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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato “de minimis” e cumulo di aiuti– La Corte di Giustizia chiarisce che al fine di evitare di superare il massimale un’impresa può optare per la rinuncia totale o parziale a precedenti aiuti 

Con la sentenza dello scorso 28 ottobre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha risposto alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (CdS) nel contesto di una controversia tra l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e la Zennaro Giuseppe Legnami Sas di Zennaro Mauro & C. (Zennaro Legnami). La questione verteva sul rifiuto da parte dell’INAIL di erogare un finanziamento concesso a Zennaro Legnami, in quanto l’ammontare dello stesso, sommato a quelli di due aiuti di Stato già ricevuti negli anni precedenti dalla Zennaro Legnami, avrebbe comportato il superamento del massimale di 200.000 euro nell’arco di tre esercizi fiscali, previsto dall’articolo 3, paragrafo 2, del Regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione Europea, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti “de minimis” (il Regolamento 1407/2003), ossia quelle misure che, per il valore modesto, pur rappresentando aiuti di Stato non ricadono nell’obbligo di notifica preventiva alla Commissione previsto dall’art. 108, par. 3, TFEU.

Le domande rivolte dal CdS riguardavano l’interpretazione degli articoli 3 e 6 del Regolamento 1407/2013 e precisamente: (i) se tali articoli dovessero essere interpretati nel senso che un’impresa, alla quale uno Stato membro avesse inteso concedere un aiuto “de minimis” che, a causa dell’esistenza di aiuti precedenti, avrebbe portato l’importo complessivo degli aiuti concessi alla stessa ad un importo superiore al massimale "de minimis", potesse optare, fino all’erogazione effettiva di tale aiuto, per la riduzione del finanziamento richiesto o per la rinuncia, totale o parziale, a precedenti aiuti già percepiti al fine di non superare tale massimale e (ii) se gli stessi articoli dovessero essere interpretati nel senso che le diverse prospettate opzioni (riduzione o rinuncia ad aiuti precedenti) valessero anche se non previste espressamente dalla normativa nazionale e/o dall’avviso pubblico relativo alla concessione dell’aiuto.

Per rispondere alla domanda sub (i), la CGUE ricorda anzitutto che tali articoli debbano essere interpretati restrittivamente, essendo parte di un regolamento che ha lo scopo di consentire delle deroghe alla regola generale secondo cui ogni aiuto di Stato deve essere notificato alla Commissione anteriormente alla sua attuazione. La CGUE prosegue osservando come, secondo giurisprudenza costante, spetta al giudice del rinvio determinare, in base al diritto nazionale applicabile, il momento in cui un aiuto deve essere considerato concesso. La CGUE ribadisce poi che il controllo esercitato dagli Stati membri affinché siano rispettate le norme in materia di cumulo di aiuti di Stato deve avvenire prima di concedere l’aiuto. La CGUE nota in particolare che in tutte le versioni linguistiche diverse da quella in italiano, l’articolo 6 paragrafo 3 del Regolamento 1407/2013 afferma che “…[u]no Stato membro concede nuovi aiuti “de minimis” [...] soltanto dopo aver accertato che essi non facciano salire l’importo complessivo degli aiuti “de minimis” concessi all’impresa interessata a un livello superiore al massimale”. Nonostante la versione italiana utilizzi, in tale norma, il verbo “erogare” al posto di “concedere”, la CGUE richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso difformità tra le diverse versioni linguistiche di un testo di diritto comunitario, la disposizione di cui trattasi dev’essere interpretata in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte.

Da ultimo, la CGUE ricorda, da un lato, che il Regolamento 1407/2013 non contiene alcuna disposizione che preveda la facoltà, per le imprese richiedenti, di modificare la propria domanda di aiuto, riducendone l’importo o rinunciando ad aiuti precedenti, al fine di rispettare il massimale “de minimis”. Dall’altro lato, tuttavia, il medesimo regolamento lascia libertà agli Stati membri di consentire alle imprese richiedenti di modificare la loro domanda di aiuto qualora tali modifiche siano effettuate prima della concessione dell’aiuto “de minimis”.

