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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Private enforcement e settore degli ascensori e delle scale mobili – La Corte di Giustizia conferma l’ampio novero dei soggetti legittimati a richiedere il risarcimento del danno antitrust

In data 12 dicembre 2019, è stata pubblicata la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichshof (la Corte austriaca) nel contesto dell’azione di risarcimento del danno antitrust presentata dal Land Oberösterreich (il Land).

I fatti oggetto della controversia che ha dato origine al rinvio, come anche l’azione in primo grado del Land, sono precedenti all’entrata in vigore della Direttiva 2014/104/UE sul risarcimento del danno antitrust. La condotta illecita in questione è, infatti, relativa all’intesa sugli ascensori, sanzionata dalla Commissione europea (la Commissione) nel 2007, nel cui ambito importanti produttori europei – segnatamente Otis GmbH, Schindler Liegenschaftsverwaltung Gmbh, Schindler Aufzüge und Fahrtreppen GmbH, Kone AG e ThyssenKrupp Aufzüge GmbH – avevano concluso accordi anticoncorrenziali relativi all’installazione e alla manutenzione di ascensori e scale mobili in Belgio, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi.

Durante il periodo interessato dall’intesa, il Land concedeva una serie di incentivi per la realizzazione di progetti edilizi sulla base della normativa a sostegno dell’edilizia residenziale popolare. Si trattava, in primo luogo, di contributi diretti in cui il beneficiario otteneva una parte dei costi di costruzione sotto forma di sovvenzione a fondo perduto; in secondo luogo, di sovvenzioni annuali in cui il Land rimborsava al beneficiario una parte delle rate del mutuo; in terzo luogo, di mutui agevolati, ossia prestiti concessi a condizioni preferenziali che consentivano ai beneficiari di ottenere finanziamenti esterni a tassi di interesse più favorevoli di quelli di mercato. Queste somme ammontavano ciascuna a una determinata percentuale dei costi totali di costruzione. Poiché, a seguito dell’infrazione, il Land riteneva che questi costi erano stati superiori a quelli che sarebbero risultati senza l’intesa, nel 2010 il Land aveva chiesto il risarcimento del danno ai produttori di ascensori partecipanti a quest’ultima. In particolare, il risarcimento del danno domandato corrispondeva al danno finanziario, così determinato: per effetto del prezzo più alto degli ascensori installati negli edifici residenziali sovvenzionati, i mutui a tasso agevolato erano stati concessi per somme superiori rispetto a quanto sarebbe avvenuto in assenza dell’intesa. Se la differenza tra l’importo versato ai beneficiari della sovvenzione e il minore importo inferiore che sarebbe stato loro corrisposto in assenza dei sovraccosti causati dall’intesa fosse stata investita al tasso d’interesse medio dei mutui federali, l’importo degli interessi ottenuto dal Land sarebbe stato significativamente più elevato rispetto a quello ottenuto in virtù degli interessi a tasso agevolato versati dai beneficiari della sovvenzione. Il danno per il quale il Land chiede il risarcimento nel procedimento principale corrisponde, quindi, alla differenza tra gli interessi versati dai beneficiari e gli interessi che sarebbero conseguiti se le maggiori somme sovvenzionate per effetto dell’intesa fossero state investite al tasso d’interesse medio dei mutui federali.

In tale contesto, la Corte austriaca ha chiesto alla CGUE, in sostanza, se l’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) potesse essere interpretato nel senso che le persone che non operano come fornitori né come acquirenti sul mercato interessato da un’intesa, ma che hanno concesso sovvenzioni, nella forma di mutui agevolati, a acquirenti di prodotti offerti su tale mercato, possono chiedere il risarcimento del danno che hanno subito in ragione del fatto che, essendo stato l’importo di tali sovvenzioni più elevato di quanto non sarebbe stato in assenza di detta intesa, non hanno potuto utilizzare la differenza a fini più lucrativi.
La sentenza in commento parte dalla premessa fondamentale per cui la fonte del diritto al risarcimento del danno antitrust non è il diritto nazionale ma quello europeo (come già la CGUE aveva ribadito in importanti sentenze come Courage e la più recente Skanska). Il diritto dell’Unione, pertanto, è applicabile a tutte le questioni di merito delle domande, tra cui quelle legate alla legittimazione attiva. Tali questioni richiedono un’applicazione coerente e a livello europeo e sono soggette al sindacato della CGUE. Il diritto nazionale, d’altro canto, è rilevante per le modalità di esercizio della domanda, in particolare per quanto riguarda la competenza giurisdizionale, le questioni procedurali, i termini, le prove, e così via.

