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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Abusi di posizione dominante e settore digitale – La Commissione accusa Amazon di utilizzare i dati dei rivenditori indipendenti per favorire i propri prodotti

Il 10 novembre scorso, la Commissione Europea (Commissione) ha annunciato di aver inviato una comunicazione degli addebiti (c.d. statement of objections - SO) ad Amazon.com, Inc., Amazon Services Europe SARL, Amazon EU SARL e Amazon Europe Core SARL (insieme, Amazon), contestando il sistematico utilizzo dei dati non pubblici dei rivenditori indipendenti attivi sul suo marketplace, sostenendo che Amazon li utilizzi a beneficio della propria attività retail. La Commissione ha anche comunicato di aver aperto una seconda, distinta istruttoria sul possibile trattamento preferenziale delle offerte retail di Amazon e dei venditori del suo marketplace che si avvalgono dei servizi di logistica e consegna di Amazon.

Nel proprio comunicato stampa, la Commissione sottolinea che Amazon svolge un duplice ruolo: (i) da un lato, fornisce servizi di piattaforma, ossia il c.d. marketplace, dove venditori indipendenti possono commercializzare i propri prodotti direttamente ai consumatori. Secondo la Commissione, Amazon sarebbe il marketplace dominante in molti paesi europei, in particolare in Francia e in Germania; e (ii) dall’altro, essa stessa vende prodotti sul proprio marketplace. Amazon quindi compete direttamente con i venditori terzi che si affidano alla sua piattaforma per offrire i loro prodotti.

La Commissione ha analizzato un campione di dati che copre oltre 80 milioni di transazioni e circa 100 milioni di inserzioni di prodotti sui mercati europei di Amazon. L'indagine avrebbe dimostrato che dati commerciali granulari e in tempo reale relativi a più di 800.000 venditori attivi nell’Unione Europea, e che coprono più di un miliardo di prodotti diversi (come, ad esempio, il numero di unità di prodotti ordinati e spediti, i ricavi dei venditori sul mercato, il numero di visite relative alle offerte dei venditori, i dati relativi alle spedizioni, alle prestazioni passate dei venditori e altri reclami dei consumatori sui prodotti, comprese le garanzie attivate) sono sistematicamente inseriti negli algoritmi dell'attività di vendita al dettaglio di Amazon.

Secondo la Commissione, Amazon aggregherebbe questi dati e li utilizzerebbe per calibrare le proprie offerte al dettaglio e le decisioni strategiche di business a scapito degli altri venditori. Amazon può, ad esempio, concentrare le proprie offerte sui prodotti più venduti nelle diverse categorie e adeguare le proprie offerte in vista dei dati non pubblici dei venditori concorrenti. In proposito, la Commissione ha rilevato che in molte delle categorie di prodotti più popolari, Amazon commercializza direttamente meno del 10% dei prodotti disponibili sulla sua piattaforma ma realizza il 50% o più di tutti i ricavi della categoria.

Secondo quanto emerge dal comunicato in parola, il punto di vista preliminare della Commissione, delineato nello SO (documento, come noto, non pubblico), è che l'uso di dati non pubblici sui venditori del mercato consentirebbe ad Amazon di “evitare i normali rischi della concorrenza” e di sfruttare la sua posizione dominante sul mercato dei servizi di marketplace in Francia e in Germania, i più grandi mercati per Amazon nell'Unione Europea.

Alcuni tra i primi commentatori hanno osservato che, dal comunicato stampa, sembrerebbe che la Commissione consideri tale pratica come intrinsecamente anticoncorrenziale. Tuttavia, si potrebbe sostenere che l’utilizzo dei dati da parte di Amazon abbia un effetto positivo per la concorrenza, o che, in ogni caso, non costituisca un metodo “illecito” di competere (lo sfruttamento di dati non pubblici, ad esempio, è una pratica comune nel settore retail, a partire dai supermercati, anche se a dire il vero molti di tali dati sono comunque disponibili a pagamento). Altri osservano che, sebbene il possesso di dati granulari possa rappresentare un vantaggio competitivo non replicabile dai concorrenti, non è chiaro in che cosa consisterebbe l’abuso di tale posizione dominante di Amazon in termini di effetti escludenti, potendo al più essere ricondotti a categorie più tipiche della c.d. concorrenza sleale.

