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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE/Diritto della concorrenza e mercati digitali – La Commissione pubblica le proposte per il Digital Services Act e Digital Markets Act

La Commissione Europea (Commissione) ha presentato le proprie proposte legislative per due strumenti atti a incrementare le tutele per gli utenti dei servizi digitali (Digital Services Act, DSA) e a introdurre regole ad hoc per le piattaforme digitali c.d. “gatekeeper” (Digital Markets Act, DMA).

Il DSA riconosce il ruolo di sempre maggiore importanza ricoperto dalle imprese che forniscono servizi attraverso internet e intende garantire agli utenti tutele proporzionate a tale importanza e omogenee nel mercato interno. Il DSA prevede regole applicabili alle piattaforme che raggiungono una porzione rilevante della popolazione dell’Unione (il 10%, ovverosia 45 milioni di utenti). Tali regole riguardano in primo luogo le responsabilità delle piattaforme in relazione alla predisposizione di: processi adeguati all’individuazione e la rimozione di beni, servizi o contenuti illegali trasmessi attraverso le piattaforme stesse; misure per incrementare la trasparenza degli algoritmi che raccomandano contenuto agli utenti; e nuovi obblighi di tracciabilità degli utenti dei marketplace online che aiutino a combattere il commercio di beni o servizi illegali.

Il DMA, invece, ha l’obiettivo di migliorare la concorrenza nei mercati digitali introducendo norme applicabili ai gatekeeper. In particolare, il DMA identifica come gatekeeper le imprese che:
(i) offrono online “servizi di piattaforma”, che includono servizi di intermediazione, ricerca, social networking, condivisione di video e simili;
(ii) hanno un impatto significativo sul mercato interno, presunto se l’impresa ha conseguito nello SEE un fatturato di almeno 6,5 miliardi di euro in ciascuno degli ultimi tre anni fiscali, o una capitalizzazione o un valore di mercato di almeno 65 miliardi di euro nell’ultimo anno fiscale, ed è attiva in almeno tre Stati membri;
(iii) costituiscono un importante gateway, ossia un passaggio obbligato, per gli utenti commerciali della piattaforma che desiderano raggiungere i propri utenti; e
(iv) detengono o prevedibilmente deterranno una posizione stabile e durevole nel mercato.

In questi casi, il DMA propone di applicare ex ante una lista di obblighi e divieti mirati, da un lato, a prevenire le condotte che negli ultimi anni si sono – secondo la Commissione – dimostrate più idonee a causare distorsioni concorrenziali sui mercati digitali, tra cui in particolare il self-preferencing (ossia la scelta di un’impresa che contemporaneamente gestisce e utilizza una piattaforma di mettere in maggiore evidenza i propri prodotti o contenuti rispetto a quelli degli altri utenti) e la combinazione di banche dati ottenute attraverso fonti diverse o attraverso la raccolta dei dati generati dagli utenti della piattaforma che si opera. Il DMA imporrebbe altresì pratiche che secondo la Commissione favorirebbero la concorrenza nei mercati digitali, riducendo le barriere all’ingresso per i nuovi entranti e abbassando gli switching cost per gli utenti, tra cui ad esempio l’obbligo di interoperabilità con altri sistemi informatici, quello di offrire la portabilità dei dati degli utenti e l’accesso ai dati a termini c.d. FRAND (ossia secondo modalità eque e non discriminatorie).

DSA e DMA costituiscono attualmente una proposta ufficiale della Commissione e non diventeranno giuridicamente vincolanti finché non saranno discussi dal Parlamento e dagli Stati Membri nell’ambito del procedimento legislativo, che naturalmente potrebbe comportare una serie di modifiche al testo proposto dalla Commissione. Il discorso relativo alla proposta ha già coinvolto oltre 3000 stakeholders che hanno partecipato al processo di consultazione e il dibattito è estremamente vivace. In particolare, devono essere affrontate numerose criticità, tra cui la difficoltà nell’individuare confini oggettivi nella definizione di gatekeeper (sia in ottica di certezza del diritto sia di omogeneità di applicazione della norma), la difficoltà di affrontare con un meccanismo statico come l’elenco ex ante di divieti e di obblighi oggetto della proposta della Commissione le complessità e la dinamicità dei mercati digitali, nonché il coordinamento con varie iniziative portate avanti dagli Stati Membri.

