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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza Italia/Abuso di posizione dominante e servizi di editoria – Annullato dal TAR del Lazio il provvedimento dell’AGCM che accertava un abuso di SIE sul mercato della stampa quotidiana locale nella Provincia di Trento

Con la sentenza del 16 gennaio 2020 il TAR del Lazio (TAR) ha accolto il ricorso presentato dalla società S.I.E. - Società Iniziative Editoriali S.p.A. (SIE o Ricorrente), attiva nel mercato dell’editoria quotidiana ed editrice de “L’Adige”, principale quotidiano della provincia autonoma di Trento (PAT), avverso il provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva accertato un abuso di posizione dominante posta in essere dalla stessa SIE (il Provvedimento).

In particolare, il Provvedimento, dopo aver accertato la sussistenza di una posizione dominante detenuta dalla Ricorrente sul mercato della stampa locale quotidiana nella PAT (mercato a monte), considerava abusiva la condotta posta in essere dalla stessa sul mercato a valle dei servizi di rassegna stampa quotidiana, sempre nella PAT. Tale condotta abusiva si era concretizzata, stando al Provvedimento, nel rifiuto da parte della Ricorrente di concedere la licenza sui contenuti editoriali della propria testata alle imprese che fornivano rassegne stampa nella PAT. Su queste basi l’AGCM aveva ordinato a SIE di astenersi in futuro da comportamenti analoghi e le aveva imposto l’obbligo di rilasciare – a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie (c.d. “FRAND”) – le necessarie licenze affinché gli operatori del mercato a valle che ne avessero fatto richiesta, potessero inserire nelle rassegne stampa i contenuti editoriali de “L’Adige”. Era stata irrogata, inoltre, una sanzione anche se di natura simbolica.

È interessante notare come, prima di concludere il procedimento con il Provvedimento, l’AGCM avesse precedentemente adottato un provvedimento cautelare con il quale aveva imposto a SIE di concedere “…senza indugio licenze volte a conferire il diritto di inserire nelle rassegne stampa degli operatori che ne facciano richiesta i contenuti della testata L’Adige”…” a condizioni FRAND. Peraltro, dopo l’adozione di tale provvedimento cautelare, stante il mancato raggiungimento di un accordo tra SIE e la società segnalante (Euregio) in merito alle condizioni a cui dovevano essere concesse le licenze relative ai contenuti editoriali, l’AGCM aveva adottato un ulteriore provvedimento cautelare con il quale individuava nelle condizioni c.d. “Promopress” (relative a un’iniziativa per la gestione dei diritti d’autore che coinvolge i principali editori italiani e alcune società che forniscono rassegne stampa) un adeguato equilibrio contrattuale fra le opposte esigenze degli operatori coinvolti.

La Ricorrente ha impugnato il Provvedimento contestando la definizione del mercato, la sussistenza della posizione dominante in capo a SIE e l’abusività della condotta a questa ascritta, in particolare lamentando il carattere lacunoso dell’istruttoria, nonché l’esercizio di un potere regolatorio da parte dell’AGCM, della quale essa sarebbe priva, con riferimento alla parte del Provvedimento con cui essa aveva individuato le regole per la condotta futura di SIE.

Il TAR, nell’effettuare una ricostruzione dei principi e della giurisprudenza riguardante l’abuso di posizione dominante, con la sentenza in commento ha chiarito che, nei casi in cui la condotta abusiva consista nel rifiuto dell’impresa di concedere una licenza per l’uso di un diritto di proprietà intellettuale, essa assume una connotazione specifica alla luce della necessità di operare un bilanciamento tra le opposte esigenze connesse alla tutela della concorrenza e a quella della proprietà intellettuale. Per tale ragione, ricorda il TAR, la giurisprudenza europea ha stabilito che la possibilità di intervenire in tali fattispecie di abuso deve intendersi come eccezionale. Sul punto viene richiamata la c.d. “Essential Facility Doctrine” (EFD), citata dallo stesso Provvedimento, che pone le condizioni affinché possa ritenersi sussistente l’illecito antitrust contestato a SIE. Come ribadito dal TAR tali condizioni (cumulative) richiedono:

1. “che il bene cui si chiede l’accesso sia indispensabile per l’esercizio di una data attività in un mercato derivato;
2. che il rifiuto impedisca l’ingresso di un nuovo prodotto o servizio che il titolare del diritto di proprietà intellettuale non offre e per cui esista una potenziale domanda da parte dei consumatori;
3. che il rifiuto non sia oggettivamente giustificato;
4. che sia idoneo ad eliminare qualsiasi concorrenza su un mercato derivato.”