Su questa base, in risposta alla domanda pregiudiziale sottoposta dalla Corte austriaca, la CGUE ribadisce che, per assicurare l’effettiva applicazione dell’Articolo 101 TFUE, bisogna garantire a tutte le persone fisiche e giuridiche il diritto a richiedere il risarcimento danni nei confronti dei “trasgressori”, indipendentemente dal fatto che si tratti o meno di operatori di mercato. I finanziatori pubblici (come il Land) sono tra l’altro attori particolarmente importanti, in quanto sono probabilmente più inclini a domandare la compensazione dei propri - consistenti - danni rispetto agli utenti finali. Di conseguenza, le loro richieste di risarcimento danni sono importanti per fornire un potente deterrente alle violazioni delle norme sulle intese anticoncorrenziali. Nel concedere prestiti agevolati all’industria delle costruzioni, i finanziatori pubblici hanno inoltre svolto un ruolo essenziale nel creare domanda sul mercato interessato. Pertanto, anche questi soggetti presentano un nesso sufficiente con l’obiettivo di tutela perseguito dall’Articolo 101 TFUE e hanno diritto di attivare l’enforcement a livello privato di questa norma.

La domanda pregiudiziale ha fornito alla CGUE un’occasione per precisare ulteriormente i requisiti dell’Unione riguardo al private enforcement andando in particolare a confermare due importanti aspetti:

(i) il primo è che i vari strumenti di enforcement – pubblico e privato – devono essere visti come parte di un unico sistema – la cosiddetta struttura “a due pilastri” – volto a garantire il rispetto del diritto della concorrenza;
(ii) il secondo è che non è possibile considerare le azioni di risarcimento del danno antitrust meramente nella prospettiva del contributo che esse danno all’attività di repressione pubblica ma vanno, invece, viste come strumento volto al soddisfacimento di un autonomo e legittimo diritto delle parti lese a cui fa da contraltare una responsabilità delle imprese.

Mila Filomena Crispino
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Diritto della concorrenza Italia / Intese e recupero di batterie al piombo esauste – L’AGCM ha avviato un’istruttoria su un possibile coordinamento tra riciclatori e produttori integrati per l’acquisto degli accumulatori al piombo esausti raccolti dal sistema COBAT RIPA/COBAT

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) con delibera dello scorso 3 dicembre 2019, facendo seguito a una segnalazione, ha avviato un’istruttoria nei confronti di diverse società attive nei settori del recupero e del trattamento e riciclaggio delle batterie al piombo esauste – Fiamm Energy Technology S.p.A., Clarios Italia S.r.l., Eco-bat S.r.l., Piomboleghe S.r.l., Piombifera Italiana S.p.A., ed E.S.I. Ecological Scrap Industry S.p.A. (le Parti) – così come del consorzio per la gestione dei rifiuti di pile e accumulatori al piombo COBAT RIPA (COBAT) cui le Parti aderiscono. 

COBAT, già consorzio obbligatorio unico e ora operante in regime di concorrenza, gestisce l’attività di intermediazione nella gestione dei rifiuti, prevista dal legislatore nazionale tra la raccolta e il riciclo, svolta dai sistemi di raccolta e trattamento cui per legge devono aderire produttori e importatori che immettono batterie sul mercato nazionale. Tale attività di intermediazione si interpone tra, da un lato, (a) i raccoglitori del rifiuto piomboso, che acquisiscono gli accumulatori esausti dai detentori del rifiuto in regime di libero mercato, e dall’altro (b) le imprese che operano il trattamento e il riciclo, operato dai riciclatori ovvero dai produttori integrati, che trasformano il rifiuto raccolto in piombo secondario, per il suo riutilizzo da parte dei produttori nel processo di produzione di batterie nuove.

