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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE/Concentrazioni e settore delle telecomunicazioni – Il Tribunale dell’UE ha annullato la decisione della Commissione che dichiarava l’incompatibilità con il mercato interno dell’acquisizione di Telefónica da parte di Hutchison

In data 28 maggio 2020, con la sentenza nella causa T-399/16, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha accolto il ricorso di Hutchison 3G UK (Hutchison) e ha annullato la decisione (la Decisione) con cui, nel 2016, la Commissione europea (la Commissione) aveva bloccato l’acquisizione di Telefònica UK (Telefònica) da parte di Hutchison (l’Operazione). Si tratta della prima volta in 18 anni in cui il Tribunale ha dichiarato illegittima sulla base di valutazioni a carattere sostanziale (ossia per ragioni non meramente procedurali) una decisione della Commissione contenente il divieto di procedere a una concentrazione.

Secondo la Commissione, l’Operazione avrebbe pregiudicato in maniera significativa un effettivo confronto concorrenziale nel mercato della telefonia mobile nel Regno Unito. Gli operatori di telefonia mobile si sarebbero infatti ridotti da quattro a tre e l’entità risultante dall’Operazione non avrebbe subito un’adeguata pressione concorrenziale da parte dei due operatori rimasti sul mercato.

In primo luogo, il Tribunale si è concentrato sulla tesi accusatoria elaborata dalla Commissione secondo cui destavano preoccupazione i c.d. effetti unilaterali nel mercato retail per la telefonia mobile nel Regno Unito (in altre parole, la Commissione si era concentrata sulla condotta unilaterale dell’entità risultante dall’Operazione – che asseritamente non avrebbe subito un’adeguata pressione concorrenziale post-Operazione – senza che venissero in rilievo gli incentivi a un coordinamento con gli altri operatori). Secondo la Commissione, infatti, l’Operazione avrebbe eliminato l’“importante forza concorrenziale” rappresentata da Hutchison pre-Operazione, facendo venire meno una concorrenza particolarmente ravvicinata tra Hutchison e Telefònica. Sempre secondo la Commissione, l’analisi econometrica degli effetti della concentrazione sui prezzi avrebbe confermato tali preoccupazioni.

Secondo il Tribunale, l’impostazione della Commissione è viziata da diversi errori di diritto e di valutazione. Per quanto riguarda la qualificazione di Hutchison come “importante forza concorrenziale”, il Tribunale ha osservato che per poter essere qualificata in questo modo, un’impresa deve distinguersi dai suoi concorrenti in quanto ha caratteristiche peculiari che le consentono di esercitare sugli altri operatori una pressione concorrenziale decisamente maggiore rispetto a quanto farebbe presupporre la sua (limitata) quota di mercato. Su questa base, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione sia incorsa in errore non applicando in maniera rigorosa tale principio, adottando invece un’impostazione secondo la quale sarebbe di fatto possibile qualificare come “importante forza concorrenziale” qualsiasi impresa attiva in un mercato oligopolistico.

Per quanto attiene alla valutazione della prossimità del rapporto concorrenziale tra Hutchison e Telefònica, il Tribunale ha rilevato che sebbene si possa effettivamente stabilire che i due operatori erano concorrenti relativamente vicini in alcuni segmenti di un mercato che di per sé è altamente concentrato, questo fattore da solo non può essere considerato sufficiente, nel caso di specie, a stabilire che l’Operazione si sarebbe tradotta in un ostacolo significativo ad una concorrenza effettiva; se così non fosse, qualsiasi concentrazione che comporti una riduzione da quattro a tre concorrenti sarebbe in linea di principio vietata.