Alla luce di tali considerazioni, la CGUE risponde alla prima domanda sollevata dal CdS in senso affermativo, ossia ritiene che, dal punto di vista del diritto eurounitario una impresa alla quale uno Stato membro intenda concedere un aiuto possa optare, fino al momento della concessione di tale aiuto, per la riduzione del finanziamento richiesto o per la rinuncia, totale o parziale, a precedenti aiuti già percepiti al fine di non superare il massimale.

Con riferimento alla domanda sub (ii), la CGUE si limita a precisare che gli Stati membri non sono tenuti a consentire alle imprese richiedenti, al fine di non superare il massimale, di modificare la loro domanda di aiuto prima della concessione di quest’ultimo. Spetta al giudice del rinvio valutare le conseguenze giuridiche della mancanza di tale possibilità, per le imprese, di procedere a siffatte modifiche, fermo restando che queste ultime possono essere effettuate solo ad una data anteriore a quella della concessione dell’aiuto “de minimis”.

Luca Casiraghi
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Aiuti di Stato e politiche eurounitarie – La Commissione pubblica il rapporto sulla valutazione della necessità di aggiornamento della disciplina applicabile agli aiuti di Stato

La Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato un documento di lavoro (il Commission Staff Working Document) sui risultati della valutazione complessiva della disciplina degli aiuti di Stato in vigore.

Tale documento è il risultato di un’indagine avviata dalla Commissione nel gennaio 2019 per accertare (i) l’attualità degli interessi perseguiti attraverso la disciplina degli aiuti di Stato nell’ambito della politica generale della Commissione e dell’evoluzione del mercato interno; e (ii) la perdurante idoneità della disciplina in vigore a raggiungere obiettivi in linea con tali interessi. La seconda fase della valutazione ha poi l’obiettivo di indicare le aree che eventualmente debbano essere oggetto di revisione o aggiornamento.

Più specificamente, la valutazione della Commissione ha avuto a oggetto: il Regolamento generale di esenzione per categoria (GBER); il Regolamento de minimis; le Linee Guida in materia di aiuti di Stato a finalità regionale; la Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione (RSI); la Comunicazione su importanti progetti di comune interesse europeo (IPCEI); le Linee Guida sugli aiuti di Stato per la promozione degli investimenti in materia di finanziamento del rischio; le Linee Guida per gli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree; le Linee Guida per gli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente e dell'energia e le Linee Guida sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione.

La prima fase della valutazione, il c.d. fitness check, intende valutare l’idoneità della disciplina vigente in primo luogo nell’ambito degli obiettivi generali della politica di modernizzazione della disciplina sugli aiuti di Stato (State aid modernization, o SAM). Tale iniziativa ha individuato i tre obiettivi cardine della disciplina sugli aiuti di Stato: (i) promuovere una crescita sostenibile e inclusiva in un mercato interno competitivo attraverso il c.d. “aiuto buono” (ossia un aiuto i cui effetti in termini di sostenibilità e inclusività del mercato interno superano le potenziale distorsioni concorrenziali da esso causate); (ii) concentrare lo scrutinio ex ante della Commissione sui casi con il maggiore impatto sul mercato interno; e, da ultimo, (iii) snellire le regole e fornire decisioni più rapide. In secondo luogo, il fitness check ha valutato la compatibilità della disciplina vigente con gli specifici obiettivi politici della Commissione e la sua idoneità a sostenerne il raggiungimento, con particolare attenzione al c.d. European Green Deal, ossia l’intento di sostenere iniziative e attività economiche sostenibili da un punto di vista ambientale, così come alle nuove strategie Digitale e Industriale. Rispetto a tali obiettivi, il fitness check è stato condotto rispetto a cinque criteri: efficacia, efficienza, rilevanza, coerenza e valore aggiunto dell’intervento europeo.