L'esame dell'uso dei dati di Amazon avrebbe anche rivelato che quest’ultima potrebbe aver stabilito alcune regole sulla sua piattaforma che favoriscono artificialmente sia le proprie offerte al dettaglio, sia le offerte dei venditori che utilizzano i servizi logistici e di consegna di Amazon. Questa seconda e distinta istruttoria dovrebbe concentrarsi sulla cosiddetta “Buy Box” e sull'etichetta Prime di Amazon, e sul loro rapporto con l'uso dei servizi logistici e di consegna di Amazon.

La “Buy Box” è esposta in modo prominente sui siti web di Amazon e permette ai clienti di aggiungere gli articoli di un rivenditore specifico direttamente nei loro carrelli della spesa. Essere scelti come l'offerta che figura nella “Buy Box” è – secondo la ricostruzione della Commissione – fondamentale per i venditori del mercato, poiché il “Buy Box” mostra in modo evidente l'offerta di un singolo venditore per un prodotto scelto sui mercati di Amazon e genera la maggior parte delle vendite. L'altro aspetto è rappresentato dalle modalità per i venditori del mercato di raggiungere efficacemente gli utenti Prime, categoria di consumatori molto importante per i venditori, dal momento che il loro numero è in costante aumento e generalmente spendono di più su Amazon.

La preoccupazione della Commissione è che attraverso i meccanismi della “Buy Box” e Prime, Amazon possa spingere i rivenditori ad utilizzare i propri servizi correlati, quali ad esempio quelli di logistica offerti da Amazon e che, se utilizzati, potrebbero permettere di aver un migliore accesso a tale meccanismo. Questo potrebbe potenzialmente bloccare nell'ecosistema di Amazon un numero crescente di venditori. Si noti che l'indagine riguarderà lo Spazio economico europeo, ad eccezione dell'Italia. L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha infatti avviato lo scorso anno un'indagine parzialmente analoga (si veda la Newsletter del 23 aprile 2019), destinata quindi a proseguire in parallelo a quella della Commissione.

Cercando di anticipare le critiche che potrebbero essere mosse alla Commissione, la Commissaria Vestager ha sottolineato come non è “… in considerazione il successo di Amazon o le sue dimensioni. La nostra preoccupazione è una condotta commerciale molto specifica, che sembra avere effetti distorsivi sulla reale concorrenza …”. Dall’altro lato, Amazon si è difesa osservando di “rappresenta[re] meno dell’1% del mercato al dettaglio globale” ed evidenziando i benefici che il suo marketplace genera per più di 150.000 aziende europee.

Non resta che vedere gli sviluppi che le due istruttorie potranno avere.

Luigi Eduardo Bisogno
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Diritto della concorrenza Italia / Abuso di posizione dominante e settore riciclo imballaggi - L’AGCM accerta che COREPLA ha abusato della propria posizione dominante nel mercato italiano di avvio al riciclo e recupero degli imballaggi in PET a uso alimentare

Con il provvedimento deliberato lo scorso 27 ottobre (il Provvedimento), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha accertato l’abuso di posizione dominante del Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclaggio e il Recupero degli Imballaggi in Plastica (COREPLA) nel mercato nazionale della gestione e dell’avvio al riciclo e recupero degli imballaggi primari in materiale plastico PET per uso alimentare.

COREPLA è un consorzio per il recupero e il riciclo di imballaggi di plastica a cui partecipano i produttori degli stessi per adempiere agli obblighi derivanti dalla c.d. Extended Producer Responsibility (EPR). L’EPR consiste nella necessità per tali produttori di ricorrere a sistemi di gestione dei rifiuti derivanti dagli imballaggi da essi prodotti, immessi nel mercato e utilizzati, e di finanziarne l’attività attraverso il c.d. contributo ambientale.

