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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE/Intese e responsabilità solidale – Secondo l’Avvocato Generale Pitruzzella la Commissione non ha l’obbligo di ripartire proporzionalmente nei rapporti di solidarietà la riduzione dell’ammenda in favore di una società

Lo scorso 4 giugno, l’Avvocato Generale Pitruzzella (AG) si è pronunciato nell’ambito dell’impugnazione proposta dalla Commissione europea (Commissione) avverso la sentenza del Tribunale dell’UE (Tribunale) che aveva annullato la sua decisione con la quale essa aveva ridefinito i rapporti di responsabilità solidale tra GEA Group AG (GEA) e le sue ex controllate Aachener Chemische Werke Gesellschaft für glastechnische Produkte und Verfahren mbH (ACW) e Chemson Polymer-Additive AG (CPA) nel pagamento della sanzione irrogata nel contesto di un cartello nel settore degli stabilizzanti termici.

Nel 2009, la Commissione aveva sanzionato per un totale di € 173 milioni alcune società chimiche per aver fissato i prezzi ed essersi ripartiti, tra il 1987 e il 2000, il mercato europeo degli stabilizzanti termici – sostanze chimiche utilizzate per mantenere rigide le materie plastiche e prevenirne lo scolorimento (Decisione del 2009). Con la Decisione del 2009, la Commissione in particolare aveva ritenuto (i) GEA, ACW e CPA responsabili in solido per € 1,9 milioni; e (ii) GEA e ACW responsabili in solido per un’ulteriore l’importo di € 1,4 milioni. La citata ripartizione originava dal fatto che CPA aveva fatto parte di un’unica entità economica insieme a GEA e ACW solo per un certo periodo dell’infrazione imputata a tale entità, vale a dire dal 1995 al 2000.

Poco dopo l’adozione della Decisione del 2009, ACW aveva lamentato, segnalandolo alla Commissione, che l’ammenda che le era stata inflitta superava il limite massimo del 10% del fatturato, di cui all’art. 23, paragrafo 2, del Regolamento (UE) n. 1/2003. Nel 2010, la Commissione aveva quindi adottato una nuova decisione, mantenendo immutato l’ammontare complessivo della sanzione ma ridefinendo i rapporti di responsabilità solidale ed esclusiva tra le entità in causa (Decisione del 2010). Nello specifico, con la Decisione del 2010, la Commissione ha considerato (i) GEA, ACW e CPA responsabili in solido dell’importo di € 1,09 milioni; (ii) GEA e CPA responsabili in solido dell’importo di € 0,83 milioni; e (iii) GEA responsabile unica per l’importo di € 1,4 milioni.

In seguito al ricorso di GEA, il Tribunale aveva quindi annullato la Decisione del 2010, ritenendo che la Commissione avesse violato i diritti di difesa di GEA, la quale non era stata messa nelle condizioni di presentare le proprie osservazioni. Nel 2016, in ottemperanza al pronunciamento del Tribunale, la Commissione aveva adottato una seconda decisione di modifica della Decisione del 2009, peraltro reiterando le sanzioni e i rapporti di responsabilità solidale contenuti nella Decisione del 2010 e fissando l’esigibilità delle ammende al 10 maggio 2010 (la Decisione Contestata).

GEA aveva proposto nuovamente ricorso contro la Decisione Contestata, ottenendo nuovamente il suo annullamento dinanzi il Tribunale. In primo luogo, il Tribunale aveva accolto il motivo di GEA fondato su una violazione del principio di parità trattamento. Secondo il Tribunale, la Commissione avrebbe dovuto ripartire la riduzione dell’importo dell’ammenda di ACW “proporzionalmente nei due rapporti di solidarietà in causa”. In questo modo, GEA sarebbe stata responsabile in via esclusiva per un importo inferiore a quello che figura dalla Decisione del 2010, poiché una parte dell’ammenda sarebbe rientrata nella responsabilità solidale di ACW e GEA. In secondo luogo, il Tribunale aveva anche accolto il motivo di ricorso di GEA relativo ad un eccesso di potere derivante dal fatto che la Commissione aveva fissato al 10 maggio 2010 la data di decorrenza dell’esigibilità delle ammende inflitte a GEA, ACW e CPA. Tale sentenza del Tribunale è stata infine appellata dalla Commissione dinanzi alla Corte di Giustizia (CdG).