Ciò posto, il TAR ha ritenuto fondata la censura della Ricorrente sul difetto d’istruttoria, ritenendo che l’AGCM non avesse dimostrato l’essenzialità ma solo una “particolare utilità” dell’input (contenuti editoriali de “L’Adige”) ai fini della creazione del prodotto (rassegna stampa). L’essenzialità, infatti, alla luce della EFD, sarebbe da intendersi per il TAR come “assoluta indispensabilità e non duplicabilità della risorsa”, circostanza che nel caso di specie era da ritenersi esclusa. Questo alla luce della circostanza che, dopo il ritiro de “L’Adige” dal commercio, alcune gare indette per l’aggiudicazione del servizio di rassegna stampa si erano svolte ed erano state aggiudicate in assenza di tale risorsa, mentre in occasione di altre gare in cui avevano partecipato operatori che disponevano della risorsa in esame, tali gare erano state aggiudicate ad altre imprese che di tale risorsa erano prive.

Inoltre, il TAR ha ritenuto non riscontrabile nel caso di specie il requisito dell’innovatività del prodotto, ritenendo non chiaro in cosa consistesse l’innovatività della rassegna stampa prodotta da Euregio rispetto ad altri prodotti analoghi esistenti sul mercato.

Resta ora da vedere, qualora l’AGCM decidesse di impugnare la sentenza in commento, se la posizione del TAR (che non cita la nota sentenza Magill della Corte di Giustizia dell’Unione europea, in cui erano stati trattati temi molto simili – sia pure con esito diverso circa il soddisfacimento dei requisiti per la sussistenza di una essential facility – ma solo la successiva sentenza IMS Health) verrà confermata dal Consiglio di Stato, eventualmente anche a seguito di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

Roberta Laghi
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Abuso di posizione dominante ed efficienza economica – Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso avverso la sanzione irrogata dall’AGCM a Estra, concessionario del servizio di distribuzione del gas naturale del Comune di Prato, in forza di un’articolata teoria economica

Il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto il ricorso presentato da E.S.TR.A. S.p.A. (ESTRA) avverso il provvedimento con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) la sanzionava in solido con la controllata Estra Reti Gas S.r.l., per un importo pari a Euro 276.132 per avere posto in essere un abuso di posizione dominante. Secondo l’AGCM, tale abuso sarebbe consistito nel rifiuto di fornire al Comune di Prato le informazioni necessarie per l’avvio di una procedura di gara competitiva per il riaffidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, del quale Estra era concessionaria.

In particolare, il Comune di Prato intendeva indire una simile procedura in seguito all’avvio del procedimento di liberalizzazione del mercato interno di distruzione ai consumatori finali del gas naturale, fino a quel momento di norma gestito da aziende municipalizzate o società pubbliche, come Estra, sulla base di affidamenti diretti. Estra, d’altro canto, rifiutava di collaborare con il Comune di Prato alla luce dell’inefficienza associata alla formulazione di un’offerta per la gestione del servizio sul territorio di un singolo comune. Tale inefficienza avrebbe dovuto essere sanata dall’accorpamento di diversi comuni in territori più ampi, i c.d. Ambiti Territoriali Minimi (ATEM): all’epoca dei fatti, tuttavia, tale raggruppamento non aveva ancora ricevuto compiuta disciplina, pertanto il Comune di Prato si riteneva legittimato ad indire una gara per il solo proprio territorio.

L’AGCM aveva quindi ritenuto che il rifiuto di Estra di fornire i documenti richiesti costituisse un abuso della sua posizione dominante nel mercato del servizio di distribuzione di gas nel quale Estra è monopolista in virtù della sua concessione, attività aperta solo a una concorrenza “per” il mercato. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR) adito da Estra per l’annullamento del provvedimento aveva confermato la correttezza della decisione dell’AGCM, peraltro riducendo l’importo della sanzione comminata. Estra ha quindi appellato la sentenza del TAR avanti al CdS.