La Commissione ha dichiarato i risultati preliminari del fitness check soddisfacenti, concludendo per il momento che la disciplina attualmente in vigore risulta in larga misura idonea a perseguire gli obiettivi preposti. Con riguardo all’efficienza, le evidenze raccolte indicano che la disciplina vigente ha contribuito a ridurre gli oneri amministrativi e a promuovere una spesa statale più efficiente nell’erogazione di “aiuto buono”. La Commissione ha quindi concluso che gli obiettivi individuati dalla SAM sono ancora rilevanti e adeguatamente supportati dalle norme attuali. La Commissione ha infine individuato alcuni strumenti entrati in vigore in un periodo antecedente alla definizione della politica SAM, che richiedono alcuni aggiornamenti alla luce di quest’ultima, come, per esempio, le norme applicabili al settore delle ferrovie e del trasporto su rotaia.

In ogni caso, in un’ottica di progressivo miglioramento, la Commissione ha proposto di chiarire e semplificare le indicazioni sull’applicazione di particolari disposizioni – a titolo di esempio, il metodo di calcolo dei costi di ricerca e sviluppo ai fini dell’erogazione di aiuti di Stato.

Se da un lato è certamente positivo lo sforzo della Commissione per assicurare perdurante rilevanza ed efficacia agli strumenti normativi in materia di aiuti di Stato, la preminente posizione che le politiche Digitale e Industriale della Commissione hanno ricoperto nella valutazione indica come, anche in tale settore, il confine tra politica della concorrenza e tra politica industriale tenda ad essere sempre meno netto.

Riccardo Fadiga
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Abusi e online advertising – La Commissione pubblica una sintesi della decisione adottata nel 2019 nei confronti di Google relativa al caso AdSense

Il 3 novembre 2020 è stata pubblicata una sintesi (Sintesi) della decisione (Decisione) con cui la Commissione Europea (Commissione) lo scorso 20 marzo 2019 aveva accertato un abuso di posizione dominante da parte di Google Inc. e della sua controllante Alphabet Inc. (congiuntamente Google o Società) nei mercati della intermediazione pubblicitaria dei motori di ricerca, irrogando alla Società una sanzione pari a 1,49 miliardi di euro. Sebbene la Sintesi sia volta a fornire alcuni dettagli ulteriori sulla Decisione rispetto a quelli già resi noti in un comunicato stampa pubblicato in concomitanza con l’adozione della Decisione (si veda la nostra newsletter in proposito), la sua portata informativa risulta per certi versi, alla luce delle indicazioni già pubblicate, limitata.

Ciò posto, la Sintesi individua i mercati rilevanti alla luce delle condotte contestate alla Società ne (i) il mercato della fornitura di pubblicità collegata alle ricerche online, avente dimensione nazionale; e (ii) il mercato dell’intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca, avente dimensione coincidente lo Spazio Economico Europeo (SEE). Inoltre, la Sintesi individua il perimetro e il relativo arco temporale (per ciascuno degli anzidetti mercati geografici) rispetto al quale la Commissione ha accertato la sussistenza di una posizione dominante in capo a Google.

Con riguardo al contenuto delle condotte abusive, concernenti l’inserimento di tre ordini di clausole, la Sintesi precisa quanto segue:

- Clausole di esclusività: tra il 1° gennaio 2006 e il 31 marzo 2016 Google ha abusato della propria posizione dominante includendo nei contratti con i partner diretti (ossia proprietari di siti, come quelli degli aggregatori di siti di viaggio, che consentono di effettuare delle ricerche e, insieme ai risultati, mostrano all’utente delle inserzioni pubblicitarie in linea con i risultati) clausole che comportavano un obbligo di fornitura esclusiva, imponendo loro di procurarsi da Google la totalità degli annunci pubblicitari collegati alle ricerche per i siti web oggetto degli accordi sui servizi di Google. Inoltre, le clausole di esclusività prevedevano che i partner diretti non potevano rimuovere siti web coperti dall’accordo senza l’autorizzazione di Google. La Sintesi precisa che tale condotta ha impedito “[…] ai suddetti partner diretti di procurarsi annunci pubblicitari di concorrenti [e] ai fornitori di servizi di intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca concorrenti [ad es. Bing e Microsoft] di accedere a una parte consistente dell’intero mercato SEE dell’intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca”;

