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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE/Diritto UE e piattaforme online – Dopo i casi Uber ed Airbnb, la Corte di Giustizia si pronuncia sui servizi offerti da Star Taxi come servizi della società dell’informazione

Con la sentenza resa il 3 dicembre, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) si è pronunciata sulla natura del servizio offerto da Star Taxi App S.r.l. (Star Taxi) ai sensi della direttiva 2000/31/CE.

In sostanza, la CGUE è stata chiamata a chiarire se il servizio offerto da Star Taxi rientri nella nozione di servizio della società dell’informazione ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2000/31/CE o se, al contrario, Star Taxi debba essere qualificato come un prestatore di servizi di trasporto. Le conseguenze pratiche sono rilevanti – dalla qualifica di prestatore di servizi di trasporto discende la soggezione alla normativa di settore applicabile (compresi gli eventuali oneri regolatori); all’opposto, la qualifica di servizio della società dell’informazione garantisce l’accesso all’apposita disciplina UE di maggior favore (tra cui la direttiva 2000/31/CE e la direttiva (UE) 2015/1535, che vietano la subordinazione della fornitura di servizi della società dell’informazione a regimi di autorizzazione preventiva).
La sentenza in commento arricchisce il filone giurisprudenziale inaugurato con Uber System SpainSL (Cfr. sentenza del 20 dicembre 2017, causa C-434/15, già commentata su questa Newsletter) e proseguito con Airbnb (Cfr. sentenza del 19 dicembre 2019, causa C-390/18, già commentata su questa Newsletter). Nell’ambito di tali sentenze, la CGUE aveva enucleato una serie di requisiti funzionali a qualificare una app quale servizio della società dell’informazione, tra cui:

i. indispensabilità del servizio reso dalla app alla realizzazione del servizio sottostante. In particolare, la CGUE aveva osservato che, in assenza del servizio fornito da Uber, i driver non professionisti “non sarebbero indotti a fornire servizi di trasporto e […] le persone che intendono effettuare uno spostamento […] non ricorrerebbero ai servizi di tali conducenti”.;
ii. esercizio, da parte della app, di una ‘influenza decisiva’ sulle condizioni di fornitura del servizio sottostante. Ad esempio, la CGUE ha ritenuto che l’influenza decisiva esercitata da Uber sul servizio di trasposto sottostante (manifestata tramite la fissazione del prezzo della singola corsa, la verifica dei livelli qualitativi del servizio di trasporto e la raccolta del prezzo di ciascuna corsa) fosse tale da impedirne la qualifica di servizio della società dell’informazione.

Con specifico riferimento al caso in esame (una pronuncia resa in via pregiudiziale a seguito di rinvio effettuato dal Tribunale superiore di Bucarest) è bene preliminarmente chiarire che la app Star Taxi mette in contatto i tassisti con potenziali passeggeri proponendo un elenco dei tassisti disponibili, fornendo un servizio di rating e consentendo all’utente di scegliere un tassista tra quelli che si trovano nelle vicinanze. Per converso, la app non fissa la tariffa per la corsa (che, trattandosi di servizio taxi, è predeterminata in via amministrativa) e il pagamento è effettuato direttamente al conducente al termine della corsa.

Applicando i parametri interpretativi sopra ricordati, la CGUE ha ritenuto che il servizio offerto da Star Taxi debba essere considerato un servizio della società di informazione. Contrariamente al servizio offerto da Uber, che ha “creato e reso accessibile la prestazione di servizi di spostamento nell’area urbana da parte di conducenti non professionisti in precedenza assenti dal mercato”, il servizio reso da Star Taxi “si limita a consentire […] l’attività consistente nel mettere in contatto persone che intendono effettuare uno spostamento nell’area urbana unicamente con tassisti autorizzati la cui attività è preesistente e per i quali detto servizio di intermediazione costituisce solo una modalità, tra le altre, di procacciamento della clientela”. In altri termini, ad avviso della CGUE, il servizio reso da Star Taxi presenta caratteristiche simili a quello reso da Airbnb – Star Taxi non fornisce un ‘servizio indispensabile’, atteso che un passeggero potrebbe ricorrere a canali alternativi per riservare una corsa taxi. La CGUE ha altresì ritenuto che Star Taxi non eserciti una influenza decisiva sul servizio di trasporto sottostante. A tal fine, la CGUE ha valorizzato la circostanza per cui Star Taxi “non seleziona i tassisti, né fissa o percepisce il prezzo della corsa e nemmeno esercita un controllo sulla qualità dei veicoli e dei loro conducenti né sul comportamento di questi ultimi”.