COREPLA costituisce il consorzio di filiera della plastica nell’ambito del sistema Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) e svolge i servizi menzionati anche avvalendosi del servizio pubblico di raccolta differenziata organizzata dai comuni, per il tramite dell’Accordo Quadro tra il CONAI e l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI). COREPLA opera pagando un corrispettivo proporzionato ai volumi di imballaggi immessi sul mercato, da un lato, all’operatore materiale della raccolta dei rifiuti e, dall’altro, ai centri di selezione (CSS) competenti per ciascuna zona. Fino all’aprile del 2018, l’attività di recupero degli imballaggi in plastica primari, tra cui anche le bottiglie in PET, era svolta in Italia in via esclusiva da COREPLA.

L’articolo 221 del Testo Unico Ambientale (TUA) concede ai produttori degli imballaggi modalità alternative al sistema di filiera COREPLA/CONAI, con la possibilità di costituzione di sistemi autonomi di compliance all’EPR. Così, nell’aprile 2018, il Consorzio di diritto privato di riciclo di PET (CORIPET), consorzio autonomo costituito dalle primarie imprese di imbottigliamento di acqua minerale e altri produttori di contenitori in PET, è stato autorizzato temporaneamente dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Ministero dell’Ambiente) a svolgere servizi di recupero e riciclo di bottiglie in PET per uso alimentare, in precedenza svolti in via esclusiva da COREPLA. Il riconoscimento provvisorio sarebbe diventato definitivo solo al raggiungimento di determinati obblighi di risultato da parte di CORIPET.

Il 30 aprile del 2019, l’AGCM aveva quindi avviato un procedimento nei confronti di COREPLA, che si è ora concluso con il Provvedimento, che ha accertato l’abuso di posizione dominante di COREPLA nel mercato nazionale dell’avvio a riciclo e recupero degli imballaggi primari in PET a uso alimentare. Secondo l’AGCM, COREPLA pretendeva di proseguire nella gestione anche dei rifiuti imputabili ai soci di CORIPET in forza di clausole di esclusiva contenute nella contrattazione preesistente tra COREPLA e ANCI e tra COREPLA e i CSS. Inoltre, secondo l’AGCM, COREPLA si sarebbe anche rifiutato di consentire a CORIPET l’accesso materiale ai rifiuti di competenza di quest’ultimo, continuando a gestire in perdita i volumi dei consorziati CORIPET; perdita determinata dal mancato incasso da parte di COREPLA del contributo ambientale riconducibile agli associati CORIPET, che appunto in quanto ormai consorziati CORIPET finanziavano quest’ultimo, e non più COREPLA. Nonostante ciò, COREPLA avrebbe continuato a gestire la totalità dei rifiuti per precludere a CORIPET l’accesso alla propria quota. Infine, COREPLA avrebbe venduto all’asta dei rifiuti di spettanza di CORIPET.

Con tali condotte, COREPLA avrebbe quindi posto CORIPET nella condizione di non poter concludere un accordo con ANCI e i CSS, e in generale di non poter operare sui rifiuti di propria competenza. La strategia di COREPLA sarebbe stata quella di impedire che CORIPET raggiungesse i risultati necessari ad ottenere il definitivo riconoscimento quale sistema autonomo da parte del Ministero dell’Ambiente, per ostacolare l’ingresso del nuovo entrante nel mercato e rafforzare invece la propria posizione dominante (ottenuta in forza del precedente monopolio legale) nel mercato rilevante considerato.

L’AGCM ha considerato le condotte contestate come “idonee ad ostacolare significativamente l’ingresso e l’operatività di concorrenti attuali e potenziali, anche esteri, sul mercato nazionale”. L’AGCM ha quindi ritenuto che la condotta in parola rappresentasse una violazione dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, ed ha applicato a COREPLA una sanzione di 27 milioni di euro.