Nel contesto di tale giudizio, nelle proprie conclusioni, qui in esame, l’AG ha espresso un giudizio contrario alla pronuncia del Tribunale. In particolare, l’AG ha sottolineato che, con la Decisione del 2009, la Commissione ha condannato GEA, CPA e ACW, in quanto entità facenti parte di un’unica impresa, al pagamento in solido di un’unica ammenda. L’AG ha poi spiegato che i rapporti di solidarietà “…non riflettono la partecipazione delle singole entità all’infrazione, bensì la loro appartenenza alla medesima impresa e dunque la loro capacità ad essere considerate solidalmente responsabili del pagamento degli importi indicati…”. Di conseguenza, la riduzione dell’ammenda di ACW ha un impatto diretto sulla solidarietà esterna di tale entità, nel senso che non le potrà essere richiesto un pagamento di importo superiore al massimale del 10%, ma non modifica la solidarietà esterna delle altre società, che continuano ad essere responsabili nei confronti della Commissione entro i limiti ad esse individualmente applicabili, sia con riferimento al massimale del 10%, sia con riferimento al periodo in cui hanno fatto parte della medesima impresa che ha commesso l’infrazione. Secondo l’AG, la Commissione non aveva pertanto alcun obbligo di procedere ad una particolare ripartizione della riduzione accordata ad ACW o dell’ammenda ridotta di quest’ultima.

Per quanto riguarda il termine di esigibilità delle ammende, l’AG ha criticato la tesi del Tribunale secondo cui l’obbligazione di pagare le ammende risultava unicamente dalla Decisione Contesta e, conseguentemente, il termine da cui tali ammende diventavano esigibili poteva essere determinato solo a decorrere dalla notifica di tale decisione. Secondo l’AG, la Decisione del 2009, e non le successive decisioni di modifica, costituiva il fondamento giuridico dell’ammenda inflitta a GEA, CPA e ACW. La Decisione del 2010, così come la Decisione Contestata, non avevano, infatti, modificato la Decisione del 2009 di infliggere un’ammenda all’impresa costituita da ACW, CPA e GEA, né avevano modificato l’importo dell’ammenda inflitta a GEA ma avevano unicamente ridotto l’importo a concorrenza del quale ACW poteva considerarsi responsabile. Peraltro, le modifiche della Decisione del 2009 non avevano determinato l’automatica modifica della clausola, in base al quale «[l]e ammende saranno pagate in euro entro tre mesi dalla data di notifica della presente decisione».

Alla luce di quanto sopra, l’AG ha proposto alla CdG di annullare la sentenza del Tribunale e di rinviare la causa allo stesso per un nuovo giudizio. Non resta dunque che attendere se la CdG darà ragione alla Commissione o ribadirà la tesi del Tribunale, in una controversia che ha al centro, in ultima analisi, la questione della concezione della soglia massima del 10%.

Luigi Eduardo Bisogno
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Mercati digitali e concorrenza – La Commissione europea lancia due consultazioni su un possibile nuovo strumento per affrontare problemi concorrenziali di natura strutturale e sull’innovazione della regolamentazione dei servizi digitali

Lo scorso 2 giugno, la Commissione europea (Commissione) ha avviato simultaneamente due consultazioni pubbliche, una sulla necessità di un eventuale nuovo strumento in materia di concorrenza che permetta di affrontare efficacemente i problemi c.d. strutturali dei mercati e l’altra sull’annunciata legge sui servizi digitali.

Le due consultazioni puntano a raccogliere le opinioni degli stakeholder sui temi in oggetto, che sono fortemente intrecciati. Da un lato, la consultazione  relativa a un eventuale nuovo strumento per affrontare i problemi concorrenziali strutturali (New Competition Tool, NCT) è finalizzata a fronteggiare tali circostanze così come emergono in particolare dalla rapida evoluzione e, soprattutto, dalla digitalizzazione e dalla globalizzazione dell’economia moderna. La consultazione presta particolare attenzione al ruolo delle piattaforme, dato il loro ruolo di controllo dell’accesso a determinati mercati o ambiti (c.d. gatekeeper), anche prospettando un’eventuale introduzione di regolamentazione specifica ex ante.