La CGUE, nel caso di specie, era anche stata chiamata a valutare se l’obbligo di dotarsi di autorizzazione preventiva sia conforme alla normativa UE sui servizi della società dell’informazione. In proposito, ha ritenuto che il giudice del rinvio non abbia fornito sufficienti elementi da consentirle una valutazione, rimettendo pertanto la valutazione sul punto al giudice del rinvio. Tuttavia, la CGUE ha fornito alcune utili coordinate interpretative sul punto. In primo luogo, la CGUE ha precisato che il divieto di sottoporre la fornitura di servizi della società dell’informazione a regimi di autorizzazione preventiva si applica solo a “normative degli Stati membri che riguardano specificamente ed esclusivamente i servizi della società dell’informazione”, chiarendo altresì che il rilascio di un’autorizzazione a fornire un servizio non possa essere subordinato “al soddisfacimento di requisiti tecnici inadeguati al servizio interessato e, pertanto, generatori di oneri e di costi ingiustificati per i suoi prestatori […] ciò può avvenire in particolare […] nel caso di un obbligo imposto ai prestatori di un servizio di intermediazione avente come oggetto, mediante un’applicazione per smartphone, quello di mettere in contatto, dietro remunerazione, persone che intendono effettuare uno spostamento nell’area urbana con tassisti autorizzati, di trasmettere corse a tali conducenti mediante un radio ricetrasmettitore”. Così facendo, la CGUE ha fornito un criterio interpretativo utile a valutare la congruità di futuri regimi autorizzatori.

In conclusione, la sentenza in commento è senz’altro un utile punto di riferimento nella misura in cui aiuta a chiarire l’orientamento della CGUE in merito ai servizi della società dell’informazione, ponendosi in continuità con i precedenti giurisprudenziali sul punto (in particolare, quelli relativi a Uber e Airbnb). Tuttavia, è lecito domandarsi se, a fronte della rapida diffusione delle piattaforme di intermediazione on-line, non sarebbe auspicabile un nuovo intervento del legislatore UE in luogo dell’elaborazione in via pretoria della CGUE.

Luca Villani
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Brexit e diritto della concorrenza – La Commissione pubblica un documento interpretativo relativo agli effetti della fine del periodo di transizione

Lo scorso 2 dicembre, la Commissione europea (Commissione) ha pubblicato una notice to stakeholder (Notice) in cui ha illustrato gli effetti della fine del periodo di transizione relativo alla Brexit sull’applicazione diritto della concorrenza.

Come noto, a partire dal 2 febbraio 2020 il Regno Unito è uscito ufficialmente dall’Unione europea ed è diventato a tutti gli effetti un “paese terzo”. Il Withdrawal Agreement ha stabilito, però, un periodo di transizione che si concluderà il 31 dicembre 2020. La Notice va ad analizzare quali saranno gli effetti, a partire dal 1° gennaio 2021, sull’applicazione del diritto della concorrenza da parte della Commissione stessa, sia con riferimento alla disciplina delle condotte delle imprese, sia con riferimento al controllo delle concentrazioni.

In relazione al diritto antitrust, la Commissione specifica che la fine del periodo di transizione non avrà alcun impatto sull’applicabilità degli articoli 101 e 102 TFUE alle imprese del Regno Unito. Questo perché, come confermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE), a prescindere dalla nazionalità o dalla sede dell’impresa, il TFUE trova comunque applicazione se ci sono effetti sul mercato interno. Quello che cambierà a partire dal 1° gennaio 2021 è che, pur avendo il potere ottenere informazioni da imprese britanniche, la Commissione non potrà più condurre ispezioni nel Regno Unito. Sarà diverso con riferimento ai procedimenti in corso o che verranno avviati entro la fine dell’anno, relativamente ai quali rimane la possibilità per la Commissione di condurre ispezioni nel Regno Unito.

In relazione al controllo delle concentrazioni, con specifico riferimento al calcolo del fatturato rilevante a fini giurisdizionali la Commissione conferma che se (i) la firma dell’accordo giuridicamente vincolante, (ii) la comunicazione dell’offerta pubblica, (iii) l’acquisizione di una partecipazione di controllo, ovvero (iv) il deposito della prima notifica è avvenuto prima del 1 gennaio 2021, allora dovrà tenersi conto a fini giurisdizionali anche del fatturato delle imprese partecipanti alla concentrazione generato nel Regno Unito. Ciò detto, la Commissione avrà competenza esclusiva solo sui procedimenti formalmente iniziati (ossia per i la notifica sia stata depositata) entro la fine del periodo di transizione. Ciò significa, ad esempio, che nelle operazioni in cui la firma del contratto giuridicamente vincolante sia avvenuto prima della fine dell’anno ma la notifica non sia stata formalmente depositata entro tale data le imprese si trovano ad affrontare il rischio molto concreto che l’autorità antitrust britannica avvii un’indagine parallela.