Con la sentenza in commento il CdS si è espresso presentando un’interpretazione basata su una ricostruzione teorica, che ha spaziato da Ronald Coase a Hobbes, secondo la quale l’abuso di posizione dominante è sostanzialmente un abuso del diritto, accertabile nei casi in cui le condotta de qua non corrisponda “…all’efficienza del sistema…”, e pertanto si interviene “…a vantaggio della controparte, identificata per legge con la collettività dei consumatori…”. Nel caso concreto, Estra avrebbe rifiutato di cooperare con le richieste del Comune di Prato dubitandone la liceità in ragione dell’inefficienza della scelta di indire una gara per il solo territorio comunale: il CdS, ritenendo che non fosse “…affatto dimostrato che la scelta di indire la gara per il territorio del singolo comune […] corrispondesse ad una soluzione più efficiente…”, ha ritenuto insufficientemente dimostrata l’abusività della condotta, e, di conseguenza, ha annullato il provvedimento nella sua interezza in ossequio al principio della presunzione di innocenza, più volte ricordato nella sentenza.

L’interpretazione adottata dal CdS opera dunque sull’assunto che l’abuso di posizione dominante sia una fattispecie particolare dell’abuso di diritto, e che, come tale, si attagli a condotte in astratto lecite, ma censurabili (solo) quando impongano una “…sproporzione ingiustificata tra il proprio beneficio ed il sacrificio imposto [alla] controparte…”. Individuando in tale sproporzione, concretamente identificabile nel concetto potenzialmente assai multiforme di inefficienza economica della condotta in esame, un presupposto per qualificare quest’ultima come un abuso, la sentenza in discorso apre potenzialmente la strada all’introduzione di innovative considerazioni sull’efficienza, in concreto, delle condotte oggetto di scrutinio. Questo in un’ottica che continua comunque a mettere al centro il c.d. consumer welfare. Resta da vedere se e come in futuro l’AGCM sceglierà di valorizzare l’iter logico-argomentativo della sentenza di commento.

Riccardo Fadiga
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Tutela del consumatore/Pratiche commerciali scorrette e social network – Il TAR Lazio accoglie parzialmente il ricorso presentato da Facebook ma ribadisce il valore economico del dato personale online

Con la sentenza pubblicata lo scorso 10 gennaio, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio o il Tribunale) ha parzialmente accolto il ricorso presentato dalla società Facebook Ireland Ltd. (Facebook o la Ricorrente) avverso la decisione (il Provvedimento) adottata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o l’Autorità) in data 29 novembre 2018, tramite cui quest’ultima ha sanzionato la Ricorrente per un ammontare complessivo di €10 milioni. Ad avviso dell’Autorità, infatti, Facebook avrebbe posto in essere due pratiche commerciali scorrette, ciascuna sanzionata per un ammontare di €5 milioni, a danno dei propri utenti ed aventi ad oggetto la raccolta, lo scambio con soggetti terzi e l’utilizzo a fini commerciali dei dati personali degli utenti.

In particolare, la prima delle suddette condotte (Condotta A) riguardava la fase di registrazione dell’utente al sito web e/o alla app (congiuntamente, la Piattaforma) di Facebook ed è consistita nella comunicazione di un’informativa ritenuta poco chiara ed incompleta. Sul punto, l’AGCM aveva sottolineato che l’utente che intendeva registrarsi alla Piattaforma veniva posto dinnanzi a un claim che enfatizzava il carattere gratuito del servizio offerto (“Iscriviti. È gratis e lo sarà sempre”). Allo stesso tempo, però, questo non veniva altrettanto adeguatamente informato circa il fatto che, tramite la sua iscrizione, l’utente conferiva a Facebook il diritto di raccogliere ed utilizzare a fini commerciali i propri dati personali. La seconda pratica (Condotta B), invece, riguardava il meccanismo di trasmissione dei dati degli utenti iscritti alla Piattaforma a siti web (o app) terzi e viceversa. Sul punto, l’Autorità ha sostenuto che le modalità tramite cui Facebook acquisiva tale consenso erano idonee a falsare il processo decisionale del consumatore. In particolare, presentava l’opzione di consenso al trasferimento dei dati – contenuta nel format d’iscrizione – come preselezionata (c.d. ‘pre-attivazione’). Residuava, pertanto, in capo al soggetto interessato una mera facoltà di opt-out. Inoltre, l’AGCM ha sottolineato che, a suo avviso, l’utente fosse indotto a credere che l’eventuale revoca del proprio consenso si sarebbe tradotto in limitazioni nell’uso della Piattaforma maggiori rispetto a quelle realmente previste ed attuate.