In relazione all’analisi quantitativa degli effetti della concentrazione sui prezzi effettuata dalla Commissione, il Tribunale ha constatato che la Decisione non ha dimostrato, con un grado di probabilità sufficientemente elevato, che i prezzi avrebbero subito un aumento significativo. Peraltro, è interessante notare come il Tribunale abbia criticano la mancata considerazione, da parte della Commissione, di un certo grado di efficienze derivanti dalle sinergie generate dall’Operazione (che quindi si sarebbero tradotte – almeno in una certa misura – in un risparmio per l’entità derivante dall’Operazione suscettibile di ridurre il rischio di aumento dei prezzi). In altre parole, vero è che in generale sono le parti a dimostrare l’esistenza di efficienze ma il Tribunale ha fatto espresso riferimento a delle efficienze “standard” che derivano da qualsiasi operazione M&A (ad es., a causa dell’eliminazione della duplicazione di alcune risorse) di cui la Commissione deve comunque tenere conto ai fini di predisporre un modello econometrico sufficientemente solido e realistico.

La seconda tesi accusatoria oggetto di analisi da parte del Tribunale si riferisce agli effetti dell’Operazione sugli accordi di condivisione di reti e sull’infrastruttura di rete mobile nel Regno Unito. Più nello specifico, pre-Operazione i quattro operatori di rete britannici avevano posto in essere due distinti accordi di condivisione di reti al fine di condividere i vari costi di sviluppo (pur continuando a farsi concorrenza): da un lato, Hutchison e British Telecom e, dall’altro, Vodafone e Telefònica. Nella Decisione, la Commissione aveva rilevato che l’entità risultante dall’Operazione avrebbe potuto ostacolare il futuro sviluppo dell’infrastruttura di rete mobile nel Regno Unito principalmente attraverso un minor incentivo complessivo a investire nelle due reti, limitando di conseguenza la pressione concorrenziale rappresentata dai due partner.

A tal proposito, il Tribunale ha constatato che “…le regole a tutela della concorrenza dell’Unione europea mirano principalmente a proteggere il processo concorrenziale in quanto tale, e non i concorrenti ... [e] il fatto che una concentrazione incida negativamente sui concorrenti non è di per sé un problema. In particolare, il fatto che i concorrenti possano essere danneggiati perché una concentrazione genera efficienze non può di per sé suscitare preoccupazioni di natura concorrenziale” (traduzione di cortesia dalla versione inglese della sentenza, non ancora disponibile in lingua italiana). Il Tribunale ha inoltre riconosciuto che l’impostazione della Commissione si sarebbe tradotta di fatto in un divieto di qualsiasi concentrazione che riduca gli operatori da quattro a tre, nella misura in cui l’operazione non avvenga tra soggetti tra i quali è già in vigore un accordo di condivisione della rete.

L’ultima tesi esaminata dal Tribunale si riferisce agli effetti unilaterali sul mercato all’ingrosso. Oltre ai quattro operatori di rete mobili, esistono infatti vari operatori definiti “virtuali” presenti sul mercato retail della telefonia mobile. Tali operatori virtuali sfruttano l’infrastruttura degli operatori di rete mobile, definiti a tal proposito “ospitanti”, per fornire i propri servizi ai consumatori.

Secondo la Commissione, la riduzione del numero di reti mobili ospitanti – conseguente al venir meno di un’importante forza concorrenziale quale era Hutchison – avrebbe messo i suddetti operatori virtuali in difficoltà in relazione all’ottenimento di condizioni di accesso appetibili al mercato all’ingrosso. Anche in relazione a questo punto, tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che il ragionamento che aveva portato la Commissione a concludere che l’Operazione si sarebbe tradotta in un serio pregiudizio a un effettivo confronto concorrenziale fosse viziato. Anche in questo caso, infatti, la Decisione aveva di fatto ritenuto che Hutchison costituisse un’importante forza concorrenziale per il semplice fatto di essere il quarto operatore in un mercato oligopolistico, nonostante la sua quota di mercato fosse inferiore al 5%. Pur riconoscendo che, in linea di principio, anche un operatore con una limitata quota di mercato possa rappresentare un’importante forza concorrenziale, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione non abbia addotto prove adeguate in proposito.