Mila Filomena Crispino
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Diritto della concorrenza e tutela del consumatore Italia/AGCM e advocacy – L’AGCM ha pubblicato un documento riguardante i risultati della propria attività di advocacy relativamente al biennio 2018 – 2019.

Lo scorso 16 novembre 2020 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha pubblicato un documento dal titolo: “Esiti dell’Attività di Advocacy nel Biennio 2018-2019” (il Report).

L’attività di advocacy dell’AGCM consiste nell’esercizio dei poteri attribuiti ad essa dagli articoli 21, 21bis e 22 della legge n. 287 del 1990, che prevedono la possibilità per l’AGCM di segnalare al Governo, al Parlamento, alle Regioni e agli Enti locali i provvedimenti normativi e amministrativi già vigenti, o in via di formazione, che introducono restrizioni della concorrenza e, in certi casi, impugnare gli atti amministrativi interessati. A queste si aggiunge poi la possibilità per l’AGCM di inviare pareri ai sensi dall’art. 4 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (cd. “Decreto Cresci Italia”) e altri casi di advocacy previsti da specifiche disposizioni di varie normative settoriali. Il Report si pone l’obiettivo principale di dare conto del tasso di efficacia delle segnalazioni dell’AGCM.

Nel biennio 2018-2019 l’AGCM ha effettuato un totale di 170 interventi di advocacy: 87 nel 2018 e 83 nel 2019. Gli strumenti più utilizzati sono stati i pareri ai sensi dell’art. 22 della legge 287/90 (79 casi) e le segnalazioni ai sensi dell’art. 21 della legge n. 287 del 1990 (39 casi). Solamente quattro, invece, gli interventi ai sensi di fonti normative speciali. Gli atti oggetto delle segnalazioni sono stati per lo più bandi di gara (31 casi), atti di affidamento diretto o contratti (18 casi), atti amministrativi comunali (17 casi) e leggi regionali (17 casi).Si nota anche che sul totale di 170 interventi di advocacy, 88 hanno avuto come destinatario il Parlamento, 77 una amministrazione locale o regionale, mentre in soli 5 casi i destinatari erano misti, dunque sia locali che centrali.

Con specifico riguardo ai profili di criticità concorrenziale maggiormente ricorrenti negli interventi dell’AGCM, in 113 casi l’AGCM ha agito per evidenziare “limitazioni all’esercizio dell’attività d’impresa”, in particolare relativamente a “leggi o provvedimenti amministrativi che alterano le condizioni di concorrenza” (95 casi). Numerose sono state anche le segnalazioni e i pareri che hanno evidenziato criticità concorrenziali nell’ambito delle gare e degli appalti (91 casi), spesso in relazione ad affidamenti in assenza di gara, rinnovi automatici e proroghe di concessioni, oppure relativamente a specifiche caratteristiche delle gare bandite (ad es. criticità legate ai requisiti di partecipazione, ai lotti di gara o ai criteri di aggiudicazione).

Quanto al tasso di successo, il monitoraggio ha rilevato che il tasso di ottemperanza per il biennio considerato è stato complessivamente del 55%, registrando dunque un leggero miglioramento rispetto al biennio precedente in cui il risultato aggregato era stato del 54%. Pur con innegabili margini di miglioramento, lo strumento della segnalazione si conferma quindi come un’importante risorsa nelle mani dell’AGCM per la promozione della concorrenza in Italia.

Luca Casiraghi
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Pratiche commerciali scorrette e prodotti assicurativi – L’AGCM avvia diversi procedimenti paralleli in merito al possibile ostacolo all’esercizio dei diritti degli assicurati

Nelle ultime settimane, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato diversi procedimenti (facenti parte di un c.d. “sweep”, ossia una iniziativa su specifiche pratiche in un determinato settore) volti a identificare eventuali pratiche commerciali scorrette nell’ambito dell’erogazione dei rimborsi dovuti ai clienti (consumatori e microimprese) delle principali imprese assicurative.