Le informazioni contenute nel provvedimento di avvio dell’AGCM fanno emergere che le Parti avrebbero influenzato il processo di definizione del prezzo di acquisto del rifiuto piomboso da porre a base delle gare periodiche indette dal sistema COBAT, garantendo che il prezzo da porre a base d’asta risultasse progressivamente più basso nell’ottica di calmierare il mercato. Tale meccanismo di definizione comune del prezzo a base d’asta sarebbe stato accompagnato da un accordo di spartizione dei lotti tra i riciclatori. Al contempo, parrebbe che il coordinamento si sia esteso altresì alla definizione delle condotte commerciali in sede di acquisto di accumulatori esausti dai sistemi di raccolta concorrenti.

Le condotte in discorso sarebbero espressione di un’intesa tra i principali operatori del mercato tesa ad abbassare il valore della risorsa acquistata per gli operatori a monti della filiera, in maniera idonea a produrre effetti sui detentori del rifiuto, ossia i ricambisti, e, secondo quando evidenziato dall’AGCM, sui consumatori, i quali non riuscirebbero ad appropriarsi del valore di mercato del rifiuto piomboso di cui sono in realtà i primi detentori.

Appare certamente interessante l’apertura di un’istruttoria per l’accertamento di un cartello dei prezzi dal lato degli acquirenti per il contenimento dei prezzi piuttosto che il più classico accordo tra gli operatori dal lato dell’offerta e teso a un rialzo del prezzo di mercato. È inoltre il caso di segnalare la perdurante attenzione mostrata dall’AGCM nei confronti degli operatori del riciclaggio nei diversi settori. Il medesimo ambito di attività è stato oggetto recentemente anche dell’interesse della Commissione Europea, la quale ha sanzionato un’intesa sui prezzi nel medesimo settore del riciclaggio delle batterie al piombo.

Riccardo Fadiga
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Pratiche commerciali scorrette e telefonia mobile – L’AGCM torna a sanzionare Wind e Vodafone per carenze informative nelle campagne di win back e pre-attivazione di servizi non richiesti

Con i provvedimenti pubblicati lo scorso 6 dicembre (i Provvedimenti), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato le società Wind Tre S.p.A. (W3) e Vodafone Italia S.p.A. (Vodafone) (congiuntamente, le Società), rispettivamente, per € 4.300.000 e 6.000.000 per aver posto in essere due condotte, consistenti:

(i) nella fornitura di informazioni carenti ai propri ex clienti nell’ambito di campagne di win back (effettuate, solitamente, tramite il frequente invio di SMS) in relazione ai servizi di telefonia mobile; e

(ii) nella pre–attivazione di servizi aggiuntivi (di natura onerosa) rispetto ai quali il consumatore non aveva potuto preventivamente fornire il proprio consenso, non essendo a conoscenza degli stessi.

In particolare, con riferimento alla prima pratica, gli SMS trasmessi con finalità di win back non esplicitavano una serie di condizioni (quali, ad esempio, i costi di attivazione, i costi della SIM, il vincolo di permanenza minima, etc.), che, peraltro, risultavano di difficile (o, in taluni casi, impossibile) reperimento anche sul sito internet o presso i punti vendita.

Per quanto concerne, invece, la pre–attivazione di servizi non richiesti, l’AGCM ha rilevato come alcuni moduli contrattuali riportassero, in realtà, un’indicazione del tutto generica circa l’assunzione di coscienza da parte del consumatore che l’attivazione di un (non specificato) piano tariffario potesse determinare l’abilitazione di determinati servizi (senza che questi fossero qualificati come onerosi).

Agli articolati procedimenti innanzi all’AGCM ha preso parte anche l’operatore telefonico Iliad (recentemente entrato nel mercato italiano, a seguito dell’operazione di integrazione tra Wind e 3 Italia), che era stato uno dei segnalanti delle summenzionate condotte. Dai Provvedimenti si evince come le valutazioni di Iliad siano state di supporto alle contestazioni dell’AGCM, in contrapposizione alla tesi sostenuta dalle Società, le quali avevano evidenziato inter alia la sussistenza del limite massimo di caratteri utilizzabili negli SMS (e la conseguente impossibilità di fornire il dettaglio di ogni costo caratterizzante l’offerta di win back); la stessa Iliad ha, tuttavia, dichiarato che tali messaggi contenevano un numero assai più ridotto di altri SMS inoltrati in altre occasioni proprio dalle Società.