In sede di impugnativa le doglianze della Ricorrente in relazione alla Condotta A si sono basate quasi interamente sull’asserita incompetenza dell’Autorità, che si sarebbe espressa in un ambito di esclusiva competenza dell’Autorità Garante della Privacy (il Garante), ossia la tutela dei dati personali. In particolare, la Ricorrente ha rimarcato in primis la natura gratuita del servizio offerto dalla Piattaforma, e, di conseguenza, di un interesse economico dei consumatori meritevole di tutela; in secundis, ha sostenuto che gli obblighi asseritamente violati – i quali trovano previsione esclusivamente nel Regolamento 679/2016 sulla tutela della privacy (GDPR) – concernevano il trattamento dei dati personali. Il TAR Lazio ha rigettato tali doglianze sulla base, in primo luogo, della natura commerciale della pratica in essere richiamando l’ormai consolidato concetto della ‘patrimonizzazione’ del dato personale (il quale, pertanto, possiede un valore economico). Quest’ultimo, secondo il TAR un principio riconosciuto e consolidato nella pratica decisionale e ‘dottrinale’ della Commissione europea (si vedano, a tal proposito, la decisione  della Commissione relativa alla concentrazione Facebook/WhatsApp del 2014, nonché gli Orientamenti  per l’attuazione/applicazione della Direttiva 2005/29/CE), – riconoscendo un valore economico ai dati personali degli utenti e, pertanto, la natura commerciale della relazione in essere tra il social network e quest’ultimi (i quali, per tali motivi, vengono quindi riconosciuti quali ‘consumatori’), impone agli operatori attivi nel mercato digitale di rispettare quegli obblighi di chiarezza, completezza e non ingannevolezza delle informazioni di cui alla normativa nazionale a protezione dei consumatori. In secondo luogo, il TAR ha rigettato l’argomentazione secondo cui la condotta de qua ricade interamente nell’alveo d’applicazione del GDPR. Sul punto, infatti, il Tribunale ha sostenuto l’applicabilità alla suddetta condotta della normativa a tutela del consumatore (oltre che quella definita dal dettato del GDPR), rimarcando il principio secondo cui le norme poste a tutela del consumatore non sono mutualmente esclusive ma complementari rispetto a quelle del GDPR, in modo così da garantire una piena tutela al fruitore di servizi di social networking.

In relazione alla Condotta B, Facebook ha contestato che l’Autorità avrebbe errato nell’affermare l’esistenza di un inconsapevole ed automatico assenso dell’utente (tramite ‘pre-attivazione’ dell’opzione di consenso) al trasferimento dei propri dati personali a società terze. La Ricorrente ha altresì motivato il suo appello argomentando che la pratica in questione non avrebbe comunque potuto intendersi come ‘aggressiva’, in quanto Facebook non avrebbe posto in essere comportamenti invasivi della libertà dei propri utenti. Il TAR ha accolto tali censure riconoscendo una evidente carenza istruttoria insita nel Provvedimento sottolineando come la citata ‘pre-attivazione’, in realtà, non solo non comporta alcuna trasmissione di dati dalla Piattaforma ai soggetti terzi, ma ad essa fa necessariamente seguito una articolata serie di passaggi in cui l’utente è chiamato ad esprimersi positivamente circa i dati che intende condividere. Il TAR ha infine evidenziato come l’Autorità non abbia adeguatamente motivato (e neanche approfondito) la natura asseritamente aggressiva della pratica in questione.

Nonostante il parziale annullamento della Decisione dell’AGCM e il conseguente dimezzamento della sanzione irrogata a Facebook, la presente sentenza risulta rilevante in particolare per quanto concerne la dimostrazione di come ormai sia ben radicato un approccio volto a riconoscere valore economico ai dati personali degli utenti che si approcciano alle diverse piattaforme online.

Luca Feltrin
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Pubblicità ingannevole e carburante Diesel – Sanzione di 5 milioni di euro ad Eni per la diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli nella campagna promozionale del carburante Diesel+

Nella sua adunanza  del 20 dicembre 2019, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o l’Autorità) ha irrogato una sanzione di 5 milioni a Eni S.p.A. (ENI) per la diffusione di messaggi pubblicitari valutati come ingannevoli (ai sensi dell’articolo 21 e 22 del Codice del Consumo) nella campagna promozionale che ha riguardato il gasolio Eni Diesel+, ottenuto miscelando un 85% di gasolio minerale (o petrodiesel) con un 15% di gasolio di origine vegetale (o biodiesel), definito “Green Diesel”.

