi di interesse intese a orientare le scelte delle banche che non partecipavano all’intesa in materia di fissazione dei tassi di interesse in yen giapponesi. 
 
La determinazione dell’ ammenda da irrogare a ICAP risultava tuttavia ostacolata dal fatto che il punto di partenza per la quantificazione della sanzione identificato dagli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (Orientamenti) è il fatturato generato dall’impresa sul mercato rilevante per l’intesa; ma che, dall’altro, ICAP non generava un fatturato sul mercato rilevante dei tassi di interesse. Né, tantomeno, sarebbe risultata rappresentativa della dimensione economica dell’infrazione una sanzione calcolata prendendo come valore base il fatturato realizzato da ICAP attraverso la fornitura dei servizi di intermediazione. Di conseguenza, la Commissione, in osservanza del punto 37 degli Orientamenti, ha stabilito una sanzione forfettaria basandosi sulla natura, sulla durata e sulla gravità dell’infrazione. 
 
La decisione è stata parzialmente annullata dal Tribunale in sede di impugnazione del provvedimento perché, inter alia, la Commissione avrebbe mancato di esporre esaustivamente il ragionamento adottato nella quantificazione della sanzione, non rispettando l’obbligo di motivazione, di portata tanto più importante nel caso di determinazione di una sanzione forfettaria come quella in discorso in merito a cui la Commissione gode di ampia discrezionalità. 
 
Disponendo sull’appello proposto dalla Commissione avverso la sentenza di annullamento emessa dal Tribunale, con la sentenza in commento la Corte ha stabilito, rigettando le argomentazioni della Commissione, che, 
 
(a) da un lato, non possono rilevare, ai fini dell’osservanza dell’obbligo di motivazione, le informazioni comunicate dalla Commissione alla parte interessata durante i colloqui esplorativi e informali nell’ambito del procedimento amministrativo, e che risultano altrettanto irrilevanti per la valutazione dell’espletamento di tale obbligo nella decisione le informazioni fornite successivamente nel corso della fase contenziosa dinnanzi al Tribunale; 
 
(b) dall’altro lato, la Corte ha anche confermato i rilievi del Tribunale in merito all’assenza di precisazioni circa il metodo prescelto dalla Commissione per quantificare la sanzione, poiché questa si sarebbe limitata a fornire indicazioni di carattere generale  sul fatto che gli importi stabiliti riflettevano la gravità, la durata, e la natura della partecipazione di ICAP alle infrazioni in discorso; di conseguenza, la Corte ha respinto interamente l’impugnazione. 
 
La sentenza in commento appare quindi di notevole rilevanza pratica, in quanto  segnala una forte volontà di assicurare che la Commissione adempia pienamente e completamente all’obbligo di motivazione, specialmente quando esercita una forte discrezionalità come nel caso di specie. 
 
Riccardo Fadiga
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Intese e settore degli imballaggi alimentari –  Annullata parzialmente la decisione della Commissione per difetto di motivazione in relazione alla quantificazione della riduzione della sanzione

Il Tribunale dell’UE (Tribunale), con sentenza dell’11 luglio 2019, ha accolto parzialmente il ricorso presentato dal Consorzio Cooperative di Produzione e Lavoro (CCPL), dalla sua controllata Coopbox group S.p.A e da alcune controllate di quest’ultima (congiuntamente, le Ricorrenti) avverso la decisione del 24 giugno 2015 (la Decisione Impugnata) con cui la Commissione Europea (Commissione) aveva accertato il loro coinvolgimento in relazione a più intese distinte (tre su cinque di quelle complessivamente accertate) nel settore degli imballaggi alimentari per la vendita al dettaglio tra il 2000 e il 2008.

Parallelamente, le impugnazioni presentate dagli altri quattro partecipanti alle infrazioni sono stati tutti integralmente respinti dal Tribunale.

Il ricorso in commento ha trovato accoglimento limitatamente al lamentato vizio di motivazione, in relazione alla spiegazione offerta dalla Commissione nella Decisione Impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la riduzione accordata sull’importo della sanzione, quantificato nella misura del 25%, fosse sufficiente ad evitare la liquidazione forzata delle odierne Ricorrenti, che si trovavano in uno stato di crisi.

La Commissione, a fronte degli elementi presentati a sostegno dell’incapacità contributiva delle odierne Ricorrenti, aveva effettuato alcune considerazioni sul punto nell’Allegato IV della Decisione Impugnata. In particolare, la Commissione aveva preso in esame il piano di ristrutturazione a cui andavano incontro le Ricorrenti che avrebbe consentito, attraverso la dismissione di alcuni rami d’azienda, di conseguire ricavi per 165 milioni di euro. Di questi, tuttavia, solo 5 milioni sarebbero stati destinati al pagamento della sanzione. La Commissione aveva ritenuto di non poter accettare che fosse data priorità al soddisfacimento dei creditori rispetto al pagamento della sanzione, soprattutto a fronte dell’accantonamento effettuato nel 2013 dalle Ricorrenti ai fini del pagamento della stessa, pari a 45 milioni di euro. Essa ha considerato, inoltre, che le Ricorrenti avrebbero potuto ottenere risorse ulteriori rispetto a quelle previste dal piano di ristrutturazione attraverso la vendita di alcune partecipazioni di minoranza detenute in altre società e dal possibile sostegno finanziario prestato dall’azionariato. Parallelamente, la Commissione aveva riconosciuto che il pagamento della sanzione, alla luce delle circostanze in cui versavano le Ricorrenti, avrebbe potuto determinarne la liquidazione coatta. Ciò posto, aveva accordato una riduzione del 25% della sanzione, ritenuta sufficiente a scongiurare il rischio di liquidazione.