In particolare, la Commissione – che può sanzionare (i) gli accordi e le pratiche anticompetitive ai sensi dell’Articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU); e (ii) gli abusi di posizione dominante ai sensi dell’Articolo 102 TFEU – intende affrontare con il proposto NCT i problemi competitivi strutturali che sfuggono a tali regole (quali, per esempio, le strategie monopolistiche di imprese non dominanti con potere di mercato) ovvero quelli che le norme attuali non possono affrontare efficacemente (come, per esempio, le strategie adottate da imprese dominanti di leveraging parallelo in diversi mercati adiacenti). Tale NCT potrebbe fare riferimento a due categorie di problemi strutturali, e cioè:

(i) i rischi strutturali per la concorrenza, e ossia scenari dove alcune caratteristiche del mercato (quali effetti di rete e di scala, indisponibilità del multi-homing, e effetti di lock-in) minacciano di causare la “perdita di equilibrio” del mercato (“tipping the market”), causando il consolidamento di operatori con un solido potere di mercato e/o una funzione di gatekeeper;

(ii) la carenza strutturale di concorrenza nel mercato, in ragione di particolari caratteristiche quali alta concentrazione o barriere all’ingresso o mercati con una struttura oligopolistica che favorisce la collusione tacita, anche in ragione di elevata trasparenza del mercato dovuta all’impiego diffuso di soluzioni algoritmiche, che stanno diventando progressivamente più prevalenti.

La Commissione ha prospettato due possibili soluzioni per realizzare il proposto NCT, ciascuna delle quali potrebbe essere realizzata in relazione all’intero mercato ovvero solo ai settori dove le i fattori di rischio descritti sopra sono più prevalenti, come per esempio alcuni mercati digitali particolarmente soggetti a forte potere di mercato, elevate barriere all’ingresso, etc. La prima opzione prevede uno strumento inteso ad arrestare condotte unilaterali di imprese dominanti prima che sia possibile accertare l’esistenza di un abuso, così permettendo di intervenire prima che l’impresa sia in grado di danneggiare il panorama concorrenziale. Allo stesso tempo, non risultando nell’accertamento di un abuso, l’applicazione un simile strumento non causerebbe sanzioni né obblighi di risarcimento. La soluzione alternativa sarebbe uno strumento la cui applicazione si basi sulla struttura di mercato (piuttosto che sulla dominanza di alcune imprese), permettendo alla Commissione di imporre rimedi comportamentali e strutturali per rimediare ai fallimenti di mercato individuati. Tutte queste soluzioni permetterebbero alla Commissione di rimediare a carenze competitive senza accertare una violazione o imporre sanzioni, anche se l’imposizione dei rimedi da parte della Commissione potrebbe incrementare in maniera rilevante i costi per le imprese coinvolte.

La seconda consultazione lanciata dalla Commissione, relativa ai servizi digitali, a sua volta, è concentrata sul rimodernamento del quadro normativo europeo sulla prestazione dei servizi digitali per rimediare alla crescente frammentazione normativa, offrendo alle imprese condizioni di accesso ai mercati più agevoli. La consultazione prospetta due ordini di misure:

(i) il primo, finalizzato all’attuazione di norme “più chiare e moderne” sul ruolo degli intermediari online e in generale sui principi fondamentali del commercio elettronico, che assicurino la libertà di fornire servizi digitali in tutto il mercato unico secondo le norme del luogo di stabilimento, nonché un’ampia limitazione di responsabilità per i contenuti creati dagli utenti; e, da ultimo, favoriscano la una coerente applicazione delle norme in tutto il mercato unico;

(ii) il secondo ordine di misure sarebbe invece finalizzato a garantire la parità di accesso ai mercati ove questo sia controllato dalle “grandi piattaforme online”; anche in questo caso, la Commissione evidenzia i problemi concorrenziali da affrontare, per esempio proponendo norme sul c.d. self-preferencing ovvero obblighi specifici per determinati gatekeeper.