In particolare, lo scorso 26 novembre l’AGCM ha annunciato l’avvio di un’istruttoria nei confronti di Intesa Sanpaolo RBM Salute S.p.A. e di Previmedical – Servizi per Sanita Integrativa S.p.A., che avrebbero messo in atto condotte e omissioni volte a ostacolare l’esercizio dei diritti che derivano dal rapporto contrattuale, inducendo i consumatori/assicurati a rinunciare alle prestazioni economiche e assistenziali a cui avrebbero diritto, ovvero, in alcuni casi, secondo la contestazione preliminare dell’AGCM, negandone l’erogazione senza apparente motivazione o su motivazioni pretestuose.

L’AGCM ha altresì avviato tre ulteriori procedimenti nei confronti di UnipolSai Assicurazioni S.p.A., Generali Italia S.p.A., e Allianz S.p.A. per pratiche analoghe nei confronti degli assicurati nella fase di liquidazione dei rimborsi dovuti a titolo di assicurazione per responsabilità civile (‘RC’) auto.

L’apertura di detti procedimenti è indice di una fase di particolare interesse dell’AGCM per la tutela dei consumatori/assicurati. Non dovrà quindi stupire l’annuncio di ulteriori istruttorie nel settore. Le imprese assicuratrici sono avvisate.

Riccardo Fadiga
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Legal News/Telefonia e tutela della clientela – L’AGCOM sanziona TIM e Wind Tre per scarsa trasparenza nelle offerte “Tutto incluso” e per ostacoli al diritto di recesso e al cambio del fornitore di servizi

Lo scorso 11 novembre, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha sanzionato TIM S.p.A. (TIM) per €634.000 e Wind Tre S.p.A.(Wind Tre) per €464.000 per asserita violazione degli obblighi di trasparenza informativa nelle offerte “Tutto Incluso” e per ostacoli al diritto di recesso e al cambio del fornitore di servizi, imposti anche tramite la conversione automatica di un pagamento rateale in un pagamento in un’unica soluzione.

In particolare, l’AGCOM ha identificato diverse condotte illegittime delle imprese sanzionate. Ad esempio, si è focalizzata sul fatto che sul sito istituzionale di TIM risultava che il prezzo mensile delle offerte “TIM Super” fosse “Tutto compreso”, laddove alcune componenti del prezzo (ovvero il modem e il contributo di attivazione) venivano poi addebitate all’utente in caso di recesso. Inoltre, l’abbonamento mensile comprendeva la rata del modem calcolata su un periodo di 48 mesi, a fronte di una durata dell’offerta di 24 mesi. Non era inoltre indicata la possibilità di optare per una diversa durata del piano di rateizzazione o di pagare il modem in unica soluzione e non risultavano specificati il costo complessivo del prodotto e le relative condizioni di fornitura. L’AGCOM ha ritenuto che questa prospettazione del prezzo mensile come “tutto compreso” fosse scorretta e fuorviante e che violasse gli obblighi di trasparenza informativa di cui agli articoli 70 e 71 del Codice delle comunicazioni elettroniche (Codice).

In secondo luogo, per quanto riguarda la contestazione riguardo alle spese di recesso, l’AGCM si è focalizzata sul fatto che il costo di disattivazione di “TIM Super” (pari a €30) eccedeva il limite indicato al punto 22 delle Linee guida sulle modalità di dismissione e trasferimento dell’utenza nei contratti per adesione (le Linee guida), secondo cui le spese di recesso “non possono eccedere il valore minimo tra il prezzo implicito dell’offerta e i costi realmente sostenuti dall’operatore, anche se giustificati”.

L’AGCOM ha altresì accertato che la durata del piano di rateizzazione del servizio “TIM Expert” offerto congiuntamente ai piani “TIM Connect XDSL” eccedeva i 24 mesi, vincolando i clienti oltre il termine massimo del primo periodo di impegno contrattuale, con l’effetto di disincentivare il cambiamento del fornitore di servizi.

Le condotte poste in essere da Wind Tre sono molto simili a quelle di TIM appena descritte (così come le relative contestazioni dell’AGCOM) e riguardano le offerte da rete fissa della famiglia “Super Fibra”.

Nonostante le iniziative poste in essere da entrambe le imprese sanzionate volte ad attenuare gli effetti delle condotte censurate, le sanzioni imposte dall’AGCOM hanno superato il milione di euro, ricordando a tutte le imprese attive nel settore l’importanza degli obblighi regolamentari “presidiati” dall’autorità di settore. Resta da vedere se la vicenda in parola sfocerà in un (probabile) contenzioso amministrativo.

Chiara Giustiniani
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