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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Intese e settore bancario – La Corte di Giustizia si è pronunciata su una domanda di pronuncia pregiudiziale in materia di commissioni interbancarie fornendo nuove indicazioni sulle nozioni di restrizioni per oggetto / effetto

In data 2 aprile 2020, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) si è pronunciata su una domanda pregiudiziale vertente sull’interpretazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (divieto di intese anticoncorrenziali). Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia nella quale vari istituti finanziari nonché Visa Europe Ltd. (Visa) e MasterCard Europe SA (MasterCard) avevano impugnato una decisione con la quale l’autorità garante della concorrenza ungherese (Autorità ungherese) aveva accertato l’esistenza di un accordo anticoncorrenziale vertente sulle commissioni interbancarie.

I fatti che hanno dato origine alla controversia risalgono alla prima metà degli anni ’90. Visa e MasterCard avevano consentito, in forza dei loro regolamenti interni, che gli istituti finanziari emittenti delle carte dei propri rispettivi circuiti (Banche di emissione), da un lato, e gli istituti finanziari prestatori di servizi di c.d. “acquiring” ossia la contrattualizzazione degli esercenti per permettergli di accettare tali carte come mezzo di pagamento (Banche di affiliazione), dall’altro, potessero definire in comune le cosiddette “commissioni interbancarie” (anche note come MIF: multilateral interchange fees), ossia l’importo pagato dalle seconde alle prime per ogni operazione di pagamento.

Nel 1996, nel contesto di una cooperazione multilaterale istituita dalle banche aderenti al settore dei servizi di pagamento tramite carte, sette banche (perlopiù inserite nei circuiti Visa e MasterCard), avevano concluso un accordo con il quale avevano uniformato l’importo delle spese per commissioni interbancarie relative ai pagamenti effettuati tramite carte dei circuiti Visa o MasterCard (Accordo). La risoluzione dell’Accordo, al quale nel corso del tempo avevano aderito molte altre banche, ha avuto luogo nel 2008, contestualmente all’avvio dell’istruttoria da parte dell’Autorità ungherese. Nel 2009, l’Autorità ungherese aveva quindi adottato una decisione con la quale accertava l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale tra le banche aderenti all’Accordo, Visa e MasterCard (Decisione). Detta intesa avrebbe costituto non solo una restrizione della concorrenza “per oggetto” ma anche “per effetto”.

Nel giudizio di impugnazione che ha fatto seguito alla Decisione, è stato disposto il rinvio pregiudiziale alla CGUE di quattro questioni, delle quali due sono state dichiarate ricevibili:

• se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE possa essere interpretato nel senso che uno stesso comportamento può costituire sia una violazione “per oggetto”, sia “per effetto”;

• se l’Accordo possa essere effettivamente considerato una violazione “per oggetto”.

In relazione alla prima questione pregiudiziale, la CGUE ha ribadito la giurisprudenza ormai consolidata secondo cui l’accertamento di una restrizione della concorrenza “per oggetto” esonera l’autorità o il giudice competente dalla necessità di esaminare gli effetti, chiarendo tuttavia che ciò non implica assolutamente che tale autorità o detto giudice non possa comunque procedere a un esame anche degli effetti qualora lo ritenga opportuno.

In relazione alla seconda questione pregiudiziale, dopo aver ripercorso brevemente la giurisprudenza europea sui criteri utili all’accertamento di una violazione “per oggetto”, la CGUE ha fornito alcuni chiarimenti, rimettendo al giudice del rinvio la concreta soluzione della questione. La CGUE ha riaffermato il principio ai sensi del quale l’Accordo non potrebbe essere qualificato come restrizione “per oggetto”, salvo che si possa ritenere che “… detto accordo, in considerazione del suo tenore letterale, dei suoi obiettivi e del suo contesto, presenti il grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per essere qualificato in tal modo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare …”.

La CGUE peraltro non si limita a questa, ormai nota, affermazione di principio fornisce ulteriori chiarimenti alla luce dei vari elementi a sua disposizione.

