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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Abusi e settore delle telecomunicazioni – La Corte di Giustizia conferma l’abuso di Slovak Telekom e Deutsche Telekom sulle richieste di disaggregazione della rete

Con le due sentenze dello scorso 25 marzo (le Sentenze), la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha respinto in toto i ricorsi presentati dalle società Slovak Telekom AS (Slovak) e Deutsche Telekom AG (DT) (congiuntamente, le Ricorrenti), in cui richiedevano l’annullamento delle rispettive sentenze del Tribunale dell’UE (il Tribunale) del 13 dicembre 2018 (già oggetto di commento su questa Newsletter). Con tali pronunce il Tribunale aveva parzialmente respinto le numerose doglianze avanzate dalle Ricorrenti avverso la decisione – emanata dalla Commissione europea (Commissione) in data 15 ottobre 2014 (anch’essa già oggetto di commento su questa Newsletter) – con cui erano stato sanzionate con quasi €70 milioni per aver violato l’articolo 102 TFUE (la Decisione).

La vicenda prende avvio dalla decisione maturata da parte dell’Autorità slovacca per le telecomunicazioni (TUSR) di indicare Slovak quale operatore prevalente sul mercato nazionale delle telecomunicazioni e, conseguentemente, di imporre a quest’ultima di accogliere tutte le richieste – purché ragionevoli e giustificate – di disaggregazione della sua rete pervenute da operatori concorrenti, al fine di permettere a quest’ultimi l’utilizzo della rete stessa per la presentazione della propria offerta di servizi di accesso ad internet a banda larga in Slovacchia. Come sottolineato dalla Commissione, in risposta a tale obbligo regolamentare, Slovak (congiuntamente a DT, in qualità di controllante) avrebbe adottato una condotta abusiva tra il 2005 ed il 2010 consistita, in primis, nell’occultamento ai suddetti operatori delle informazioni di sistema necessarie a garantire la disaggregazione richiesta; in secondo luogo, nella riduzione degli obblighi regolamentari di disaggregazione a questa imposti dal TSUR; in terzo luogo, nella “fissazione di modalità e condizioni inique” nell’offerta di disaggregazione relativamente alla co-ubicazione, qualificazione, alle previsioni, riparazioni e garanzie bancarie; e, infine, nell’imposizione di tariffe inique per il relativo accesso. Successivamente all’impugnazione presentata da Slovak e DT nel 2014, nel 2018 il Tribunale aveva respinto quasi tutti i motivi di ricorso da queste avanzati, accogliendo tuttavia (in parte) l’argomentazione secondo cui la Commissione non avrebbe fornito prova adeguata circa il fatto che le Ricorrenti avessero effettivamente attuato una pratica di compressione dei margini (c.d. ‘margin squeeze’) tra il 12 agosto e il 31 dicembre 2005 (e, così rideterminando leggermente l’ammontare della sanzione).

Relativamente, invece, al ricorso dinnanzi alla CGUE oggetto del presente commento, le Ricorrenti hanno presentato tre motivi di ricorso in comune: con il motivo (i) le Parti hanno lamentato il fatto che il Tribunale avrebbe erroneamente qualificato le restrizioni apportate da Slovak all’accesso alla sua rete come pratica abusiva ex articolo 102 TFUE; con i rimanenti motivi (ii) e (iii), invece, Slovak e DT hanno concentrato le relative doglianze sul fatto che la Commissione (e, conseguentemente, il Tribunale) avrebbe valutato in maniera asseritamente errata la sussistenza di un’effettiva compressione dei margini da parte delle Ricorrenti stesse sui soggetti a valle nel mercato slovacco delle telecomunicazioni, nonché del fatto che avrebbe su quest’ultime l’onus probandi relativo, mancando di fornire prova adeguata.

Data la rilevanza dell’argomentazione, si reputa opportuno in questa sede soffermarsi esclusivamente sul primo dei suesposti motivi di ricorso. Ad avviso delle Ricorrenti, infatti, il Tribunale sarebbe incorso in un “grave errore di diritto” nel confermare l’approccio precedentemente adottato dalla Commissione, la quale – contrariamente a quanto suggerito dalla giurisprudenza in materia (cfr. caso Bronner) – ha considerato non necessario provare l’indispensabilità dell’accesso alla rete di Slovak per gli operatori concorrenti al fine di dimostrare l’uso abusivo della posizione di dominanza da questa detenuta, in quanto quest’ultima era già soggetta a relativo obbligo regolamentare. Sul punto, la CGUE ha sottolineato come la causa che ha dato luogo alla sentenza Bronner si instaurava su premesse fattuali sensibilmente differenti rispetto al caso in esame. Infatti, il caso citato concerneva un diniego tout court da parte del proprietario dell’unico sistema di recapito a domicilio di quotidiani esistente in Germania, con l’effetto che un siffatto diniego privava effettivamente i concorrenti di un modo di distribuzione considerato “indispensabile” (in quanto non esisteva altra modalità di distribuzione – realmente o potenzialmente – sostituibile). In ragione di ciò, la CGUE ha sottolineato come un obbligo a contrarre in capo ad una società dominante sia “particolarmente lesivo della libertà di contrattare e del diritto di proprietà” della stessa, la quale rimane in principio libera di sfruttare la propria infrastruttura per esigenze proprie. In caso contrario – ossia qualora si consentisse con troppa facilità l’accesso a un determinato impianto di produzione da parte dei concorrenti – si comporterebbe il verificarsi di un comportamento ‘parassitario’ da parte di quest’ultimi, in quanto non incentivati a creare impianti concorrenti. Alla luce di quanto detto, la CGUE ha pertanto giustificato l’imposizione di un obbligo ad un’impresa dominante di concedere l’accesso alla propria infrastruttura solo nel caso in cui quest’ultima “disponga di una vera e propria supremazia nel mercato interessato”.