In conclusione, le due consultazioni operano su versanti diversi ma complementari. Il NCT rappresenterebbe una modifica sistematica del quadro di regole di concorrenza applicabili in Europa, che permetterebbe alla Commissione di affrontare i problemi competitivi strutturali che con gli articoli 101 e 102 TFEU non possono essere affrontati efficacemente, tra cui, in particolare – ma non solo – quelli afferenti al ruolo degli operatori delle grandi piattaforme online come gatekeeper dell’accesso ad alcuni mercati, segnatamente relativi alla fornitura di servizi digitali, in forte e rapida espansione, oggetto specifico della seconda consultazione. L’attenzione a questi temi riflette le dichiarazioni programmatiche del Vicepresidente esecutivo responsabile della politica di concorrenza Margrethe Vestager, che ha sottolineato, da un lato, l’importanza di adeguare le norme in materia di concorrenza ai cambiamenti dei mercati, e, dall’altro, le opportunità e l’impatto determinati dagli strumenti digitali.

Riccardo Fadiga
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Diritto della concorrenza Italia/Concentrazioni e settore della pay tv – Il Consiglio di Stato riconosce la natura concentrativa dell’operazione Sky/R2 e ribalta la sentenza del TAR Lazio tramite cui questo aveva annullato il provvedimento conclusivo dell’AGCM

Con la sentenza dello scorso 4 giugno – adottata in forma semplificata – il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto l’appello presentato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) avverso la precedente pronuncia emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) in data 5 marzo 2020 – già oggetto di commento su questa Newsletter. Con quest’ultima sentenza, il TAR Lazio aveva accolto il ricorso avanzato dalle società Sky Italia S.r.l. e Sky Italia Holdings S.p.A. (congiuntamente, Sky) per l’annullamento del provvedimento emanato dall’AGCM a conclusione del procedimento C12207-Sky Italia/R2 (il Provvedimento), anch’esso già oggetto di commento su questa Newsletter. Con il Provvedimento, l’AGCM non solo aveva accertato la sussistenza di un’operazione concentrativa (l’Operazione) tra Sky e Mediaset Premium S.p.A. (Mediaset) (congiuntamente, le Parti) concernente l’acquisizione di controllo esclusivo da parte di Sky sulla società R2 S.r.l. (R2), ossia il ramo d’azienda di Mediaset denominato ‘operation pay’ e ricomprendente una serie di contratti accessori finalizzati al funzionamento della stessa, ma ne aveva autorizzato l’attuazione imponendo determinate misure volte al ripristino dello status quo ante nonostante l’Operazione fosse stata abbandonata dalle parti.

Come anticipato, il TAR Lazio aveva accolto in toto il ricorso presentato da Sky avverso il suindicato Provvedimento considerando fondati i due ordini di motivi da questa avanzati, ossia:

(i) i motivi procedurali, concernenti la mancata considerazione delle differenze tra l’operazione come inizialmente notificata – e la cui valutazione aveva formato oggetto della Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (CRI) – e quella, in thesi diversa, oggetto del Provvedimento conclusivo; e

(ii) i motivi sostanziali, relativi al fatto che l’AGCM avrebbe autorizzato una concentrazione de facto inesistente, in quanto mancante dei requisiti necessari.

Il TAR Lazio, in particolare, aveva concentrato la sua attenzione – a differenza del CdS – sull’analisi dei motivi procedurali e, pertanto, sull’asserita differenza tra le diverse situazioni fattuali che avevano formato oggetto, da una parte, della CRI e, dall’altro, del Provvedimento, confermandone la sussistenza.