In primo luogo, la CGUE si sofferma sull’oggetto vero e proprio dell’Accordo, sottolineando che lo stesso non ha fissato direttamente i prezzi di acquisto o di vendita ma ha uniformato un aspetto dei costi sostenuto dalle Banche di affiliazione come corrispettivo per le Banche di emissione. Inoltre, ha rilevato che i livelli delle commissioni interbancarie sono comunque diminuiti più volte nel corso degli anni. Pertanto, in relazione al suo contenuto, nella ricostruzione della CGUE l’Accordo non appariva presentare necessariamente un grado di dannosità per la concorrenza.

In secondo luogo, per quanto attiene agli obiettivi perseguiti dall’Accordo, la CGUE rileva che una delle finalità principali di quest’ultimo era stato quello, lecito, di garantire un certo equilibrio tra le attività di emissione e quello di affiliazione nell’ambito dei sistemi di pagamenti tramite carta. Le commissioni interbancarie, infatti, erano state uniformate non già mediante limiti minimi o massimi, bensì tramite importi fissi utili, unicamente, a garantire la copertura di taluni costi generati dall’utilizzo delle carte. In tal modo, i due sistemi (di affiliazione e di emissione) venivano tutelati dagli effetti indesiderati che sarebbero derivati da un livello troppo elevato di commissioni interbancarie e quindi, eventualmente, di commissioni di servizio. Tale fissazione, inoltre, aveva avuto la conseguenza di intensificare la concorrenza sotto altri profili (e.g. condizioni relative alle operazioni di pagamento e prezzi delle carte di credito) e, pertanto, anche sotto tale aspetto, l’Accordo non presentava quel grado di dannosità richiesto dalla giurisprudenza per valutarlo come anticoncorrenziale “per oggetto”.

In terzo luogo, la CGUE rileva che la mancanza di un’esperienza “sufficientemente solida e affidabile” in tale contesto, utile ad affermare che un tale accordo sia, per certo, dannoso al funzionamento della concorrenza, rende necessaria l’analisi degli effetti. In altre parole, la CGEU si richiama ad una valutazione probabilistica e evidenzia che per questo tipo di intese non è di per sé evidente che gli stessi si traducano automaticamente in effetti restrittivo della concorrenza, i quali devono pertanto essere valutati nel caso concreto.

Appare probabile che la sentenza in commento possa costituire un nuovo punto di riferimento per i procedimenti futuri, mostrando, rispetto alla giurisprudenza precedente, una maggiore attenzione, al di là di generali affermazioni di principio, per i singoli criteri di cui tener conto per valutare se una determinata violazione della concorrenza possa considerarsi “per effetto” ovvero “per oggetto”.

Mila Filomena Crispino
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Diritto della concorrenza Italia / Emergenza sanitaria e termini legali – L’AGCM ha emanato una comunicazione sulla sospensione di determinati termini procedimentali nonché dei termini per il pagamento delle sanzioni

Al termine dell’adunanza dello scorso 1 aprile, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o l’Autorità) – dato il particolare momento di tensione economico-sanitaria che sta interessando il tessuto sociale ed imprenditoriale (non solo) del nostro Paese – ha approvato una breve comunicazione (la Comunicazione) con cui ha voluto fornire delucidazioni relativamente all’interpretazione dell’articolo 103 del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020, rubricato “Sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi ed effetti degli atti amministrativi in scadenza”.