La sentenza in commento segna una delle pochissime battute d’arresto per la Commissione ed è di notevole interesse per tutte le operazioni M&A che riducano il numero degli operatori sul mercato da quattro a tre (quindi non solo limitatamente al mercato della telefonia). Il Tribunale stabilisce infatti a chiare lettere la necessità di una disamina specifica da parte della Commissione degli effetti dell’operazione in esame. Tale disamina che non può in concreto limitarsi a constatare la diminuzione del numero degli operatori come causa efficiente della inevitabile riduzione della pressione concorrenziale nel mercato. Occorre un quid pluris che permetta alla Commissione di dimostrare che l’esistenza di un serio pregiudizio al libero gioco della concorrenza. Ora bisognerà solo attendere la sentenza in commenta sarà appellata innanzi alla Corte di Giustizia e vedere se le valutazioni del Tribunale verranno confermate.

Mila Filomena Crispino
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Revisione della disciplina sulle intese verticali – Secondo uno studio commissionato dalla Commissione europea le regole necessitano di un aggiornamento alla luce degli sviluppi nel settore digitale

Il 25 maggio scorso, è stato pubblicato un ponderoso studio (lo Studio) disposto dalla Commissione europea (Commissione) nel contesto della revisione del regolamento (UE) n. 330/2010 (regolamento di esenzione per categoria relativo agli accordi verticali, VBER) e dei relativi Orientamenti (Orientamenti). In particolare, lo Studio ha lo scopo di fornire alla Commissione dati qualitativi e quantitativi sul funzionamento del VBER e degli Orientamenti, esaminando, in particolare, la loro (i) efficacia – ossia, se gli obiettivi del VBER sono stati raggiunti nel periodo della sua applicazione; (ii) rilevanza – se le regole contenute nel VBER sono ancora attuali ed (iii) efficienza – se il VBER ha raggiunto in modo efficace i propri obiettivi in termini di costi e benefici.

Per quello che riguarda la metodologia dell’indagine, lo Studio si fonda su (i) un’analisi dettagliata della letteratura scientifica e delle decisioni delle autorità nazionali della concorrenza e dei tribunali dei 28 Stati membri dell’UE in materia di intese verticali (in totale, sono stati esaminati 391 casi); (ii) interviste con gli stakeholder; (iii) un’analisi econometrica; (iv) sondaggi online (a cui hanno partecipato 66 aziende e associazioni di settore); e (v) case studies.

In primo luogo, lo Studio riconosce che la rapida espansione del commercio online, sia a livello B2B, sia B2C, ha determinato l’emergere di nuovi modelli di distribuzione, tra cui, in particolare, quelli veicolati dalle piattaforme online. Nel mondo digitale, il ricorso a restrizioni delle vendite online è sempre più frequente (soprattutto mediante il ricorso a sistemi di distribuzione selettiva ed esclusiva), alla luce della maggiore concorrenza proveniente dallo sviluppo di mercati prima inesistenti, dalla maggiore trasparenza dei prezzi e da una riduzione dei costi di ricerca per i consumatori. In tale contesto, lo Studio afferma che, sebbene i tipi di accordi contemplati dal VBER e dai relativi Orientamenti non siamo cambiati nella loro essenza, al fine di garantire la loro continuata adeguatezza ai recenti sviluppi dei mercati digitali sarebbe necessario rivedere il quadro giuridico attuale.

Nel contesto dell’analisi dell’efficacia del VBER e dei relativi Orientamenti, lo Studio esamina se le esenzioni stabilite nel VBER soddisfino ancora le condizioni dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE. Lo Studio riconosce che gli accordi di distribuzione selettiva debbano continuare a beneficiare dell’esenzione per categoria, poiché promuovono lo sviluppo di servizi di vendita aggiuntivi e proteggono il valore del marchio lungo la catena di valore e gli investimenti degli stakeholder. Tra le restrizioni più frequentemente censurate dalle autorità nazionali nel mondo online, lo studio cita i divieti assoluti di vendita online o su piattaforme terze, divieti dell’utilizzo di strumenti di comparazione dei prezzi, limitazioni del keyword bidding etc.
 