Riccardo Fadiga
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Concentrazioni e mercati digitali – La Commissione europea autorizza (con misure correttive) l’acquisizione di Fitbit da parte di Google

Con il comunicato stampa del 17 dicembre, la Commissione europea (Commissione) ha confermato di aver autorizzato l’acquisizione di Fitbit, Inc (Fitbit o Target) da parte di Google LLC (Google) assoggettandola a una serie di misure correttive.

L’operazione, comunicata alla Commissione il 15 giugno 2020, è stata autorizzata a seguito di un’articolata istruttoria. Sulla base di quanto riportato nel comunicato stampa, la Commissione ha manifestato preoccupazioni concorrenziali relative a tre distinti mercati:

Mercato della pubblicità online. La Commissione osserva che, tramite la Target, Google acquisirebbe (i) il database di Fitbit e (ii) la tecnologia per sviluppare un database simile a quello di Fitbit. Di conseguenza, Google incrementerebbe il volume di dati di cui già dispone a fini di personalizzazione del contenuto pubblicitario proposto agli utenti. Ad avviso della Commissione, ciò potrebbe comportare un innalzamento delle barriere all’ingresso ed all’espansione nel mercato della pubblicità online e ciò renderebbe più difficile per i concorrenti di Google replicare i servizi offerti da quest’ultima nell’ecosistema digitale sia nell’online search advertising, sia nell’online display advertising.
Application Programming Interface (API) nel settore della digital healthcare. Numerosi operatori del mercato della digital healthcare hanno accesso a dati in materia di salute e fitness degli utenti della Target tramite un’API proprietaria di Fitbit – le API sono set di protocolli con cui vengono realizzati ed integrati software applicativi. La preoccupazione della Commissione è che, a seguito dell’operazione, Google potrebbe implementare strategie escludenti volte a rendere più difficoltoso l’accesso di terze parti all’API di Fitbit. Tali condotte pregiudicherebbero soprattutto le start up.
Mercato dei dispositivi digitali da polso. La Commissione ha espresso la preoccupazione che, a seguito dell’operazione, Google agisca a danno dei produttori di dispositivi elettronici da polso, degradando l’interoperabilità dei dispositivi di terze parti con gli smartphone Android.

Per converso, la Commissione ha espressamente escluso che rientrino nel perimetro della propria valutazione in materia di controllo delle concentrazioni le preoccupazioni sollevate dagli operatori che hanno osservato che l’operazione potrebbe rendere più difficoltoso per gli utenti il tracciamento dell’uso dei propri dati da parte di Google. Ad avviso della Commissione, tale preoccupazione è comunque adeguatamente affrontata dalle previsioni del GDPR in materia di tutela dei dati personali, con particolare riguardo alla necessità del consenso dell’utente all’utilizzo dei propri dati personali per fini commerciali.
Come anticipato, la Commissione ha autorizzato l’operazione subordinandola a una serie di misure correttive. In particolare, Google si è impegnata a:

• (i) non utilizzare a beneficio di Google Ads i dati degli utenti raccolti tramite dispositivi Fitbit; (ii) garantire la separazione (tramite i c.d. silo) tra i dati degli utenti Fitbit e quelli ottenuti tramite altri business Google; (iii) garantire che gli utenti abbiano una effettiva possibilità di negare accesso ai propri dati Fitbit ad altri servizi Google come Google Search, Google Maps e YouTube;
• garantire a terze parti accesso gratuito ai dati degli utenti di Fitbit, a condizione che questi ultimi abbiano espressamente prestato il necessario consenso; nonché
• continuare a garantire piena interoperabilità dei dispositivi di terze parti con gli smartphone Android. In particolare, al fine di evitare che Google possa aggirare tale divieto tramite il rilascio di aggiornamenti/nuove funzionalità, la Commissione ha richiesto che Google a tutte le future API che vengano rese disponibili a sviluppatori terzi su smartphone Android. Inoltre, Google si è impegnata a non discriminare utenti di dispositivi da polso diversi da Fitbit tramite display di messaggi di errore, warning e richieste di autorizzazione pretestuose sul sistema operativo Android.

La durata dei rimedi imposti a Google è di dieci anni (prorogabili per ulteriori dieci anni). Un monitoring trustee è stato nominato al fine di verificare che Google agisca coerentemente a quanto promesso. Come prevedibile, si sono levate molte critiche legate tra l’altro alla possibilità di monitorare adeguatamente il rispetto di tali impegni comportamentali e sembrerebbe ragionevole aspettarsi ricorsi da parte di terzi interessati avverso la decisione una volta che il testo sarà reso disponibile.