In relazione ai vanti di riduzione delle emissioni e dei consumi, nei messaggi in argomento si promettevano diminuzioni “fino al 40%” delle emissioni gassose, una riduzione del 5% (in media) delle emissioni di CO2 e un abbattimento “fino al 4%” dei consumi. Secondo la valutazione dell’AGCM, tali vanti non sono risultati confermati dalle risultanze istruttorie, in quanto parziali (ad esempio, non per tutte le emissioni gassose e non in tutti i casi la riduzione risultava raggiungere il 40% e, per i consumi, la riduzione era solo in minima parte imputabile alla componente “green”) o comunque non adeguatamente contestualizzati in modo da permettere al consumatore di assumere una decisione consapevole.

In relazione al claim sul positivo impatto ambientale, secondo la valutazione dell’AGCM, l’ingannevolezza dei messaggi derivava in primo luogo dalla voluta confusione fra il prodotto pubblicizzato Eni Diesel+ e la componente “green”, con l’attribuzione al prodotto nel suo complesso di caratteristiche ad esso non attribuibili, nonché dall’uso suggestivo di claim come “componente green”, “componente rinnovabile”, e/o “aiuta a proteggere l’ambiente. E usandolo lo fai anche tu, grazie a una significativa riduzione delle emissioni”.

L’Autorità ha infatti sottolineato più volte che i claim in parola sostanzialmente riguardavano un gasolio per autotrazione, ovvero un carburante che per sua natura è un prodotto altamente inquinante e che non può essere considerato “green”, e che attraverso il suo utilizzo non è possibile prendersi cura dell’ambiente.

L’AGCM ha ritenuto che tutti i claim sopradescritti fossero qualificabili come di carattere “ambientale” o “verdi” in quanto diretti a suggerire o, comunque, a lasciar intendere un ridotto impatto ambientale del prodotto offerto. Essi sono diventati un importante strumento pubblicitario, soprattutto alla luce della accresciuta sensibilità verso tali tematiche da parte dei consumatori. Per questo motivo, viene sottolineato dall’AGCM come tali claim debbano riportare i vantaggi ambientali del prodotto in modo puntuale e non ambiguo, essere scientificamente verificabili e, infine, comunicare in modo corretto eventuali criteri e condizioni che ne limitino la portata.

Nel caso di specie, secondo l’Autorità, mancavano nei messaggi quegli ulteriori chiarimenti o specificazioni (c.d. claim di supporto) che avrebbero reso chiaro, specifico, circostanziato e accurato il beneficio ambientale rispetto alla capacità di comprensione del destinatario.

L’AGCM, infine, ricorda che nel corso del procedimento ENI ha avviato l’interruzione della campagna pubblicitaria e si è impegnata a non utilizzare più, con riferimento a carburanti per autotrazione, la parola “green”. ENI, tuttavia, ha fatto sapere in una nota di aver appreso “con grande sorpresa” la decisione dell’Autorità, manifestando l’intenzione di impugnare il provvedimento di fronte al Tribunale Amministrativo del Lazio. La valutazione del Giudice Amministrativo sarà di sicuro interesse dato il crescente impatto economico di claim ambientali nei più svariati settori industriali.

Mila Filomena Crispino
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Legal News/Piattaforme online e advertising digitale – La CMA pubblica un interim report sul ruolo delle principali piattaforme online nel mercato della pubblicità digitale

Lo scorso 18 dicembre, la Competition and Markets Authority (CMA) ha pubblicato un interim report sulla concorrenza nei mercati delle piattaforme online e della pubblicità digitale, volto a formulare delle raccomandazioni al governo del Regno Unito per una futura regolamentazione di tali settori. In particolare, lo studio ha esaminato (i) il potere di mercato di Google e Facebook nei mercati dei motori di ricerca e dei social media rispettivamente; (ii) le forme e il livello di controllo dei consumatori sull’utilizzo dei propri dati da parte delle piattaforme online; e (iii) il funzionamento del mercato della pubblicità digitale in termini di trasparenza, conflitti di interesse e di sfruttamento del potere di mercato.