Con la Comunicazione in esame, l’Autorità ha inteso sottolineare l’applicazione della sospensione temporale in relazione ad un duplice ordine di termini, ossia: (i) ai termini procedimentali che avrebbero visto la propria decorrenza nel periodo di tempo ricompreso tra il 23 febbraio ed il 15 aprile 2020; e (ii) ai termini relativi al pagamento delle sanzioni destinati a scadere all’interno della medesima finestra temporale. Segnatamente:

(i) per effetto di tale sospensione, la data finale dei termini interessati è posticipata per un numero di giorni pari a quelli per cui è stabilita la sospensione. A tal riguardo, è utile sottolineare come questa sospensione si applichi non solo ai termini finali ‘di chiusura’ di un determinato procedimento, ma anche a quelli che ne regolano l’inizio (pertanto, ad es. una notifica di una concentrazione trasmessa all’interno del suindicato lasso temporale si considera pervenuta in data 16 aprile 2020) nonché alla conclusione delle precise fasi endo-procedimentali in cui questo si articola (compresi quelli relativi ai singoli adempimenti procedimentali). L’AGCM – al fine di garantire comunque un efficiente ed efficace svolgimento delle proprie funzioni – ha, tuttavia, escluso dall’applicazione della sospensione in esame: a) i termini relativi ai procedimenti cautelari, in quanto l’Autorità ha reputato prevalente la necessità di evitare il consolidarsi di un effetto dannoso; b) i termini entro cui le imprese interessate devono ottemperare alla diffida contenuta nel provvedimento di chiusura di un procedimento dinnanzi all’Autorità; e c) i termini indicati per l’ottemperamento delle misure imposte in sede di autorizzazione condizionata di un’operazione di concentrazione, in quanto necessari al fine di preservare la concorrenza nel mercato. Nulla viene invece detto circa i termini per l’attuazione di impegni ad esito di istruttorie comportamentali anche se, alla luce di quanto appena indicato, si può ipotizzare che l’AGCM non abbia ritenuto di considerarli ricadenti nella sospensione;

(ii) per quanto concerne il secondo ordine di termini che risultano interessati dalla sospensione, ossia i termini relativi al pagamento delle sanzioni inflitte dall’AGCM, a) in primis, i termini per il pagamento delle sanzioni scaturenti da un procedimento in tema di concorrenza, i quali trovano naturale scadenza nel periodo tra il 23 febbraio ed il 15 aprile 2020, sono prorogati al 1 ottobre 2020; b) in secundis, il termine esecutivo per il pagamento delle sanzioni in tema di tutela del consumatore (ossia 30 giorni dalla notifica del provvedimento) è sospeso e ricomincerà a decorre al termine della sospensione; c) infine, per le sanzioni per cui è stata concesso un pagamento rateizzato, i termini delle relative rate che scadono nel periodo dal 23 febbraio al 15 aprile 2020 sono sospesi.

Data la particolarità del momento, caratterizzato da una situazione di profonda incertezza e, perciò, in continuo divenire, sarà interessante vedere se la sospensione dei termini in questione sarà oggetto di un’estensione. Appare inoltre necessario approfondire se la Comunicazione non possa essere in contrasto col tenore letterale della norma, la cui ratio legis non appare essere confinata, come invece affermato dall’AGCM, unicamente all’esigenza di evitare di appesantire l’attività della pubblica amministrazione ovvero la formazione del silenzio-assenso, potendo ipotizzarsi che il legislatore abbia tenuto conto anche della necessità per le imprese di gestire procedimenti amministrativi nel contesto di una pandemia senza precedenti, con impatto rilevante sulle risorse delle stesse.

Luca Feltrin
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Concentrazioni e settore della distribuzione di libri – L’AGCM autorizza con impegni l’acquisizione di Centro Libri da parte di EmmeEffe

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha autorizzato, con il provvedimento pubblicato il 30 marzo 2020, l’operazione tramite cui EmmeEffe Libri S.p.A. (MF) intende acquisire il 51% del capitale sociale di Centro Libri S.r.l. (CL) (l’Operazione). MF è una società di distribuzione libraria controllata congiuntamente dalle holding dei gruppi Messaggerie e Feltrinelli; CL svolge principalmente attività di distribuzione di libri di scolastica e di “varia” e, tramite controllate, di vendita di libri, anche attraverso il commercio elettronico e di produzione di software.