Luca Villani
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Contenzioso antitrust e Direttiva Danni– La Commissione pubblica un report sui primi anni di applicazione in concreto della Direttiva Danni

In data 14 dicembre 2020, la Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato un report (il Report) relativo allo stato di attuazione, sei anni dopo la sua entrata in vigore (26 novembre 2014), della Direttiva 2014/104/UE (la Direttiva Danni).

Più nello specifico, l’articolo 20 della Direttiva Danni aveva imposto alla Commissione di riesaminarla e di presentare una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio entro il 27 dicembre 2020, accompagnata eventualmente da una nuova proposta legislativa.

In proposito, la Commissione ha preliminarmente reso noto di non disporre di elementi sufficienti per una valutazione esaustive della Direttiva Danni. Questo a causa di vari motivi. In primo luogo, ben 21 Stati membri hanno attuato la Direttiva Danni solo dopo il termine ultimo del 27 dicembre 2016. Poiché le disposizioni sostanziali della Direttiva Danni non possono trovare applicazione retroattiva, le misure nazionali di attuazione di tali norme hanno trovato applicazione al più presto a partire dalla data in cui le rispettive disposizioni nazionali di attuazione sono entrate in vigore, non rendendo possibile una valutazione della loro efficacia in concreto, anche tenuto conto delle tempistiche che caratterizzano il contenzioso civile.

La Commissione si è pertanto limitata una breve panoramica dell’attuazione delle principali norme della Direttiva Danni negli Stati membri e delle varie azioni che la Commissione ha intrapreso per sostenere lo sviluppo delle azioni di risarcimento danni in Europa (tra cui le Linee Guida sul passing on). La Commissione ha osservato che il numero delle azioni di risarcimento del danno sembra essersi quasi quintuplicato rispetto al 2014 e sicuramente continuerà a crescere quando le norme sostanziali della maggior parte dei testi attuativi della Direttiva Danni potranno trovare attuazione ratione temporis.

Per quanto non si sia potuta presentare una vera e propria relazione al Parlamento europeo e al Consiglio, il Report può ben considerarsi un punto di riferimento, seppur deludente, per l’analisi del private antitrust enforcement e della Direttiva Danni, i cui effetti stanno diventando, per quanto lentamente, sempre più evidenti.

Mila Filomena Crispino
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Regole di federazioni sportive e settore del pattinaggio – Il Tribunale conferma che le norme dell’Unione internazionale di pattinaggio sono contrarie al diritto UE a tutela della concorrenza

Con la sentenza pubblicata lo scorso 16 dicembre, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha confermato la decisione della Commissione europea (Commissione) secondo cui le norme dell'International Skating Union (‘Unione internazionale di pattinaggio’, ISU) in materia di partecipazione degli atleti alle gare costituiscono restrizioni “per oggetto” della concorrenza ex art. 101 TFUE.

L'ISU è la sola federazione sportiva internazionale riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale investita, a livello mondiale, di una funzione di regolamentazione del pattinaggio di figura e di velocità. L'ISU si occupa tra l’altro dell’organizzazione di gare di pattinaggio di velocità nell'ambito delle più importanti competizioni internazionali, come i campionati europei e mondiali e i giochi olimpici invernali.

Nel 2014, l’ISU non ha autorizzato la competizione di pattinaggio di velocità organizzata dalla società coreana Icederby International Co. Ltd. (Icederby) a Dubai, la quale prevedeva un formato nuovo per alcune gare. Icederby non è quindi riuscita a coinvolgere i pattinatori professionisti, i quali erano esposti, ai sensi dello statuto dell’ISU vigente in quel periodo, alla sanzione dell’esclusione a vita da qualsiasi competizione organizzata dall'ISU in caso di partecipazione ad una competizione non autorizzata. Icederby è quindi stata costretta ad abbondare il progetto.

In seguito alla denuncia presentata da due pattinatori professionisti olandesi, la Commissione ha ritenuto nel 2017 che le citate norme dello statuto dell’ISU costituissero una decisione di un’associazione di imprese incompatibile con l’articolo 101 TFUE in quanto limitavano le possibilità degli atleti di partecipare a gare internazionali organizzate da terzi e impedivano a tali terzi di avvalersi dei servizi di pattinatori professionisti, ritenuti necessari per organizzare le competizioni.