Lo studio si concentra su Google e Facebook, ossia le due principali piattaforme che si finanziano mediante la pubblicità digitale. Dal lato del consumatore, esse occupano – rispettivamente – una posizione preminente nei mercati dei motori di ricerca e dei social media. La capacità di Google e Facebook di attirare l’attenzione dei consumatori sui propri siti (gli utenti inglesi trascorrono online in media tre ore e 15 minuti al giorno, passando oltre un terzo del tempo speso online sui siti di proprietà di Google o Facebook) e di raccogliere dati sugli utenti, ha (secondo la CMA) permesso a tali società di dominare anche il mercato della pubblicità digitale rivolto agli inserzionisti. Nello studio, tale mercato viene suddiviso in due segmenti principali: (i) la pubblicità sui motori di ricerca (gli inserzionisti partecipano ad un’asta per collegare il proprio sito web a parole chiave immesse nel motore di ricerca in modo che i link vengano visualizzati nei risultati) e (ii) la pubblicità display (che consente agli inserzionisti, attraverso un’asta, di pubblicare annunci su siti web o app). A sua volta, la vendita della pubblicità display può avvenire attraverso due canali: (i) direttamente attraverso le piattaforme digitali (es. Facebook Ads Manager) o (ii) nell’open display market, in cui gli editori (es. i giornali online) vendono il loro spazi pubblicitari a una vasta gamma di inserzionisti attraverso una complessa catena di intermediari che eseguono aste in tempo reale per loro conto. I soggetti intermediari si suddividono in tre categorie: (i) le demand-side platforms (DSP), che automatizzano l’acquisto degli spazi pubblicitari sulla base degli obiettivi dell’inserzionista e dei dati sul consumatore; (ii) le supply-side platforms (SSP), che automatizzano la vendita degli spazi pubblicitari, e (iii) i publisher ad servers, i quali selezionano la pubblicità da presentare all’utente.

In primo luogo, lo studio analizza i mercati dei motori di ricerca e dei social media dal lato dei consumatori, evidenziando che Google e Facebook hanno goduto di quote di mercato molto elevate e stabili negli ultimi dieci anni. Inoltre, entrambi i mercati sono caratterizzati da importanti barriere all’entrata e all’espansione. In particolare, Google deterrebbe una quota pari a circa il 90% al mercato UK dei motori di ricerca. La posizione di Google sarebbe rafforzata dalla presenza nel mercato di tre tipi principali di barriere all’entrata: (i) le economie di scala nello sviluppo di indici web (i.e. l’elenco di tutte le pagine web conosciute dal motore di ricerca), per i quali Google spende centinaia di milioni di dollari ogni anno; (ii) l’accesso ai dati c.d. click-and-query (i.e. informazioni su ciò che gli utenti hanno cercato e su come hanno interagito con i risultati che sono stati offerti) necessari per migliorare la rilevanza dei risultati di ricerca; e (iii) la posizione di default di Google su desktop e dispositivi mobili (oltre a essere il motore di ricerca di default su Chrome, il browser di sua proprietà, Google ha negoziato accordi di default con Apple e con i maggiori produttori di telefoni cellulari Android). Sebbene vi sia maggiore concorrenza nel mercato dei social media (che include operatori quali YouTube, Twitter, Snapchat etc.), lo studio conclude che anche Facebook (che controlla anche Instagram e WhatsApp) detiene un significativo potere di mercato. In particolare, lo studio sottolinea che Facebook gode di un numero di utenti nettamente superiore (42 milioni di persone nel Regno Unito, pari all’83% della popolazione online) e di una gamma di servizi molto più ampia rispetto ai principali concorrenti. Inoltre, il mercato è caratterizzato dai c.d. network effects, dal momento che le piattaforme di social media aumentano di valore per i consumatori se altri consumatori con cui desiderano interagire utilizzano la piattaforma.

La seconda parte dello studio verte sul livello di controllo dei consumatori sull’utilizzo dei propri dati da parte delle piattaforme online. Lo studio ha evidenziato lo squilibrio nel rapporto tra consumatori e piattaforme, le quali non consentono ai consumatori di prendere decisioni informate sull’opportunità di accettare o meno gli scambi dei loro dati associati alla pubblicità personalizzata. In particolare, lo studio sottolinea che (i) molte piattaforme offrono pubblicità personalizzata come impostazione predefinita, approfittando del fatto che raramente i consumatori modificano le impostazioni di default; (ii) alcune piattaforme (incluse Facebook e Instagram) non consentono la disattivazione della pubblicità personalizzata; e (iii) spesso i consumatori sono costretti ad interagire con termini e condizioni irragionevolmente lunghi e complessi e le informazioni relative al trattamento della privacy sono difficili da reperire (lo studio nota che l'85% dei consumatori ha visitato la pagina web sulla privacy di Google per meno di 10 secondi).