L’AGCM ha subordinato l’autorizzazione dell’Operazione al rispetto di alcuni impegni, focalizzati sui rapporti commerciali con fornitori e clienti “indipendenti”, della durata compresa tra i due e i tre anni. Segnatamente:

- le divisioni operanti nella distribuzione, ossia CL stessa, così come la controllata per la distribuzione all’ingrosso di MF, MF Ingrosso S.p.A. – Divisione Fastbook (MFI Fastbook), la quale non sarà fusa in unico soggetto con CL fino alla decorrenza dei termini delle misure, non potranno interrompere i rapporti commerciali, né peggiorarne le condizioni, con le librerie “indipendenti”. Queste ultime sono definite dall’AGCM come le librerie che non appartengono ai principali gruppi editoriali italiani (Mondadori, Giunti, Messaggerie, Feltrinelli), e non sono affiliate ad essi in franchising; l’AGCM esclude dal novero delle librerie “indipendenti” anche tutte quelle che “… appartengono a gruppi che hanno altresì siti di vendita online di libri …”. In aggiunta,

- Messaggerie Libri S.p.A. (ML) non interromperà i rapporti commerciali con i propri attuali grossisti; e

- MFI Fastbook e CL non interromperanno i rapporti commerciali con gli editori “indipendenti”, ovvero coloro che devono acquistare servizi di distribuzione da soggetti terzi che non appartengono al medesimo gruppo.

Nell’analizzare il ruolo svolto dagli operatori concorrenti attivi nel mercato della distribuzione libraria, l’AGCM si sofferma particolarmente sulle società del gruppo Amazon, e sui gruppi Mondadori e Giunti. L’AGCM riconosce che Amazon è l’operatore che si è maggiormente avvantaggiato dalla contrazione delle vendite attraverso i canali tradizionali, in particolare attraverso le librerie indipendenti, a favore di quello online. Amazon ha recentemente lanciato un servizio di distribuzione B2B che si avvantaggia della ampiezza del catalogo, disponibilità di libri, nonché forza logistica superiore rispetto ai propri concorrenti e sviluppata nell’ambito dei servizi di vendita retail (B2C); peraltro tale servizio non è attualmente percepito come particolarmente rispondente alle esigenze specifiche del settore della distribuzione dei libri, e, in aggiunta, l’AGCM ha rilevato la “forte avversione” delle librerie nei confronti di tale operatore. Nonostante questo, l’AGCM non può esimersi dal riconoscere che Amazon rappresenti una fonte di potenziale forte pressione competitiva nei confronti dei distributori. Al contrario, l’AGCM non ritiene che i gruppi Giunti e Mondadori possano nel breve periodo espandere le proprie operazioni per offrire un servizio di distribuzione per conto di editori terzi.

In un settore in così forte evoluzione, appare quindi significativa, tra le valutazioni dell’Autorità, quella relativa alla capacità di Amazon di esercitare in un tempo ragionevolmente breve una pressione competitiva significativamente incrementata rispetto a quella attuale anche nel mercato della distribuzione di libri all’ingrosso.

Riccardo Fadiga
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore dei servizi di parcheggio – L’Autorità ha sanzionato la società Parkos per avere messo in atto tre distinte condotte illecite

Con le decisioni pubblicate nel bollettino del 30 marzo scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha disposto l’irrogazione di sanzioni amministrative pari ad un totale di 60.000 euro nei confronti della società olandese Parkos BV (Parkos). Quest’ultima, mediante il sito web http://www.parkos.it, svolge attività di confronto e prenotazione dei parcheggi limitrofi agli aeroporti. Il procedimento ha avuto ad oggetto tre distinte pratiche commerciali scorrette poste in essere da Parkos a partire dal 2016 fino, in parte, ad oggi.