- Clausole di posizionamento premium e numero minimo di annunci: tra il 31 marzo 2009 e il 6 settembre 2016 Google ha abusato della propria posizione dominante inserendo nei contratti con i partner diretti clausole che comportavano l’obbligo di riservare agli annunci pubblicitari di Google gli spazi con maggiore visibilità (e dunque più redditizi) sulle pagine dei risultati della ricerca, pubblicando un numero minimo di annunci pubblicitari di Google, astenendosi dal posizionare gli annunci pubblicitari di motori di ricerca concorrenti in prossimità o al di sopra degli annunci pubblicitari di Google, anche in questo caso con effetti anticoncorrenziali di tipo escludente ai danni dei fornitori di servizi di intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca concorrenti;

- Clausole di autorizzazione di annunci equivalenti: tra il 31 marzo 2009 e il 6 settembre 2016 Google ha abusato della propria posizione dominante inserendo nei contratti con i propri partner commerciali clausole che imponevano a questo ultimi di ricevere la previa autorizzazione da parte di Google prima di modificare le modalità di visualizzazione degli annunci pubblicitari dei concorrenti. Anche con riferimento a tali condotte la Sintesi precisa che essa ha avuto effetti anticoncorrenziali di tipo escludente.

Con riguardo alla sanzione, irrogata nei confronti di Google Inc. e di Aplphabet Inc. (quest’ultima ritenuta responsabile dell’infrazione dal 2 ottobre 2015, data della sua costituzione, al 6 settembre 2016), la Sintesi precisa che quest’ultima sarà tenuta al pagamento in solido con la sua controllata nel limite di circa 130 milioni di euro. Sebbene, come detto, la Sintesi fornisca un quadro piuttosto asciutto della Decisione, non c’è dubbio che le indicazioni sull’ambito geografico e temporale dell’infrazione, nonché quelle sui soggetti danneggiati dalle condotte abusive possano costituire una base utile per gli operatori che intendano intraprendere delle azioni c.d. follow-on per il risarcimento del danno cagionato dalle condotte di Google oggetto di accertamento. Resta intanto da vedere come si risolverà l’appello avverso la Decisione che la Società ha presentato nel giugno 2019 al Tribunale dell’UE.

Roberta Laghi
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Diritto della concorrenza Italia / Intese ed appalti pubblici – Il TAR Lazio respinge i ricorsi presentati avverso la decisione dell’AGCM relativa alla gara per la gestione dei rifiuti sanitari in Campania 

Il TAR Lazio (TAR) ha rigettato i ricorsi proposti da Ecologica Sud S.r.l.Bifolco & Co. S.r.l.Ecosumma S.r.l.Langella Mario S.r.l. e dalla società di consulenza Green Light Servizi Ambientali S.r.l. (le Ricorrenti) contro il provvedimento n. 27546 del 30 gennaio 2019 (il Provvedimento) dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Con tale Provvedimento, l’AGCM aveva accertato l’esistenza di un’intesa illecita, in violazione dell’articolo 101 TFUE, consistente in una ripartizione dei lotti nei quali si articolava la gara indetta da So.Re.Sa. S.p.A. (Soresa), centrale di acquisto regionale in materia sanitaria (parte segnalante nel procedimento in questione), per l’acquisizione del servizio di raccolta, trasporto e conferimento ad impianto di smaltimento dei rifiuti sanitari pericolosi e non pericolosi della Regione Campania.