Per quello che riguarda le clausole c.d. “della nazione più favorita” (in inglese, most favoured nation clauses, MFN), dallo Studio è emerso che la riduzione delle frequenti trattative sui prezzi tra fornitori e distributori rappresenta uno dei principali vantaggi che giustificano la loro esenzione per categoria. Lo Studio ha approfondito, in particolare, l’utilizzo di tali clausole da parte di agenzie di viaggio online nel settore alberghiero, concludendo che esse possono generare effetti dannosi per la concorrenza. Tuttavia, in settori diversi dal settore alberghiero secondo lo Studio non vi sono prove sufficienti per dimostrare che clausole MFN c.d. “ampie” (ossia clausole che impongono al supplier di offrire a una piattaforma condizioni non meno favorevoli rispetto a quelle offerte a piattaforme terze e agli altri canali di distribuzione) producono effetti più dannosi rispetto a quelle “ristrette” (in virtù delle quali il supplier è libero di offrire prezzi più bassi su piattaforme terze parti, ma non sul proprio sito web), né che, in generale, tali clausole producano effetti anticoncorrenziali.

Infine, per quello che riguarda gli accordi che fissano i prezzi di rivendita (RPM), tipicamente ritenuti non ammissibili, lo Studio afferma che non è ancora stato risolto il dibattito sugli effetti di tali clausole sulla concorrenza. Lo Studio ha approfondito l’utilizzo di tali clausole nel settore dell’editoria e i risultati empirici non hanno indicato alcun effetto negativo del RPM, evidenziando al contrario i vantaggi che clausole di RPM possono avere per alcune modalità di vendita tradizionali nel settore. Alla luce di ciò, lo Studio invoca una maggiore chiarezza degli Orientamenti per consentire agli operatori di mercato di sapere esattamente quando queste clausole possono essere (eccezionalmente) ritenute ammissibili.

Nella sua parte conclusiva, lo Studio conferma la generale percezione che il VBER, e i relativi Orientamenti, hanno contribuito a ridurre significativamente i costi legali per le imprese (in particolare, le PMI), garantendo una maggiore certezza del diritto nel contesto della valutazione degli accordi verticali.

In conclusione, lo Studio ritiene che le regole dell’UE in materia di accordi verticali non riflettono sufficientemente i cambiamenti del mercato, con particolare riferimento ai progressi nel settore digitale, e di conseguenza la loro rilevanza ed efficacia è gradualmente diminuita. Pertanto, nella loro revisione, sarà necessario adottare delle regole che tengano specificamente dei modelli di distribuzione che caratterizzano il settore digitale.

Luigi Eduardo Bisogno
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Tutela del consumatore/Clausole vessatorie e servizi di telefonia – Il Consiglio di Stato rigetta l’appello di Telecom Italia e riconosce la natura vessatoria delle clausole sulla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali 

Con la sentenza pubblicata lo scorso 28 maggio, il Consiglio di Stato (CdS) ha rigettato in toto l’appello presentato dalla società Telecom Italia S.p.A. (Telecom) avverso la precedente pronuncia del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio), tramite cui Telecom si era già vista respingere il ricorso presentato al fine di ottenere l’annullamento di due atti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) tra loro distinti ma relativi al medesimo procedimento CV146 – Telecom-modifiche clausole contrattuali (il Procedimento).

In particolare, Telecom aveva impugnato dinnanzi al TAR Lazio  sia (i) la decisione  adottata in data 30 marzo 2017 a conclusione del Procedimento (la Decisione), con cui l’AGCM aveva accertato la natura vessatoria delle clausole relative alla disciplina concernente le modifiche contrattuali unilaterali (anche jus variandi) inserite, come si vedrà nel prosieguo del presente commento, nelle condizioni generali di un duplice ordine di contratti di Telecom; sia (ii) la successiva delibera dell’8 novembre 2017 (la Delibera), con la quale l’AGCM aveva sanzionato Telecom per un ammontare complessivo di €50.000 per inottemperanza, in quanto questa avrebbe mancato di pubblicare sul proprio sito internet l’estratto della suindicata Decisione.