Con riferimento alla gravità delle condotte di COREPLA, l’ACGM ha considerato non solo che i comportamenti contestati sono stati realizzati nella situazione particolarmente delicata della pendenza del termine definitivo ad operare di CORIPET, ma anche che essi avrebbero impedito la realizzazione di un progetto innovativo di CORIPET. Infatti, quest’ultimo, consentendo di chiedere a ciascun produttore un pagamento che fosse il più vicino possibile al costo di avvio a riciclo e recupero degli imballaggi che questi ha immesso al consumo, avrebbe incentivato il produttore a sviluppare imballaggi maggiormente eco-compatibili per pagare di meno. Questo non sarebbe avvenuto, secondo l’AGCM, con la gestione di COREPLA, che invece opera con una strategia volta a far sì che gli imballaggi con il minor deficit di catena (come il PET) sostengano in parte la gestione di quelli il cui recupero è invece più costoso (con il maggior deficit di catena).

Per quanto riguarda invece la durata delle condotte, l’AGCM ha ritenuto che il suo inizio debba individuarsi nella data di adozione del decreto di riconoscimento provvisorio di CORIPET (24 aprile 2018), quando le condotte avrebbero iniziato a produrre effetti escludenti. Le condotte devono considerarsi cessate il 31 dicembre 2019, perché dal 1° gennaio 2020, in attuazione di quanto imposto dall’AGCM con le misure cautelari adottate il 29 ottobre 2019, COREPLA ha messo CORIPET nella condizione di ritirare la propria quota parte di rifiuti in PET.

Di conseguenza, l’AGCM ha attribuito a COREPLA un coefficiente di gravità pari al 10% del valore delle vendite dell’ultimo anno intero di partecipazione all’infrazione (ossia il 2019). L’importo finale della sanzione è fissato nella misura di euro 27.400.477, corrispondente al 4% del fatturato complessivo 2019 di COREPLA e dunque di ammontare inferiore al limite edittale del 10% del totale del fatturato.

Chiara Giustiniani
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Legal News / Gare pubbliche e violazioni antitrust – Il Consiglio di Stato ha chiarito l’interpretazione dell’art. 80 del codice degli appalti pubblici relativamente ai motivi di esclusione di un operatore economico dalle gare ad evidenza pubblica

Con la sentenza 6635/2020 dello scorso 29 ottobre, il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto l’appello presentato da S&Y s.r.l. (S&Y) per la riforma della sentenza n. 352/2020 del Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria (TAR Liguria). Quest’ultima sentenza aveva annullato il provvedimento del Ministero della Difesa che dichiarava inammissibile l’offerta presentata dalla società S.I.M.A.N. s.r.l. (Siman) in una gara ad evidenza pubblica avente ad oggetto l’affidamento dei servizi di ammodernamento programmatico della nave “Porto Torres” (la Gara Porto Torres).

Nello specifico, nonostante Siman fosse stata inizialmente ammessa alla Gara Porto Torres, nel corso del procedimento era intervenuta una sentenza del Consiglio di Stato che aveva disposto l’esclusione di Siman da una precedente ed analoga procedura ad evidenza pubblica, indetta sempre dal Ministero della Difesa. A seguito di tale sentenza, il Ministero della Difesa aveva adottato un provvedimento di esclusione nei confronti di Siman dalla Gara Porto Torres. La ragione della doppia esclusione era da individuarsi in un provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) del 2015, con il quale era stato accertato che Siman aveva preso parte ad una intesa orizzontale illecita.

È utile ricordare che ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d. lgs n. 50/2016 (Codice degli Appalti Pubblici, CDA), una stazione appaltante può escludere un operatore economico dalle proprie gare qualora dimostri con mezzi adeguati che tale operatore abbia in precedenza commesso “gravi illeciti professionali”. A tal proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva chiarito, con l’ordinanza n. 425 del 2019, che i provvedimenti sanzionatori dell’AGCM rientrano nell’ambito di tali “gravi illeciti professionali”.

Con la sentenza in commento, il CdS accoglie tutti i motivi d’appello presentati da S&Y (società controinteressata che aveva anch’essa partecipato alla Gara Porto Torres), annullando la sentenza del TAR Liguria sulla questione e ripristinando la validità del provvedimento con cui il Ministero della Difesa aveva escluso Simian dalla Gara Porto Torres. Nel fare ciò, il CdS non manca di svolgere alcune interessanti considerazioni, utili agli operatori economici attivi nelle gare ad evidenza pubblica, relativamente alle norme che disciplinano i motivi di esclusione.

