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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e COVID-19 – Seconda modifica della Commissione europea al temporary framework per far fronte all’epidemia in corso

In data 8 maggio 2020, la Commissione europea (la Commissione) ha adottato la seconda modifica (la Seconda Modifica) del quadro temporaneo (QT) per gli aiuti di Stato adottato il 19 marzo (v. Newsletter del 23 marzo 2020) al fine di consentire agli Stati membri di sostenere l’economia nel contesto della pandemia di COVID-19, facendo seguito alla prima modifica del 3 aprile.

Come il QT, la Seconda Modifica si basa sull’articolo 107(3)(b) TFUE, che consente alla Commissione di autorizzare gli aiuti concessi per “porre rimedio ad un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”. Se l’iniziale QT era però incentrato sull’esigenza di garantire liquidità alle imprese a breve, la Seconda Modifica riconosce che gli effetti economici del COVID-19 metteranno a repentaglio la loro solvibilità a medio-lungo termine. Sulla base di ciò, va ad integrare i tipi di misure già contemplati dal QT e dalle norme vigenti in materia di aiuti di Stato, stabilendo i criteri sulla base dei quali gli Stati membri possono ricapitalizzare e fornire debito subordinato alle imprese (grandi e PMI) non finanziarie non in difficoltà alla data del 31 dicembre 2019.

La Seconda Modifica consente agli Stati membri di attuare misure di ricapitalizzazione fino al 30 giugno 2021 (e non 31 dicembre 2020, ossia il termine ultimo entro il quale possono essere concesse le altre misure previste dal QT) sotto forma di (i) strumenti di capitale, in particolare azioni ordinarie o privilegiate, e/o (ii) strumenti ibridi di capitale, tra cui obbligazioni convertibili o partecipazioni senza diritti di voto.

Per poter beneficiare della ricapitalizzazione il beneficiario deve presentare una richiesta scritta di intervento dello Stato e dimostrare che:

- senza l’intervento dello Stato fallirebbe o avrebbe gravi difficoltà a mantenere le sue attività;

- l’intervento pubblico avviene nell’interesse comune, potendo ciò essere motivato, ad esempio, dall’esigenza di evitare considerevoli perdite di lavoro o l’uscita dal mercato di un’impresa innovativa;

- non sono disponibili altre soluzioni di finanziamento sui mercati a condizioni ragionevoli e le misure orizzontali esistenti nello Stato membro per coprire le esigenze di liquidità non sono sufficienti a garantire la sua liquidità;

- non si trovava in difficoltà finanziarie prima del 31 dicembre 2019.

Sono poi previste una serie di misure di salvaguardia in materia di governance delle imprese ricapitalizzate, al fine di evitare indebite distorsioni della concorrenza; tra queste, si segnala l’obbligo dello Stato di proporre impegni strutturali o comportamentali (simili a quelli previsti nei procedimenti di controllo delle concentrazioni), qualora l’impresa beneficiaria di una misura di ricapitalizzazione d’importo superiore ai 250 milioni di euro detenga un significativo potere di mercato su un almeno uno dei mercati rilevanti in cui opera.

Tramite la Seconda Modifica gli Stati sono inoltre incoraggiati a sostenere le imprese in difficoltà finanziarie fornendo loro debito subordinato a condizioni favorevoli (ossia, strumenti di debito subordinati ai creditori ordinari di primo rango in caso di procedure di insolvenza).

La Commissione rimane quindi vigile ed attenta a valutare l’opportunità di introdurre ulteriori misure, piuttosto che modificare le esistenti, in modo da consentire agli Stati membri di sostenere la loro economia senza tuttavia comprimere eccessivamente i principi pro-competitivi alla base del mercato unico dell’Unione.