Dall’indagine dell’AGCM, avviata a seguito delle segnalazioni da parte di una associazione dei consumatori membro del Centro Tutela Consumatori e Utenti (CTCU), è emerso in primo luogo che Parkos applicava sul suo sito web il c.d. “credit card surcharge”: al termine della prenotazione, imponeva al consumatore un supplemento di prezzo per l’uso di un mezzo di pagamento elettronico, del quale peraltro il consumatore non aveva conoscenza sino al momento del pagamento vero e proprio. Più nello specifico, Parkos applicava una percentuale pari al 3% dell’importo totale per le carte dei circuiti Visa e MasterCard e al 3,5% per quelle aderenti ad American Express.

Come già rilevato, l’AGCM ha appurato che tale condotta era stata posta in essere a partire dal 2016 sino al 15 ottobre 2019, data di avvio dell’istruttoria, a partire dalla quale Parkos si è attivata al fine di rimuovere tutti i costi di opzione relativi ai metodi di pagamento dal sito web italiano.

Inoltre, l’AGCM ha contestato a Parkos la previsione di una clausola, tra le condizioni generali di contratto, che devolveva, nel caso in cui insorgessero controversie con i consumatori, la competenza al giudice del luogo ove ha sede la società (i.e. Olanda), e la mancata indicazione nel sito web della possibilità, per il consumatore, di avvalersi di uno dei meccanismi extra-giudiziali di risoluzione delle eventuali controversie. Tali condotte sono continuate anche nelle more dell’istruttoria.

Nelle sue argomentazioni difensive, Parkos ha affermato di operare nel nostro Paese solo tramite sito web, e di non aver avuto conoscenza dell’esistenza di disposizioni legislative italiane che vietassero l’imposizione di commissioni sulle transazioni effettuate tramite carte di credito sino alla data in cui gli è stato comunicato l’avvio di istruttoria, a partire dalla quale essa ha prontamente messo in atto ogni attività volta ad eliminare tali costi; Parkos ha inoltre sottolineato di aver sempre garantito nel nostro Paese la possibilità di effettuare gratuitamente i pagamenti, senza l’applicazione dei suddetti sovrapprezzi, dal momento che consentiva ai consumatori di poter provvedere online tramite “PayPal”, o di poter pagare in contanti presso il parcheggio prescelto.

Con riguardo alle altre due condotte, Parkos ha sostenuto, in primo luogo, che la clausola prevista nelle condizioni generali di contratto non fosse mai stata di fatto attivata, poiché nessuna contestazione da parte dei consumatori è mai sfociata in una controversia pendente dinanzi ad un’autorità giudiziaria; e, in secondo luogo, che la mancata previsione della possibilità di ricorrere a meccanismi di Alternative Dispute Resolution sarebbe priva di rilievo pratico, dal momento che la società si è sempre adoperata per risolvere eventuali contrasti con i consumatori senza la necessità di ricorrere a tali meccanismi.

L’AGCM, nelle sue valutazioni conclusive, ha mostrato di non accogliere le osservazioni trasmesse da Parkos e ha irrogato tre distinte sanzioni: una pari a 50.000 per l’applicazione del credit card surchage, altre due pari a 5.000 euro ciascuna per le altre violazioni commesse, e contestualmente ha diffidato il professionista dal continuare tali pratiche.

Carla Maria Virone
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Pratiche commerciali scorrette e trasporto aereo – L’AGCM sanziona Blue Panorama per aver reiterato una pratica aggressiva in inottemperanza ad una precedente decisione

Con la decisione pubblicata nel Bollettino del 30 marzo scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato per 1,2 milioni di euro la compagnia aerea Blue Panorama Airlines S.p.A. (BP) per l’inottemperanza alla delibera dell’8 maggio 2019, n. 27781 (Delibera dell’8 maggio 2019), in cui si vietava la continuazione di una pratica commerciale aggressiva.

In particolare, la Delibera dell’8 maggio 2019 aveva per oggetto l’applicazione di una policy commerciale con cui BP, a fronte della non corretta registrazione del nominativo in sede di prenotazione – per l’omissione del secondo/terzo nome o cognome oppure nel caso di alterazione o mancanza di alcune lettere – negava l’imbarco ai passeggeri, richiedendo, inizialmente, l’acquisto di un nuovo biglietto, e successivamente, il pagamento di una reprint fee di 50 euro per tratta (Policy del nominativo) (per maggiori dettagli, si veda la Newsletter del 10 giugno 2019).