L’ISU ha proposto un ricorso contro tale decisione dinanzi al Tribunale, il quale ha ritenuto che la Commissione avesse correttamente concluso che la normativa dell’ISU avesse lo scopo di restringere la concorrenza ai sensi dell’articolo 101 e configurasse una restrizione della concorrenza “per oggetto”.

In primo luogo, il Tribunale ha esaminato il contenuto delle norme dell’ISU, osservando che queste non esplicitavano alcun obiettivo legittimo e non prevedevano chiari criteri di autorizzazione di competizioni organizzate da soggetti terzi. Di conseguenza, il Tribunale ha dichiarato che tali norme attribuivano all’ISU un margine di discrezionalità troppo ampio.

Il Tribunale ha quindi censurato il sistema sanzionatorio per gli atleti previsto dall’ISU (che prevedevano la possibilità di un’esclusione a vita), ritendendolo sproporzionato anche dopo la mitigazione del regime intervenuta nel 2016.

Per quanto riguarda gli obiettivi asseritamente perseguiti dalle norme in materia di ammissibilità, l’ISU aveva sottolineato la necessità di evitare i rischi di manipolazione delle competizioni derivanti dalle scommesse sportive e di garantire la conformità delle competizioni sportive a standard uniformi. In proposito, il Tribunale ha ricordato che la tutela dell'integrità dello sport costituisce un obiettivo legittimo riconosciuto dall'articolo 165 TFUE. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che le norme adottate dall'ISU andassero oltre quanto necessario per raggiungere siffatti obiettivi e, pertanto, non fossero proporzionate.

Alla luce di tutte tali considerazioni, il Tribunale confermato la decisione della Commissione.

Si tratta di una sentenza di grande interesse per il mondo dello sport professionistico, poiché riguarda la prima decisione della Commissione che constata che le regole di una federazione sportiva violano il divieto di intese restrittive della concorrenza ex art. 101 TFUE. Si segnala, tuttavia, che l’AGCM era già intervenuta più volte nel contesto di simili limitazioni (l’ultimo caso nel contesto dell’organizzazione di manifestazioni equestri, esaminato nella Newsletter del 21 ottobre 2019).

Luigi Eduardo Bisogno
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Diritto della concorrenza Italia/Pagamento delle sanzioni e dispositivi metallici di sicurezza stradale – Il Consiglio di Stato respinge l’appello di Turbosider negando la revisione della sanzione in ragione della crisi del settore

Con la sentenza n. 5900 del 10 dicembre 2020 (la Sentenza), il Consiglio di Stato (CdS), rigettando l’appello proposto da Turbosider S.p.A. (Turbosider) avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR), ha confermato il provvedimento con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha respinto un’istanza di revisione in autotutela per la riduzione della sanzione irrogata nel 2012 nei confronti di Turbosider per avere posto in essere insieme ad altre società una pratica concordata nel mercato nazionale dei dispositivi metallici di sicurezza stradale.

Con la Sentenza, il CdS ha inoltre respinto l’impugnazione delle “Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall'Autorità in applicazione dell'articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90”, nella misura in cui non prevedano un obbligo di rideterminazione della sanzione in caso di circostanze eccezionali e straordinarie coinvolgenti il mercato di riferimento e/o la situazione economico finanziaria dell'operatore economico interessato.

In primo luogo, il CdS ha ribadito che non “sussiste alcun obbligo per l’amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela”, potere che invece è esercitabile in via discrezionale d’ufficio.

In secondo luogo, il CdS ha osservato che “il peggioramento della situazione finanziaria non può incidere sulla legittimità, esecutività e definitività della sanzione precedentemente accertata, irrogata e confermata”. Infatti, tale obbligo non risulta dalla normativa e dalle linee guida applicabile, né è stato individuato dai precedenti giurisprudenziali europei e nazionali, che considerano parametri rilevanti per la determinazione della sanzione esclusivamente quelli sussistenti al momento in cui la sanzione è stata irrogata. Secondo il CdS, non potrebbe essere altrimenti: infatti, consentire la continua revisione della sanzione annullerebbe sia l’effetto preventivo che lo stesso effetto sanzionatorio delle norme sulla concorrenza. Infine, consentire la revisione di una sanzione resa definitiva ed esecutiva da un giudizio di impugnazione rischierebbe di introdurre nell’ordinamento “una sorta di inammissibile quarto grado di giudizio”, con pericolose conseguenze per un principio fondamentale come quello di certezza del diritto.