Mila Filomena Crispino
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Diritto della concorrenza Italia / Concentrazioni e servizi bancari finanziari e assicurativi – L’AGCM avvia la Fase 2 sull’acquisizione di UBI banca da parte di Intesa Sanpaolo

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato lo scorso 11 maggio un procedimento istruttorio relativamente all’operazione di concentrazione tramite cui Intesa Sanpaolo S.p.A. (ISP) intende acquisire UBI Banca – Unione di Banche Italiane S.p.A. (UBI) attraverso un’offerta pubblica di scambio (OPS) volontaria totalitaria. Attraverso l’OPS, IPS mira al delisting di UBI ed alla successiva fusione con ISP stessa. Contestualmente alla decisione di promuovere l’OPS, in data 17 febbraio 2020 ISP ha sottoscritto un accordo vincolante con BPER Banca S.p.A. (BPER), ai sensi del quale ISP si è impegnata a cedere a BPER un ramo di azienda composto da un numero compreso tra 400 e 500 filiali previamente controllate da UBI (Ramo d’azienda UBI). Nonostante la vincolatività di tale accordo, l’AGCM ha peraltro indicato che allo stato valuterà l’operazione includendo nel perimetro dell’acquisizione anche il Ramo d’azienda UBI, in ragione di non meglio specificate “incertezze” legate al perimetro del Ramo stesso.

L’avvio della Fase 2 sembra essere fondato sulla posizione già rilevante detenuta da ISP su numerosi dei mercati interessati, soprattutto in quelli ad ambito geografico particolarmente ridotto, come i servizi orientati agli individui e alle famiglie, in cui la distanza dallo sportello bancario è un fattore determinante per la domanda. Tale elevato potere di mercato agli occhi dell’AGCM è equiparabile solamente a quella di Unicredit S.p.A. (Unicredit), operante sull’intero territorio nazionale e non solo.

L’attuale “sostanziale simmetria” dei due gruppi bancari nazionali, a detta dell’AGCM, “verrebbe superata” per effetto della concentrazione in discorso, “con l’importante crescita di ISP”. Affermazione che presenta qualche peculiarità in quanto, di per sé, il superamento di una asimmetria di questo tipo tra i due principali operatori dovrebbe essere lungi dal suscitare preoccupazioni concorrenziali; l’AGCM dovrà ora valutare quanto sia importante tale confronto concorrenziale agli occhi dell’AGCM, ovvero se il suo superamento rischi inevitabilmente di condurre alla creazione di una dominanza di ISP in alcuni mercati.

Riccardo Fadiga
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Legal news / Diritto della concorrenza e centrali di acquisto – Il Joint Research Centre della Commissione europea pubblica uno studio sull’impatto delle centrali d’acquisto nella filiera agricola e alimentare

Il 13 maggio scorso il Joint Research Centre (JRC), ossia la direzione generale della Commissione europea che fornisce un sostegno scientifico e tecnico alle politiche dell’Unione europea, ha pubblicato uno studio che esamina il potenziale impatto delle centrali di acquisto (RA, retail alliances) nella filiera agricola e alimentare (lo Studio), includendo altresì quanto emerso nell’ambito del workshop tenutosi a Bruxelles il 4-5 novembre 2019, al quale hanno partecipato studiosi di economia e di diritto, esperti delle autorità di concorrenza e professionisti del settore.

Come noto, le RA sono qualificabili come “alleanze”, sia tra piccoli dettaglianti, sia tra le grandi catene di distribuzione. Le RA finalizzate essenzialmente alla negoziazione collettiva con i fornitori comuni delle imprese aderenti. Lo studio individua tre categorie principali di RA: (i) i gruppi di dettaglianti indipendenti; (ii) le alleanze nazionali; e (iii) le alleanze europee.

La parte centrale dello Studio è dedicata all’analisi economica dell’impatto delle RA sui membri dell’alleanza e sugli altri attori della filiera agroalimentare. Da un lato, lo Studio riconosce che vi è un consenso unanime sui vantaggi economici che possono derivare ai membri delle RA. Queste possono, infatti, ridurre i costi dei distributori, in virtù dei (i) minori costi di transazione; (ii) il pooling di risorse e la fornitura in comune di servizi; e (iii) la posizione negoziale più forte nei confronti dei fornitori. Dall’altro lato, è più complesso stabilire quali implicazioni le RA potrebbero avere sugli altri attori della filiera. Secondo lo Studio, questi dipendono essenzialmente: (i) dal tipo di alleanza in questione; (ii) dalla natura del contratto con il fornitore; e (iii) dalla struttura del mercato nei mercati di acquisto e di vendita.