In primo luogo, il CdS fornisce un’interpretazione del nuovo art. 80, comma10-bis CDA, introdotto dal d.l. 18 aprile 2019 n. 32 (c.d. “decreto sblocca cantieri”). Tale norma prevede che “... nei casi di cui al comma 5, la durata dell’esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza …”.

A tal riguardo, il CdS chiarisce che la ratio di tale norma, coerentemente con quanto disposto dall’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, è quella di rispondere “… all’esigenza di delimitare il periodo nel quale una pregressa vicenda professionale negativa possa comportare l’esclusione di operatore economico dalle procedure di gara, nella consapevolezza che col passar del tempo le pregresse vicende professionali perdono il loro disvalore ai fini dell’apprezzamento dell’affidabilità del concorrente e possano ritenersi superate dalla regolare continuazione dell’attività di impresa …”.

Inoltre, con riferimento al problema del dies a quo da cui deve iniziare a decorrere il triennio, il CdS chiarisce che esso deve coincidere con la data in cui il “fatto” che può dar luogo al provvedimento amministrativo di esclusione viene accertato (per le violazioni antitrust, la data del provvedimento sanzionatorio dell’AGCM o, in caso di impugnazione, la data di passaggio in giudicato della relativa pronuncia).

Da ultimo, il CdS chiarisce anche l’interpretazione dell’art. 80, comma 7 CDA, il quale prevede che un operatore economico o un subappaltatore che abbia commesso “gravi illeciti professionali” (o che si trovi in qualunque altra condizione che il comma 5 del medesimo articolo individua come causa di possibile esclusione dalle gare pubbliche) abbia la facoltà di provare alla stazione appaltante “… di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati illeciti …” (c.d. misure di self-cleaning). A questo proposito, il CdS spiega che, al fine di essere ammesso alla partecipazione ad una gara pubblica, è consentito all’operatore economico di provare anche una sola delle due condizioni previste dall’articolo, e non invece entrambe (come pure il dato testuale della norma in esame sembrerebbe suggerire). Di conseguenza, le misure di self-cleaning che un operatore deve adottare, secondo l’interpretazione del CdS, possono anche essere volte solamente alla prevenzione di future condotte illecite o, in alternativa, al solo ristoro dei danni causati dalla condotta illecita tenuta in precedenza.

Alla luce di tali considerazioni, il CdS ha annullato la sentenza del TAR Liguria, in quanto: (i) ha ritenuto legittima la scelta del Ministero della Difesa di escludere Siman dalla Gara Porto Torres, non essendo ancora trascorso il triennio di cui all’art. 80, comma 10-bis CDA alla data dell’esclusione; e (ii) Siman non aveva allegato l’elenco delle misure di self-cleaning ai documenti inviati alla stazione appaltante per la partecipazione alla Gara Porto Torres.

Luca Casiraghi
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Accordi di acquisto in comune e settore della grande distribuzione – L’autorità francese della concorrenza ha approvato gli impegni presentati dalla centrale d’acquisto costituita da Auchan, Casino, Metro e Schiever, volti a superare le criticità riscontrate in relazione ai prodotti private label 

Con la decisione del 22 ottobre 2020 (la Decisione) l’Autorità francese per la concorrenza (l’Autorità) ha approvato e reso obbligatori gli impegni presentati da Auchan, Casino, Metro e Schiever (quest’ultimo un franchisee di Auchan) (le Parti), così chiudendo senza accertamento d’infrazione il procedimento avviato nei loro confronti e riguardante possibili criticità concorrenziali collegate ad un accordo di acquisto in comune.

La vicenda in parola prende le mosse dalla conclusione ad opera delle Parti di alcuni accordi di cooperazione riguardanti l’acquisto di prodotti a marchio del distributore; l’acquisto di prodotti a marchio del fornitore; e la vendita di sevizi internazionali a taluni fornitori comuni. Tra il maggio e il novembre 2018 tali accordi erano stati comunicati dalle Parti all’Autorità, che aveva riscontrato potenziali criticità concorrenziali con riguardo all’accordo di acquisto in comune di prodotti a marchio del distributore (l’Accordo). Tali criticità riguardavano due profili.