Con la Decisione l’AGCM aveva in particolare accertato la natura vessatoria sia della clausola di jus variandi inserita da Telecom nelle condizioni generali dei propri contratti in uso fino al 30 giugno 2015, sia di quella attualmente applicata. In particolare, sul punto l’AGCM aveva sottolineato come tale clausola mancasse della necessaria indicazione secondo cui una modifica contrattuale unilaterale (sfavorevole al consumatore, tradizionalmente considerato ‘parte debole’ in tale tipologia di contratti) – relativa sia agli aspetti economici del contratto interessato, nonché alle modalità e forma di comunicazione all’utente della suddetta modifica – fosse possibile solo in presenza di un “giustificato motivo”.

Telecom ha incardinato il proprio appello dinnanzi al CdS su quattro distinti motivi di diritto, i quali sono stati rigettati in toto. Per ragioni di chiarezza espositiva, tuttavia, in questa sede si analizzeranno solo quelli più rilevanti. In particolare:

(i) con il primo motivo d’appello, Telecom ha contestato l’applicazione dell’articolo 33 del decreto legislativo 206 del 2005 (Codice del Consumo) – il quale indica le clausole considerate come vessatorie ai sensi del diritto dei consumatori – ai summenzionati contratti di Telecom, in quanto questi ricadrebbero nell’ambito di applicazione della disciplina settoriale definita dall’articolo 70 del decreto legislativo 259 del 2003 (Codice delle Comunicazione Elettroniche), anch’esso in tema di clausole vessatorie. Il CdS ha ritenuto infondata tale doglianza, rigettando l’idea che sia ravvisabile un qualsiasi rapporto di ‘specialità tra le due normative. Il CdS ha ricordato come sussista, invece, una relazione di complementarietà tra le stesse, richiamando la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea sul tema (si veda il caso C-54/17 – Wind Tre). Il CdS ha inoltre sottolineato come la stessa normativa europea in materia di comunicazioni elettroniche, ossia la Direttiva 2000/22/CE, (il cui recepimento a livello nazionale ha determinato l’emanazione del Codice delle Comunicazioni Elettroniche) non escluda l’applicabilità della normativa generale a tutela del consumatore, precludendo ab origine qualsiasi argomentazione che voglia vigente un rapporto di esclusione tra le due cornici normative;

(ii) con il secondo motivo di diritto, con riferimento all’articolo 33 del Codice del Consumo, Telecom ha contestato l’applicabilità contestuale alla medesima fattispecie sia della lettera m) (concernente gli aspetti informativi circa l’esistenza di un ‘giustificato motivo’ alla base di una modifica contrattuale), sia della lettera o) (relativa, invece, alla previsione del diritto di recesso a fronte di variazioni unilaterali) dello stesso articolo. Sul punto, smentendo ancora una volta la difesa di Telecom, il CdS è stato molto chiaro nel riconoscere la coesistenza delle due forme di tutela, le quali – interessando aspetti differenti, benché complementari, della protezione riconosciuta alla ‘parte debole’ di un rapporto contrattuale – non sono considerati affatto incompatibili;

(iii) infine, con il quarto motivo di ricorso, con quello che a tutti gli effetti può definirsi per varie ragioni un “déjà-vu giuridico” Telecom ha dedotto il difetto di competenza dell’AGCM, a favore dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom), a pronunciarsi circa la vessatorietà di clausole inserite in contratti di utenza. Anche su questo punto il CdS si è espresso in maniera contraria a quanto indicato da Telecom, riconoscendo come l’articolo 5 del decreto legge 1 del 2012 – il quale ha introdotto nel Codice del Consumo l’articolo 37-bis – ha insignito l’AGCM del potere generale (che non trova, pertanto, limitazioni in normative settoriali) di dichiarare la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono tramite adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di modelli e/o formulari.