Lo Studio riconosce inoltre che le RA potrebbe generare benefici nei confronti dei consumatori, mediante una riduzione dei prezzi al consumo. Tale riduzione, tuttavia, si genera soltanto se il mercato dei consumatori di vendita è soggetto a pressioni concorrenziali. Lo Studio riconosce che ciò può avvenire soprattutto nel contesto di alleanze europee con membri di diversi paesi che non operano in concorrenza.

Nei confronti dei distributori, da un lato le RA possono contribuire alla realizzazione di contratti “più efficienti” e a migliorare la posizione di contrattazione dei piccoli distributori, favorendo così la concorrenza. Dall’altro, le RA possono incidere negativamente sui distributori che non partecipano all’alleanza (i quali non sono in grado di replicare le condizioni contrattuali più favorevoli negoziate delle RA) riducendo la concorrenza. Inoltre, le RA possono amplificare i rischi di un coordinamento anticoncorrenziale tra i distributori (ad es. lo scambio di informazioni e la collusione sui prezzi). Tale rischio, tuttavia, è più ridotto per le alleanze europee, dal momento che di solito non competono sugli stessi mercati ovvero in relazione ai gruppi di rivenditori indipendenti, le cui quote di mercato congiunte sono generalmente limitate.

Le RA possono generare efficienze anche per i produttori sotto forma di costi di transazione ridotti o richieste più omogenee per la produzione di prodotti private label. Inoltre, le RA permettono ai fornitori più piccoli di accedere una rete di distributori più ampia. Al contempo, la migliore posizione negoziale delle RA può portare a margini ridotti per i produttori, la quale può ridurre le possibilità di investimento e innovazione.

Infine, lo Studio analizza le RA nel contesto delle restrizioni imposte dal diritto della concorrenza e dalle norme sulle pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare, esistenti a livello europeo e nazionale. Lo studio riconosce che le RA potrebbero costituire uno strumento per realizzare restrizioni vietate della concorrenza (c.d. “per oggetto”), come la ripartizione dei mercati, la limitazione coordinata dell’output, lo scambio di informazioni strategiche e la collusione sui prezzi. Le RA che non hanno per oggetto la restrizione della concorrenza, invece, dovranno essere analizzate con riferimento gli effetti reali e probabili sulla concorrenza. In tale contesto, la valutazione avrà per oggetto i potenziali effetti di preclusione collegati alle RA e per superare il divieto sarà necessario dimostrare che i benefici generati dalle RA sono trasferiti ai consumatori.

In sintesi, lo Studio riconosce che le RA richiedono una valutazione caso per caso, in ragione della loro tipologia e della struttura dei mercati in cui operano, potendo generare benefici per i distributori, aumentando la loro competitività in un mercato che tende a consolidarsi e internazionalizzarsi e, ove sia presente una sufficiente concorrenza nei mercati della vendita – anche per i consumatori. D’altra parte, lo Studio ha del pari riconosciuto che le RA aumentano il rischio di un maggiore concentrazione della distribuzione e di connesse pratiche anticoncorrenziali, dovendo quindi le autorità di concorrenza continuare a svolgere un attento monitoraggio sui mercati di volta in volta interessati dalle centrali di acquisto.

Luigi Eduardo Bisogno
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Procedure di infrazione e digitale terrestre – La Commissione europea chiude senza sanzioni i procedimenti d’infrazione attivati nei confronti di Italia e Bulgaria sulle frequenze DTT

La Commissione europea (la Commissione) – per il tramite di un comunicato stampa pubblicato lo scorso 14 maggio (il Comunicato) – ha reso nota la chiusura delle procedure d’infrazione avviate ex articolo 258 TFUE nei confronti di Italia e Bulgaria. Tali procedure concernevano, in particolare, i procedimenti di assegnazione delle frequenze televisive attivati dai due Paesi interessati per assicurare il passaggio dalla televisione analogica alla tecnologia del digitale terrestre (DTT). La Commissione ha inteso premiare le misure adottate dai due Stati membri in questione, volte a rispondere alle preoccupazioni concorrenziali avanzate dalla stessa circa la mancata osservanza delle previsioni di cui alle Direttive nn. 21 e 20 del 7 marzo 2002 (rispettivamente, la Direttiva Quadro e la Direttiva Autorizzazioni) e alla Direttiva n. 77 del 16 settembre 2002 (la Direttiva Concorrenza) concernenti i servizi di comunicazione elettronica (congiuntamente, le Direttive).