Appare utile osservare come l’AGCM non ha attribuito alcun valore alla misura introdotta da Vodafone nell’agosto 2019 consistente nell’inserimento di un link al termine dell’SMS per rimandare a tutte le informazioni aggiuntive di cui il consumatore avrebbe necessitato per compiere in maniera consapevole la propria scelta economica, permanendo l’ingannevolezza dell’SMS quale prima forma di contatto con il consumatore; sul punto, l’AGCM ha precisato che “…[l’] inserimento, negli SMS delle ultime campagne di winback, di un link ad una pagina web che riporti i dettagli dell'offerta, non appare idoneo a sanare la condotta omissiva, sia perché il professionista non ha mutato la struttura del testo, lasciando presumere al consumatore che non vi siano altri costi (offerta “a soli .... euro”), sia perché il consumatore non avrebbe immediatamente a disposizione tutte le informazioni essenziali sull’offerta, dovendo anche in questo caso compiere una specifica azione per acquisirle, ovvero cliccare sul link presente nel messaggio per leggere il testo della pagina predisposta dall’operatore per quella specifica offerta. Si tratta di un’azione meramente eventuale e tra l’altro non realizzabile da tutti i soggetti raggiunti dagli SMS, essendo esclusa la possibilità di visionare la pagina di atterraggio per coloro il cui attuale piano tariffario non prevede la connessione dati o che sono dotati di apparati non predisposti per la navigazione internet”.

Inoltre, dalle evidenze probatorie (raccolte dall’AGCM anche in sede di ispezione) si evince come le stesse Società fossero ben consapevoli dell’illegittimità dell’utilizzo di un meccanismo di opt – out (invece che di opt – in) per l’attivazione di servizi aggiuntivi a pagamento.

Nelle proprie valutazioni, l’AGCM, rigettando le argomentazioni contrarie presentate dalle Società, ha ribadito la propria competenza con riferimento alla vicenda in esame, sia per quanto concerne i profili di trasparenza e correttezza dell’informazione, sia per la tutela dei diritti dei consumatori nei contratti (materia rispetto alla quale l’autorità di regolazione settoriale non avrebbe alcuna competenza).

Sull’elevato importo sanzionatorio stimato e poi comminato dall’AGCM ha indubbiamente inciso (oltre la diffusione e la durata dei comportamenti in questione, nonché la dimensione economica e la notorietà delle Società) anche la recidiva delle Società con riferimento ad entrambe le condotte; d’altro canto, l’AGCM già in numerosi altri casi (anche nello stesso settore) aveva accertato e sanzionato l’applicazione proprio di tali pratiche.

Filippo Alberti
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Legal news / Rinvio pregiudiziale e reti di comunicazione elettronica – La Corte di Giustizia chiarisce le condizioni degli obblighi di trasmissione di programmi televisivi

Con la sentenza pubblicata lo scorso 11 dicembre, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) si è espressa sulla domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla Corte amministrativa suprema della Lituania, in merito all’interpretazione dell’art. 2, lettera m), della Direttiva 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (Direttiva Quadro), e dell’art. 31 della Direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (Direttiva Servizio Universale). In particolare, la CGUE ha chiarito la nozione di “fornitura di una rete di comunicazione elettronica” ai sensi della Direttiva Quadro e ha definito alcuni criteri che gli Stati membri devono rispettare nell’adozione di obblighi di trasmissione di programmi televisivi.

La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la TV Play Baltic AS (TV Play Baltic) e la Commissione lituana per la radio e la televisione (LRT), in merito al rigetto, da parte di quest’ultima, della domanda con cui la società chiedeva di essere esentata dall’obbligo di ritrasmettere il canale televisivo LRT Kultūra. La TV Play Baltic è una società con sede in Estonia che trasmette pacchetti di canali televisivi a pagamento in Lituania mediante una rete satellitare appartenente a un terzo. Le sue attività sono assimilate dal diritto lituano ad attività di ritrasmissione di programmi televisivi e, conseguentemente, essa è soggetta all’obbligo di ritrasmettere i canali televisivi della LRT, tra cui figura il canale LRT Kultūra.