Il CdS, al contrario, ha rigettato le doglianze di Sky e le relative argomentazioni del TAR Lazio. In particolare, per quanto riguarda i motivi a carattere procedurale, il CdS – concentrando la sua analisi sulla legittimità delle misure imposte – ha riconosciuto la bontà dell’argomentazione dell’AGCM circa il fatto che l’Operazione in questione avesse già realizzato i propri effetti prima della rinunzia da parte di Sky e, conseguentemente, ha considerato i rimedi imposti come necessari e idonei a ripristinare lo status quo ante. Sul punto, inoltre, il CdS ha sottolineato che il TAR Lazio abbia errato nel non tenere in debita considerazione il fatto che l’AGCM ha analizzato – seppur sinteticamente – già nella CRI i possibili effetti residuali dell’Operazione in caso di eventuale rinuncia delle Parti. Pertanto, anche se implicitamente, il CdS ha riconosciuto l’inesistenza di un reale differenza tra i due provvedimenti che hanno caratterizzato l’iter analitico dell’Operazione.

Per quanto riguarda i motivi di natura ‘sostanziale’, su cui il CdS ha concentrato la maggior parte della propria attenzione, si riportano di seguito – per ragioni di economia espositiva – le argomentazioni principali. In particolare:

(i) il CdS ha sostenuto che il TAR Lazio ha errato nell’affermare che la cessione da parte di Mediaset della sub-licenza DTT (Digital Terrestrial Television) – uno dei contratti facenti parte del ‘pacchetto’ complementare alla cessione di R2 – a Sky non sarebbe stata in grado di attribuire a quest’ultima un ruolo di esclusiva sul territorio nazionale, data la asserita continuità operativa di Mediaset sul mercato attraverso la sua piattaforma ‘Infinity’. L’AGCM quindi non avrebbe errato in proposito in quanto Infinity, infatti, rappresentando una quota di mercato (pari all’1%), è stata ritenuta dal CdS “inidonea” a bilanciare una situazione di estrema predominanza da parte di Sky;

(ii) in secondo luogo, il CdS ha anche ravvisato un manifesto errore in capo all’argomentazione del TAR Lazio secondo cui il Provvedimento dell’AGCM non avrebbe dimostrato la sussistenza di un vincolo condizionale tra le diverse parti dell’Operazione. Sul punto, il CdS ha sottolineato che l’AGCM abbia correttamente considerato, in linea con la disciplina europea, operazioni similari ed interdipendenti, avvenute tra le medesime parti, in un lasso temporale limitato, i.e. 2 anni, come una concentrazione unica;

(iii) in ultimo, il CdS ha indicato che l’AGCM abbia correttamente applicato il principio secondo cui se un’operazione è attuata prima della decisione dell’autorità competente, le società coinvolte – qualora decidano di rinunciarvi – devono dimostrare il ristabilimento dello status quo ante. Il semplice ritiro della notifica non costituisce una prova sufficiente del fatto che una data concentrazione sia stata effettivamente abbandonata. Il CdS quindi condivide la posizione dell’AGCM ai sensi della quale l’abbandono dell’Operazione da parte di Sky non era stato accompagnato dal necessario ripristino dello status quo ante. Infatti, la cessione dei canali DTT da parte di Mediaset ed il controllo (seppur temporaneo) di R2 – accompagnato dalle modifiche alle CAM (i.e. i moduli che ospitano le smart card) in dotazione ai clienti al fine di eliminare il c.d. ‘pairing’, ossia la possibilità di utilizzo del modulo con più card diverse – ha determinato effetti irreversibili sulle dinamiche concorrenziali del mercato interessato.

La presente sentenza, quindi, nel ribaltare il ragionamento del TAR Lazio in quanto viziato da numerose carenze logico-argomentative, riconferma non solo la natura concentrativa dell’Operazione ma anche che Sky non ha operato i necessari ‘aggiustamenti’ al fine di salvaguardare la concorrenza nei mercati interessati. Pertanto, con questa decisione, il CdS, reintroducendo le misure imposte che quindi vincolano Sky, ha voluto ribadire il principio secondo cui la semplice rinuncia ad una concentrazione a cui era stata data esecuzione subito dopo la notifica all’AGCM, e dunque ben prima di una decisione sulla stessa, non può esaurire di per sé quanto necessario per ripristinare la situazione di mercato esistente prima dell’operazione abortita.

Luca Feltrin
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