La Commissione sottolinea come il settore DTT sia soggetto a spinte evolutive e a forti cambiamenti dovuti, in particolare, al processo di riforma in base al quale è richiesto agli Stati membri di ‘spostare’ le frequenze DTT verso una banda più potente rispetto alla precedente di 700 MHz, in quanto quest’ultima sarà utilizzata esclusivamente per le comunicazioni mobili; la Commissione ha quindi ritenuto “inopportuno” proseguire con i procedimenti di infrazione.

Al fine di poter meglio comprendere il Comunicato, occorre ripercorrere brevemente le contestazioni che sono state mosse ai due Stati membri. Per quanto concerne l’Italia, la Commissione – con una comunicazione inviata in data 18 luglio 2007 – aveva richiesto a quest’ultima di modificare la legislazione vigente (all’epoca la legge n. 112 del 2004, anche Legge Gasparri) in tema di passaggio dalla televisione analogica a quella DTT, in quanto contraria al dettato delle Direttive; il sistema adottato dal legislatore italiano avrebbe imposto restrizioni ingiustificate alla fornitura di servizi di trasmissione radiotelevisiva con vantaggi ingiustificati agli operatori analogici già esistenti. In altre parole, la Legge Gasparri avrebbe potenzialmente potuto ricreare anche nella DTT la situazione vigente nella televisione analogica, in cui solo pochi operatori erano realmente in grado di competere sul mercato dei servizi di trasmissione, così privando i consumatori italiani di una scelta ben più ampia. L’Italia, tuttavia, ha risposto positivamente agli stimoli della Commissione (adottando sin da subito il decreto-legge 59 del 2008, con cui ha recepito in maniera urgente le modifiche richieste). Pertanto, la Commissione – dopo un periodo di osservazione di ben 12 anni – ha ritenuto opportuno chiudere la procedura di infrazione.

Per quanto riguarda invece la Bulgaria, la Commissione, con la comunicazione del 22 marzo 2012, ha considerato contrarie alle disposizioni di cui alla Direttiva Concorrenza le due procedure di gara tramite cui erano sono stati assegnati i cinque lotti di spettro disponibili per la radiodiffusione in DTT. Le regole delle gare in questione, caratterizzate da criteri di selezione sproporzionati e non conformi ai requisiti delle Direttive di cui sopra (ai candidati non era stato, infatti, consentito di avere legami con i fornitori di contenuti, i.e. operatori di canali televisivi, compresi gli operatori attivi solo al di fuori della Bulgaria, o con gli operatori di reti di trasmissione), avrebbero ingiustificatamente limitato il numero di attori che potevano entrare nel mercato interessato. Poiché la Bulgaria aveva mancato di reagire adeguatamente alle contestazioni avanzate dalla Commissione, con la successiva comunicazione del 24 gennaio 2013, la Commissione ha deferito la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, la quale, con la sentenzadel 23 aprile 2015, ha confermato le argomentazioni della Commissione e, pertanto, la violazione del diritto europeo da parte dello Stato membro in questione. La Bulgaria aveva, quindi, agito al fine di soddisfare le preoccupazioni della Commissione e, a tal fine, aveva indetto una nuova procedura di gara che rispettasse i dettami concorrenziali delle Direttive interessate. La Commissione si è quindi considerata soddisfatta e, dopo un periodo di osservazione di 5 anni, ha finalmente ritenuto opportuno chiudere il procedimento di infrazione anche nei confronti della Bulgaria.

Luca Feltrin
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