Con la sentenza oggetto del presente commento, il CdS ha voluto ribadire ancora una volta il rapporto di complementarietà delle diverse regole poste a protezione dei consumatori, sia nella normativa generale, sia in quella settoriale, al fine di garantire una tutela reale e piena ai singoli in posizione di ‘debolezza’ in tutti i rapporti contrattuali.

Luca Feltrin
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Energy/Consultazione e servizio di rigassificazione – L’ARERA propone importanti modifiche strutturali all’attuale disciplina del conferimento pluriennale di capacità di rigassificazione.

L’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA oppure Autorità) con la consultazione 170/2020/R/Gas (la Consultazione) prospetta un’evoluzione dell’attuale disciplina dell’accesso al servizio di rigassificazione per periodi lunghi (i.e. superiori all’anno termico), con una serie di possibili misure volte a promuovere ulteriormente la liquidità del mercato dei servizi di rigassificazione supportando il pieno utilizzo della capacità localizzata in Italia.

In primo luogo, l’ARERA potrebbe introdurre un ulteriore ampliamento della durata massima della capacità di rigassificazione conferibile in esito ad una singola asta, oggi fissato in 15 anni, con la estensione a 20 o 25 anni, in tal modo provando a recepire le nuove esigenze della domanda come emerse in altri ambiti europei. Nel tentativo, quindi, di incentivare “[i]l pieno utilizzo della capacità disponibile … a vantaggio della sicurezza e stabilità del sistema nonché della liquidità del mercato del gas naturale nazionale”, l’ARERA non ritiene che la diversificazione delle fonti di approvvigionamento possa essere compromessa dallo scenario in cui un importatore di GNL possa divenire l’unico titolare di capacità continua di rigassificazione per periodi superiori ai 15 anni presso un determinato rigassificatore, purché “siano attivi adeguati meccanismi regolatori che disincentivino il trattenimento della capacità che l’utente non intende utilizzare”.

Muovendo dall’attuale regolamentazione in cui la disciplina delle tempistiche per il rilascio della capacità di rigassificazione inutilizzata è stata resa sempre più prossima alla data iniziale di consegna del GNL, per massimizzare comunque l’assegnazione di capacità pur in contesti che favorivano il trasporto verso altri mercati più profittevoli per gli importatori, l’ARERA ritiene ora necessario introdurre un correttivo che impedisca agli importatori, che come detto potrebbero divenire gli (unici) titolari di capacità anche per periodi ventennali presso un determinato rigassificatore, l’accaparramento ingiustificato a danno di terze parti attive su orizzonti  di breve/medio periodo; a tale fine, secondo l’Autorità, maggiore è il numero di slot/capacità rilasciata, più ampio l’anticipo con cui la successiva capacità dovrebbe essere resa nuovamente disponibile sul mercato dallo stesso soggetto.

Del pari interessante il proposto depotenziamento del principio “use it, lose it” sulla capacità di rigassificazione che, anziché trovare una applicazione generalizzata, opererebbe solamente nel mese antecedente al mese della discarica/consegna, mentre nel secondo e terzo mese prima della discarica l’importatore potrebbe non essere soggetto al medesimo principio, qualora “l’utilizzo della capacità nella disponibilità di un utente non risulti economicamente profittevole sulla base dell’andamento del mercato del Gnl, e quindi privo di attrattività”.

Da ultimo, ma non meno attuale, la proposta dell’ARERA che vede una ulteriore possibilità di ampliare il numero e la connessa flessibilità dei prodotti legati alla capacità di rigassificazione. Recependo, in parte, quanto emerso nelle precedenti consultazioni in materia, si prevede infatti ora la possibilità che la capacità non conferita in esito alle procedure pluriennali sia identificata come una opzione, assegnabile tramite aste aperte ascendenti, che conferirebbe, in un secondo momento e dietro versamento di un ulteriore premio parametrato al mercato, il diritto all’utilizzo della capacità di rigassificazione.

Tante e strutturali le proposte quindi che l’ARERA pone all’attenzione del mercato del GNL e del gas naturale, che potrà far sentire la propria voce entro il 30 giugno.

Riccardo Fadiga
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