Più nello specifico, con il Provvedimento, l’AGCM aveva accertato che le società coinvolte avevano posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza funzionale alla spartizione dei lotti messi a gara da Soresa, con l’obiettivo di preservare le posizioni storiche di gestori uscenti nei presidi sanitari ubicati nei singoli lotti in cui era articolata la procedura di gara. Ritenuta l’intesa restrittiva per oggetto e tenuto conto della particolare gravità di una tale infrazione ai sensi della giurisprudenza nazionale e comunitaria, l’AGCM aveva imposto sanzioni pecuniarie per un totale complessivo di oltre Euro 1.300.000,00.

Per quanto ognuno dei ricorsi delle Ricorrenti evidenziasse altri motivi (tutti rigettati dal giudice di primo grado), in ciascun ricorso è stato lamentato il presunto errore dell’AGCM nella qualificazione dell’intesa come restrizione della concorrenza “per oggetto” senza una previa analisi del contesto di mercato in cui si inserivano le condotte sanzionate. Nello specifico, le Ricorrenti hanno evidenziato come un ipotetico accordo volto a spartirsi i lotti di gara non le avrebbe comunque messe al riparo dai numerosi concorrenti che avrebbero potuto presentare offerte sui singoli lotti e, pertanto, non le avrebbe indotte né ad offrire uno sconto più basso di quello che avrebbero presentato in uno scenario controfattuale, né a sviluppare un’offerta tecnica meno competitiva. A causa dei loro limiti strutturali e dell’ubicazione dei loro impianti, infatti, le parti non avrebbero potuto partecipare, con concrete “chance” di successo su lotti diversi rispetto a quelli su cui avevano effettivamente puntato. La qualificazione dell’intesa come restrizione “per oggetto” sarebbe stata dunque priva dei necessari approfondimenti e riscontri da parte dell’AGCM in quanto, basandosi esclusivamente sulla tipologia delle condotte sanzionate, non considerava il contesto fattuale in cui le stesse si inserivano.

Il TAR ritiene questo motivo come infondato: il giudice, infatti, condivide pienamente le motivazioni, in punto di qualificazione della fattispecie, elaborate dall’AGCM e ha ritenuto che le condotte in parola fossero il frutto di una consapevole collaborazione delle Parti Ricorrenti, direttamente volta ad eliminare i rischi connessi al dispiegarsi di corrette dinamiche competitive. In proposito, il TAR ha fatto riferimento alla consolidata giurisprudenza in materia, secondo cui eventuali censure circa l’asserita carenza di effetti dell’intesa, avrebbero al più potuto rilevare ai fini della valutazione circa la gravità dell’illecito e, quindi, della quantificazione della sanzione (il cui ammontare è però stato confermato per tutte le Ricorrenti).

Non resta che vedere cosa deciderà il Consiglio di Stato sulla vicenda a valle di un probabile appello, anche con riferimento ad una possibile riduzione della sanzione.

Mila Filomena Crispino
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Legal News / Appalti e RTI – Secondo il TAR Lombardia la mancanza di una clausola idonea a limitare la partecipazione di RTI sovrabbondanti rende illegittimo il bando di gara

Con la sentenza del 12 ottobre scorso, il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per la Lombardia ha accolto il ricorso con cui un’impresa, il cui nome è omissato, impugnava l’aggiudicazione e gli atti relativi ad una gara indetta dall’Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti S.p.A. (Aria) per un appalto nel settore sanitario. Il ricorso riguardava, inter alia, il vincolo di aggiudicazione come interpretato dalla stazione appaltante e l’assenza nel bando di gara di una clausola idonea a limitare la partecipazione di Raggruppamenti Temporanei di Imprese (RTI) sovrabbondanti, ossia composti da imprese che già possiedono in via autonoma i requisiti di partecipazione.