La sentenza in commento, dunque, non ritiene di deviare dai precedenti nemmeno in considerazione di circostanze eccezionali, riservando – com’era del resto prevedibile – il ricorso all’autotutela a una scelta discrezionale dell’Amministrazione.

Guido Bellenghi
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Intese e commissioni interbancarie – L’AGCM avvia un’istruttoria nei confronti di Bancomat S.p.A. per valutare la proposta del modello di remunerazione per le operazioni di prelievo in circolarità.

Con il provvedimento  n. 28465 dello scorso 1° dicembre 2020, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un’istruttoria (il Procedimento) nei confronti di Bancomat S.p.A. (Bancomat) al fine di accertare se il nuovo progetto di remunerazione per le operazioni di prelievo in circolarità con Carta Bancomat costituisca o meno una violazione dell’Art. 101 TFUE. Le operazioni in circolarità sono quelle per cui il titolare di una carta di pagamento può effettuare operazioni presso gli sportelli automatici (c.d. ATM) o pagamenti su Point of Sales (c.d. POS) di qualsiasi gestore e ovunque nel mondo.

Bancomat, è la società che gestisce i circuiti di prelievo e pagamento Bancomat e Pagobancomat, nonché le relative carte utilizzabili per prelievi presso gli ATM e per pagamenti POS. Il capitale sociale di Bancomat è distribuito tra 125 soggetti, tra cui Intesa San Paolo (che ne detiene circa il 25%), Unicredit S.p.A. (19%) e ICCREA S.p.A. (11,5%).

La decisione di avviare il Procedimento ha origine a seguito di una comunicazione volontaria effettuata da Bancomat lo scorso 22 ottobre 2020, con la quale la società ha informato l’AGCM di un progetto relativo a un nuovo modello di remunerazione per le operazioni di prelievo in circolarità con carta Bancomat (la Comunicazione).

Ad oggi, il servizio di prelievo è infatti soggetto a una remunerazione che consiste in una commissione interbancaria multilaterale (c.d. MIF): per ogni operazione di prelievo in circolarità, la banca emittente della carta addebita sul conto corrente del proprio cliente la somma prelevata e accredita la stessa somma alla banca proprietaria dello sportello ATM dove è stato effettuato il prelievo. La banca proprietaria dello sportello ATM ottiene poi dalla banca emittente una commissione interbancaria di 50 centesimi di euro. L’attuale sistema era stato proposto proprio da Bancomat nel contesto di un precedente procedimento istruttorio dell’AGCM del 2010, conclusosi con l’accettazione di impegni offerti dall’’allora Consorzio Bancomat.

Con la Comunicazione, Bancomat ha reso noto di voler introdurre un modello alternativo rispetto a quello attuale. Nello specifico, si prevede la sostituzione delle commissioni interbancarie fisse di 50 centesimi con l’applicazione al titolare della carta di una eventuale commissione definita autonomamente da ciascuna banca proprietaria di ATM. Tale commissione sarebbe resa nota al titolare della carta prima dell’autorizzazione al prelievo.

Bancomat ha giustificato la necessità di tale nuovo modello sulla base di due principali fattori: (i) l’aumento dei costi sostenuti dalle banche nella gestione degli ATM, legati all’evoluzione tecnologica di tali apparecchiature e ai maggiori rischi collegati ad iniziative fraudolente più sofisticate (aggiungendo che, in molti casi, tali costi sarebbero addirittura maggiori rispetto all’ammontare della commissione interbancaria); e (ii) il nuovo sistema incentiverebbe maggiori investimenti da parte dei proprietari degli ATM sulle relative apparecchiature, a beneficio dei consumatori.

L’AGCM ha sottolineato che le regole di circuito sottoposte da Bancomat costituiscono un’intesa fra soggetti concorrenti, ossia banche ed operatori finanziari aderenti al Circuito Bancomat, ritenendo dunque opportuna l’apertura del Procedimento al fine di verificare se le nuove regole di circuito possano configurare un’intesa suscettibile di restringere o falsare la concorrenza nel mercato comune ai sensi dell’articolo 101 del TFUE. In tale ipotesi, l’AGCM valuterebbe le eventuali efficienze derivanti dall’adozione del nuovo sistema, i riflessi sui consumatori di tali efficienze e l’indispensabilità delle nuove regole per conseguire queste efficienze, al fine di verificare se la restrizione alla concorrenza sia da considerarsi giustificata o meno.

Luca Casiraghi
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