Il Tribunale ha riconosciuto che la Commissione aveva fornito adeguata motivazione in relazione alle ragioni per cui aveva deciso di accogliere parzialmente l’istanza di incapacità contributiva, e in relazione ai motivi per cui aveva ritenuto che le Ricorrenti potessero versare a titolo di sanzione una somma superiore a 5 milioni di euro. Tuttavia, secondo il Tribunale “…nessun elemento contenuto in detta decisione consente di capire i motivi per cui [la Commissione] ha ritenuto che una tale riduzione, né più né meno, sarebbe sufficiente per evitare che le ammende inflitte alle ricorrenti compromettano seriamente la redditività del gruppo CCPL…”

Da ciò deriva che la Commissione non ha adempiuto all’onere motivazionale gravante su di essa, in quanto la Decisione Impugnata, per come formulata sul punto in esame, non era idonea a “….fornire all’interessato un’indicazione sufficiente per sapere se la decisione [fosse] eventualmente affetta da un vizio che consent[iva] di contestarne la validità, oltre che di consentire un controllo giurisdizionale…”.

Infine, il Tribunale chiarisce che le conclusioni di cui sopra non sono inficiate dalla circostanza che la Commissione avesse fornito ulteriori chiarimenti sulla ragione per cui aveva ritenuto sufficiente la soglia del 25% in sede di controricorso davanti al Tribunale stesso, in quanto “…in linea di principio, la motivazione deve essere comunicata all’interessato contemporaneamente alla decisione che gli arreca pregiudizio. La mancanza di motivazione non può essere regolarizzata dal fatto che l’interessato apprenda i motivi della decisione nel corso del procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione…”.

Ciò posto, il Tribunale ha ritenuto che la Decisione Impugnata fosse viziata da insufficienza di motivazione e ne ha disposto l’annullamento nei limiti di quanto illustrato sopra.

La sentenza in commento, ritenendo non assolto l’obbligo motivazionale pur in presenza della approfondita disamina delle condizioni economiche delle Ricorrenti effettuata dalla Commissione, deve essere benvenuta e testimonia il rigore con cui viene valutato il rispetto degli oneri motivazionali da parte della Commissione. Resta ora da vedere se questo approccio sarà confermato dalla  Corte di Giustizia, qualora le Parti decidano di impugnare la sentenza in commento.

Roberta Laghi
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Golden Powers e telecomunicazioni – Approvato il decreto legge per la sicurezza del 5G

Lo scorso 11 luglio è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto legge n. 64 recante modifiche alla normativa posta a fondamento della disciplina del Golden Power, il D.L. n. 21/2012, con cui sono state introdotte rilevanti disposizioni soprattutto con riferimento al settore del 5G, aventi un impatto sia a livello sostanziale che procedurale. In particolare,  le modifiche principali prevedono che:

-    la stipula di contratti o accordi aventi ad oggetto l’acquisto di beni o servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione delle reti inerenti i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G, ovvero l’acquisizione di componenti ad alta intensità tecnologica funzionali alle predette realizzazioni o gestioni, quando posti in essere con soggetti extra-UE, è soggetta alla notifica alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al fine dell’eventuale esercizio del potere di veto o dell’imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni;

-     sono oggetto di valutazione – inter alia – anche gli elementi indicanti la presenza di fattori di vulnerabilità che potrebbero compromettere l’integrità e la sicurezza delle reti e dei dati che vi transitano;
 
- in sede di prima applicazione delle sopra citate disposizioni, al momento della notifica, l’impresa notificante deve fornire altresì una informativa completa sui contratti o accordi, la cui è efficacia è cessata alla data del 26 marzo 2019;

A livello procedurale (in tutti i settori) è ora prescritto che l’impresa acquirente dei beni o dei servizi sopra indicati dovrà effettuare la notifica entro 10 giorni dalla conclusione del contratto o dell’accordo e la Presidenza del Consiglio deve, entro il termine (più lungo rispetto a quanto precedentemente previsto) di 45 giorni dalla notifica, comunicare l’eventuale veto ovvero l’imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni.

I poteri speciali sono esercitati nella forma di imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni ogniqualvolta ciò sia sufficiente ad assicurare la tutela degli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. Una volta decorsi i predetti termini, senza emanazione di un simile provvedimento, i poteri speciali si intendono non esercitati. Anche per quanto concerne tale disciplina, è prevista l’eventuale sospensione del termine di 45 giorni per la richiesta di informazioni, che dovranno essere rese entro il termine di 30 giorni. Solo in materia di 5G è previsto altresì che qualora sia necessario svolgere approfondimenti riguardanti aspetti tecnici relativi alla valutazione di possibili fattori di vulnerabilità che potrebbero compromettere l’integrità e la sicurezza delle reti e dei dati che vi transitano, il termine di 45 giorni previsto è sospeso fino a 45 giorni, prorogabili una sola volta in caso di particolare complessità, con un significativo allungamento dei termini rispetto agli altri settori oggetto dei c.d. Golden Powers.

Il nuovo decreto prevede anche un regime sanzionatorio ad hoc, in quanto il Governo può ingiungere all’impresa acquirente e all’eventuale controparte di ripristinare a proprie spese la situazione anteriore e, salvo che il fatto costituisca reato, può sanzionare chiunque non osservi gli obblighi di notifica con una sanzione amministrativa pecuniaria fino al doppio del valore dell’operazione e comunque non inferiore all’uno per cento del medesimo valore.

Non resta che attendere quali saranno le applicazioni concrete di tali disposizioni, anche in vista della consultazione pubblica avviata dal Governo in merito alla individuazione di modalità di notifica semplificate sempre con riferimento al 5G.

Gloria Panaccione