Per quanto riguarda il motivo di ricorso con cui l’impresa ha dedotto l’illegittimità del vincolo di aggiudicazione fondamentale è il riferimento al disciplinare di gara, in cui si precisa sia che – laddove intenda partecipare a più lotto – l’operatore dovrà possedere i requisiti di partecipazione richiesti per ciascun singolo lotto, sia che “… ciascun operatore economico, nel rispetto della forma di partecipazione con cui concorre alla procedura non potrà risultare aggiudicatario per più di 4 lotti della procedura stessa”. In sede di chiarimenti, richiesti dall’impresa ricorrente, la stazione appaltante ha interpretato il punto appena richiamato affermando che costituivano tre operatori economici distinti “un’impresa singola, esemplificativamente “ditta A”, un RTI con impresa “A” mandataria e impresa “B” mandante, ed un RTI con impresa “A” mandante ed impresa “B” mandataria”. Dunque, per la stazione appaltante costituiva una diversa forma di partecipazione anche la partecipazione in RTI degli stessi operatori, impresa A e impresa B, a condizione che i ruoli di impresa mandante e impresa mandataria fossero invertiti. Tale interpretazione ha fatto sì che due operatori si riunissero in due RTI, scambiandosi i ruoli di mandante e mandataria, e si aggiudicassero 6 lotti in totale (un RTI 3 lotti e un altro RTI, con gli stessi operatori ma con ruoli invertiti, altri 3 lotti). Per la stazione appaltante, tale risultato non sarebbe stato contrario alle disposizioni del disciplinare di gara, che come ricordato impone un vincolo di aggiudicazione di massimo 4 lotti per ciascun soggetto, in quanto ciascun RTI darebbe vita a un soggetto autonomo.

Il TAR ha dichiarato illegittima questa interpretazione, e perciò accolto il motivo di ricorso, specificando che “ciascun RTI non dà vita a un soggetto autonomo, ma solo a un vincolo contrattuale tra operatori determinati”. Sono le società, non il raggruppamento, ad assumere gli impegni verso la stazione appaltante. Il fatto che gli stessi operatori assumano, di volta in volta, il ruolo di mandante e di mandatario, non cambia la sostanziale identità dei soggetti che compongono il raggruppamento. Di conseguenza, l’interpretazione sostenuta dalla stazione appaltante in sede di chiarimenti, consentendo l’aggiudicazione di più di 4 lotti agli stessi operatori riuniti in RTI con ruoli invertiti di mandante e mandatario “è palesemente elusiva del vincolo di aggiudicazione e conduce ad effetti distorsivi della concorrenza”.

Con un’altra censura, l’impresa ricorrente lamentava l’effetto distorsivo della concorrenza provocato dalla mancanza di una clausola idonea a limitare la partecipazione di RTI sovrabbondanti. Il TAR ha ricordato che da tempo l’orientamento giurisprudenziale nega che sia configurabile un divieto assoluto di partecipazione alle gare in RTI sovrabbondanti, in quanto questo divieto sarebbe in contrasto con il favor del diritto comunitario alla partecipazione alle gare ad evidenza pubblica anche di soggetti riuniti. Tuttavia, il TAR ha specificato che ciò non significa che le stazioni appaltanti non possano introdurre degli strumenti di verifica per accertare che simili forme di partecipazione non portino ad una violazione delle regole di concorrenza. La previsione di una simile clausola, come detto, non può tradursi in un’esclusione assoluta e automatica di un RTI solo perché sovrabbondante. Può però essere inserita per verificare che la partecipazione di un RTI sovrabbondante “… sottenda ragioni specifiche, di natura gestionale o industriale, ovvero sia funzionale solo ad alterare la concorrenza, in dipendenza della natura del servizio, delle peculiarità della specifica gara e dell’assetto del mercato di riferimento …”.

Nel caso di specie, il TAR rilevato che la mancata previsione di una tale clausola abbia avuto effetti distorsivi della concorrenza traducendosi nell’impossibilità, per alcuni degli operatori del mercato che hanno partecipato alla procedura, di conseguire l’aggiudicazione. Una simile impostazione è interessante in quanto – pur non essendovi un obbligo in tal senso – sarà sicuramente incentivata la diffusione di clausole che permettano almeno uno screening diretto ad accertare la natura non anticoncorrenziale, nel concreto, del RTI sovrabbondante.

Chiara Giustiniani
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