Nel luglio 2019, BP comunicava di aver dato esecuzione alla Delibera dell’8 maggio 2019 prevedendo, per tutti i voli, l’interruzione della reprint fee policy praticati sin dalla fine del mese di aprile 2019 e la tolleranza di un errore fino a tre caratteri nell’annotazione del nominativo in prenotazione senza l’emissione di una nuova carta d’imbarco. Tuttavia, si manteneva fermo il diritto di negare l’imbarco in caso di non concordanza tra il nominativo indicato nel biglietto e nel documento di riconoscimento oltre i tre caratteri, autorizzando in via eccezionale l’imbarco sui voli operati in ambito nazionale/intracomunitario dei passeggeri i cui secondi/terzi nomi non fossero riportati sul biglietto.

Sospettando il perdurare delle condotte aggressive già sanzionate, l’AGCM ha avviato un procedimento per verificare l’ottemperanza alla Delibera dell’8 maggio 2019. Nel febbraio 2020, Blue Panorama ha annunciato di aver nuovamente rimodulato la propria Policy del nominativo nell’intento di superare definitivamente ogni aspetto ritenuto non in linea con la Delibera dell’8 maggio 2019. In particolare, BP ha previsto che gli errori ed omissioni rilevanti per negare l’imbarco al passeggero sarebbero stati solo ed esclusivamente quelli idonei a pregiudicare definitivamente la completa identificazione di quest’ultimo e non già la sola alterazione di alcune lettere ovvero la mancanza di middle names/s ovvero la ripetizione del medesimo nome o cognome.

Ciononostante, con il provvedimento in esame l’AGCM ha accertato l’inottemperanza alla Delibera dell’8 maggio 2019 da parte di BP per la Policy del nominativo adottata tra il luglio e il febbraio 2020. In particolare, BP avrebbe violato la delibera poiché, inter alia:

(i) ha continuato ad applicare, almeno fino al novembre 2019, la reprint fee a quei passeggeri che avessero prenotato prima della fine del mese di aprile 2019 (solo a partire dal dicembre 2019, BP ha intrapreso l’iniziativa di rintracciare i consumatori che avevano subito il supplemento, erogando loro un voucher del valore di 50 euro);

(ii) ha riaffermato l’asserito diritto a negare l’imbarco al passeggero, nell’imminenza del volo già prenotato e pagato, anche laddove la mancanza o l’alterazione di più di tre lettere nel nominativo inserito in prenotazione, ovvero l’omesso inserimento del/dei middle name/s, non ostacolassero di fatto il riconoscimento personale in base al documento di identità esibito alla partenza, richiedendo, il pagamento di un secondo biglietto, alla tariffa ultima applicabile o alla c.d. tariffa last minute (di 299,99 euro), generalmente più onerose rispetto all’acquisto originario.

In particolare, con riferimento alla condotta sub (ii), l’AGCM ha precisato che la normativa europea ed italiana in materia di pubblica sicurezza, invocata da BP, fosse connessa alla completezza dei dati identificativi, e non soltanto di quelli ‘nominativi’, del trasportato.

L’AGCM, tuttavia, ha riconosciuto che, in esito alle modifiche attuate nel febbraio 2020, la Policy del nominativo fosse conforme con quanto ordinato.

Infine, l’AGCM ha riconosciuto una circostanza attenuante per aver adottato iniziative volte a ristorare i consumatori incorsi nella reprint fee, irrogando a BP una sanzione pari a 1,2 milioni di euro.

La decisione in commento evidenzia che le imprese incorse in una diffida da parte dell’AGCM devono prestare particolare attenzione nel modificare la propria condotta, assicurandosi di rispettare il contenuto sostanziale del divieto imposto per evitare una nuova sanzione.

Luigi Eduardo Bisogno
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