Infine, lo studio svolge un’analisi approfondita della concorrenza nel mercato della pubblicità digitale. La posizione di preminenza detenuta da Google e Facebook nei mercati dei motori di ricerca e dei social media si riflette sul loro potere di mercato nei mercati della pubblicità sui motori di ricerca e della pubblicità display. Google ottiene, infatti, il 90% dei ricavi totali derivanti dal mercato UK della pubblicità sui motori di ricerca, e gode di vantaggi ulteriori a quelli derivanti dal lato del consumatore. In particolare, lo studio evidenzia (i) la tendenza al c.d. single-homing da parte dei piccoli inserzionisti; (ii) i migliori dati proprietari di Google per il targeting; (iii) una migliore sincronizzazione con Google Analytics (che consente di verificare la performance delle pubblicità); e (iv) la capacità di Google di influenzare il comportamento degli inserzionisti attraverso la proprietà di SA360 (uno strumento utilizzato da molti inserzionisti per ottimizzare le spese per parole chiave e piattaforme). Nel mercato della pubblicità display, invece, Facebook (incluso Instagram) attrae quasi la metà dei ricavi e si avvantaggia dei networks effects dal lato dei consumatori. Per quello che riguarda la concorrenza tra intermediari nell’open display market, lo studio osserva una progressiva tendenza all'integrazione verticale e alla concentrazione dei mercati. In particolare, Google opera a tutti i livelli della catena di valore, detenendo il 90% del mercato dei publisher ad server (Google Ad Manager) e quote che si aggirano attorno al 50% nei mercati di DSP (Google DV360 e Google Ads) e SSP (Google AdX). Secondo la CMA, ciò solleva una serie di preoccupazioni: (i) potenziali conflitti di interesse, poiché Google agisce contemporaneamente per conto di editori e inserzionisti; (ii) la possibilità sfruttare i propri dati e la propria posizione nella vendita diretta di spazi pubblicitari per rafforzare la propria posizione come intermediario; (iii) pratiche escludenti nei confronti dei servizi concorrenti nell’intermediazione, per favorire i propri (es. impedendo a publisher ad server concorrenti ad accedere alle proprie piattaforme DSP e SSP). Inoltre, la CMA rileva che, nell’open display market, inserzionisti e editori affrontano una mancanza di trasparenza sugli aspetti chiave del funzionamento del mercato, quali l’efficacia della pubblicità, le modalità di esecuzione delle aste, la determinazione dei prezzi e la remunerazione degli intermediari.

Alla luce di tali evidenze, la CMA ha ritenuto che sussistano i presupposti per lo sviluppo di una regolamentazione ex ante volta a favorire la concorrenza nei mercati in cui operano le piattaforme online finanziate dalla pubblicità digitale. In particolare, la CMA ritiene opportuno adottare un codice di condotta che sancisca tre principi: (i) fair trading, che richiederebbe alle piattaforme che detengono un significativo potere di mercato di operare a condizioni eque e ragionevoli per i servizi di cui si tratta; (ii) open choices, che richiede alle piattaforme di consentire agli utenti di fare una scelta equa tra i propri servizi e quelli di propri concorrenti; e (iii) trust and transparency, per garantire che le piattaforme forniscano informazioni sufficienti ai consumatori e alle imprese che effettuano operazioni con la stessa. La CMA ha proposto, infine, alcune iniziative specifiche per contrastare il potere di mercato di Google e Facebook, e far fronte ai conflitti di interesse presenti nei mercati dei motori di ricerca, dei social media e della pubblicità digitale. Tali interventi potrebbero includere l’accesso di terzi ai dati click-and-query, meccanismi per aumentare l’interoperabilità con altre piattaforme e misure di separazione societaria nell’open display market.

Al di là di quelli che saranno gli sviluppi nel Regno Unito, il documento in commento (accompagnato da ricche ed interessanti appendici) offre sicuramente ottimi strumenti di riflessione circa le dinamiche che interessano i mercati digitali.

Luigi Eduardo Bisogno
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