In primo luogo, la CGUE ha chiarito che un’attività di ritrasmissione di programmi televisivi mediante reti satellitari appartenenti a terzi non rientra nella la nozione di “fornitura di una rete di comunicazione elettronica” ai sensi dell’art.2, lettera m), della Direttiva Quadro. A tal proposito, ha richiamato la sentenza C‑298/17 France Télévisions, del 13 dicembre 2018, in cui la CGUE aveva dichiarato che un’impresa che si limiti a proporre la visione di programmi televisivi in streaming e in diretta su internet non fornisce una rete di comunicazione elettronica, offrendo soltanto un accesso al contenuto di servizi audiovisivi forniti su reti di comunicazione elettronica. Nel caso in esame, la CGUE ha ritenuto che la situazione di TV Play Baltic non fosse diversa da quella di un’impresa che diffonde canali televisivi via internet, dal momento che anch’essa offre un accesso ai contenuti di servizi audiovisivi forniti su una rete di comunicazione elettronica, nel caso di specie una rete satellitare. TV Play Baltic, inoltre, non svolge alcuno dei compiti a cui è tenuto il fornitore di una rete di comunicazione elettronica, ai sensi dell’articolo 2, lettera m), della Direttiva Quadro, ovvero la realizzazione, la gestione, il controllo o la messa a disposizione di tale rete.

In secondo luogo, la CGUE ha valutato la compatibilità degli obblighi di trasmettere programmi televisivi imposti a soggetti che ritrasmettono programmi televisivi, mediante reti satellitari appartenenti a terzi, con l’art. 31 della Direttiva Servizio Universale, il quale permette agli Stati membri di imporre “… obblighi di trasmissione ragionevoli […] alle imprese che forniscono reti di comunicazione elettronica […] se un numero significativo di utenti finali di tali reti le utilizza come mezzo principale di ricezione di tali servizi televisivi …”. A tal fine, la CGUE ha ricordato che le direttive rientranti nel quadro normativo comune, quali la Direttiva Quadro e la Direttiva Servizio Universale, si applicano fatte salve misure adottate a livello nazionale, in conformità con il diritto dell’Unione europea, per obiettivi di interesse generale connessi alla politica audiovisiva. Gli Stati membri sono, pertanto, liberi di imporre obblighi di trasmissione diversi e potenzialmente più ampi di quelli dell’articolo 31 della Direttiva Servizio Universale.

Tuttavia, la CGUE ha stabilito che tali obblighi trovano un limite nell’art. 56 TFUE, il quale sancisce la libera circolazione dei servizi all’interno dell’Unione europea. Restrizioni di tale libertà fondamentale possono essere giustificate soltanto da ragioni imperative di interesse generale, e devono essere necessarie al raggiungimento dello scopo perseguito. Nel caso in esame, a TV Play Baltic era stato imposto un obbligo incondizionato di ritrasmettere il canale LRT Kultūra, sebbene (a) l’emittente avesse la possibilità di trasmettere a proprie spese il canale, (b) tale obbligo consentisse di raggiungere solamente il 6% circa di tutti i nuclei familiari e (c) essi avessero la possibilità di guardare tale canale utilizzando la rete televisiva terrestre o internet. La CGUE ha evidenziato la necessità, sancita dall’art. 56 TFUE, di valutare la proporzionalità dell’obbligo imposto a TV Play Baltic, definendo come criteri rilevanti (i) la circostanza che tale obbligo di trasmissione consenta a un numero significativo di utenti finali di accedere al canale in favore del quale è previsto l’obbligo; (ii) la ripartizione geografica degli utenti finali dei servizi forniti dall’operatore gravato dall’obbligo di trasmissione, e (iii) il fatto che il canale sia accessibile gratuitamente via internet nonché mediante la rete televisiva terrestre.

In conclusione, la CGUE ha sottoposto l’imposizione di obblighi di trasmissione a soggetti che offrono un accesso a contenuti di servizi audiovisivi forniti (ad es. via satellite o via internet) ai limiti della proporzionalità, analogamente a quanto già previso dalla Direttiva Servizio Universale per i fornitori di reti di comunicazione elettronica.

Luigi Eduardo Bisogno
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