Il primo profilo ineriva al mercato a monte dell’approvvigionamento sul quale l’Accordo, ad avviso dell’Autorità, avrebbe potuto determinare una riduzione della capacità e degli incentivi dei fornitori ad investire e innovare. Tale rischio derivava, secondo l’Autorità:

- dalla sussistenza sul mercato a monte di condizioni commerciali che tendevano a non essere favorevoli ai fornitori e che ne limitavano il potere di mercato (ad es. assenza di clausole che garantissero in esclusiva la produzione dei prodotti a marchio del distributore, contratti brevi la cui durata raramente superava un anno e assenza di obblighi per il distributore ad acquistare dati volumi);

- dalla sofferenza del settore, in termini di riduzione del volume totale delle vendite, e dalla connessa scarsa profittabilità per i fornitori, condizioni che l’Accordo avrebbe peggiorato, riducendo ulteriormente i margini dei fornitori e compromettendo i loro incentivi ad innovare e finanche a rimanere sul mercato. Tali considerazioni risultavano tanto più vere per le PMI, che costituivano una parte significativa dei fornitori di prodotti c.d. private label dei distributori.

Il secondo profilo ineriva al mercato a valle della distribuzione (principalmente) alimentare sul quale l’Accordo, ad avviso dell’Autorità, avrebbe ridotto il grado di concorrenza tra le Parti in ragione dell’omologazione di una parte dei loro prodotti a marchio proprio, idonea a determinare una riduzione della differenziazione e dunque della varietà dell’offerta di cui beneficiano i consumatori.

Allo scopo di superare le preoccupazioni concorrenziali anzidette, le Parti hanno presentato impegni articolati come segue:

(i) Esclusione dalla cooperazione

• di 6 categorie di prodotti agricoli/prodotti provenienti da settori che attraversano difficoltà economiche. Tra queste categorie, un’eccezione è prevista per il latte e le uova, nel limite del 5% del totale del mercato della categoria in questione, al fine di garantire determinati livelli di qualità del prodotto nonché un livello di sicurezza ai produttori, consentendo loro di investire in nuovi strumenti; nonché

• di 27 categorie di prodotti per i quali potrebbe sussistere una differenziazione fra diversi brand.

(ii) Limitazione della cooperazione

• in relazione a 12 categorie di prodotti, rispetto alle quali la quota di mercato aggregata delle Parti superava il 15% sia sul mercato a monte dell’approvvigionamento, sia su quello a valle della vendita, ossia le soglie entro le quali, ai sensi delle Linee direttrici sulla cooperazione orizzontale della Commissione europea (Linee Direttrici), è improbabile possano determinarsi effetti anticoncorrenziali. Con riguardo a tali categorie, le Parti, cautelativamente, hanno fissato un tetto massimo per gli acquisti in comune pari al 15% del totale dei volumi delle vendite, a livello nazionale, per la categoria di prodotti in questione.

(iii) Prosecuzione della cooperazione

• in relazione a 11 categorie di prodotti rispetto ai quali la quota di mercato aggregata delle Parti non supera le soglie del 15% fissate dalle Linee Direttrici; nonché

• in relazione a 18 categorie di prodotti rispetto a cui sono superate dette soglie del 15%, ma con riguardo alle quali è stata riscontrata la sussistenza di un contropotere contrattuale significativo da parte dei fornitori e numerosi sbocchi alternativi a loro disposizione.

Come anticipato, l’Autorità ha approvato gli impegni descritti, che resteranno in vigore per 5 anni, chiudendo il relativo procedimento.

Resta ora da vedere se il medesimo epilogo interesserà anche il caso parallelo, avviato dall’Autorità nei confronti di Carrefour e Tesco, sull’accordo di acquisto in comune concluso tra i due operatori.

Roberta Laghi
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