Nel caso oggetto di commento, la CGUE ha concentrato la propria analisi sul fatto che Slovak ha concesso l’accesso alla propria infrastruttura subordinandolo, tuttavia, a condizioni inique ed imponendo compressioni di margini agli operatori concorrenti in un mercato a valle. Alla luce di tali ulteriori elementi, infatti, la CGUE in linea con la casistica (cfr. TeliaSonera e Telefónica) ha, in primis, sottolineato come la mancanza della natura indispensabile di una infrastruttura non “è di per sé determinante ai fini dell’esame di comportamenti potenzialmente abusivi da parte di un’impresa dominante” e, in ultimo, ha, considerato non applicabili le condizioni d’analisi di cui alla pronuncia Bronner, rigettando così il suddetto motivo e riconoscendo la bontà del ragionamento del Tribunale (e, quindi, della Commissione).

La sentenza in esame – di evidente interesse in tema di abusi nel settore delle telecomunicazioni – conclude un lungo iter giuridico avviato, come detto, nel 2014 fornendo un ulteriore spunto di riflessione sull’abuso di posizione dominante applicato al concetto di ‘essential facility’.

Luca Feltrin
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Pay-for-delay e settore farmaceutico – La Corte di Giustizia conferma le sanzioni inflitte a varie società farmaceutiche per aver ritardato l’entrata sul mercato di versioni generiche dell’antidepressivo citalopram

Con le sentenze pubblicate lo scorso 25 marzo, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha respinto i ricorsi di varie aziende farmaceutiche (Sun Pharmaceutical Industries e RanbaxyGenerics (UK)Lundbeck, Arrow GroupXellia Pharmaceuticals e Alpharma, e Merck) avverso le sentenze del Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) che avevano confermato la decisione della Commissione europea (Commissione) con la quale erano state sanzionate per circa 150 milioni di euro per aver concluso degli accordi finalizzati a ritardare l’immissione in commercio di farmaci generici equivalenti all’antidepressivo citalopram.

Nel 1977, Lundbeck aveva presentato la domanda di brevetto per il principio attivo citalopram (scaduto tra il 1994 e il 2002 nei diversi paesi UE), a cui sono susseguiti una lunga serie di domande di brevetti di procedimento negli anni successivi. Nel 2002, Lundbeck aveva quindi concluso sei accordi con quattro imprese attive nella produzione di medicinali generici con i quali, formalmente al fine di evitare una controversia in materia brevettuale, i genericisti si impegnavano a non vendere citalopram generico e a cedere le loro scorte, in cambio di pagamenti ingenti da parte di Lundbeck.

Su segnalazione dell’autorità danese della concorrenza, la Commissione aveva cominciato ad indagare sulla compatibilità di tali accordi con il diritto della concorrenza. Con la decisione del giugno 2013, la Commissione ha ritenuto che gli accordi contenevano restrizioni che esulavano dall’ambito di applicazione dei brevetti di Lundbeck e che, pertanto costituivano restrizioni della concorrenza per oggetto, ai sensi dell’art. 101 TFUE. La Commissione ha quindi inflitto un’ammenda di € 93,7 milioni a Lundbeck, e di € 52,2 milioni ai genericisti.

A seguito della successiva impugnazione le imprese farmaceutiche si sono viste respingere i propri ricorsi al Tribunale nel settembre del 2016. Le medesime tuttavia hanno deciso di appellare tali sentenze, chiedendo nuovamente l’annullamento della decisione della Commissione. Con le sentenze in esame, la CGUE ha respinto nuovamente l’insieme dei ricorsi, confermando le sanzioni inflitte.

In primo luogo, la CGUE ha avvallato la valutazione del Tribunale secondo la quale Lundbeck e i produttori di medicinali generici fossero almeno concorrenti potenziali. La CGUE ha ritenuto che, tenendo debitamente conto dei vincoli normativi e dei brevetti propri del settore farmaceutico, occorre stabilire se, alla data di conclusione degli accordi, il produttore di medicinali generici abbiano la ferma determinazione nonché la capacità di fare ingresso nel mercato e non debba affrontare ostacoli di natura insormontabile. In proposito, il Tribunale aveva ritenuto correttamente che i nuovi brevetti di procedimento di Lundbeck non costituissero barriere insormontabili (esistevano altri processi per produrre citalopram generico) per i produttori di medicinali generici, i quali erano pronti a entrare nel mercato e avevamo effettuato investimenti ingenti a tal fine. La CGUE ha sottolineato, inoltre, che la Commissione avesse legittimamente preso in considerazione, quali elementi supplementari, le valutazioni soggettive del rischio di Lundbeck in relazione al potenziale ingresso dei produttori di medicinali generici.

In secondo luogo, la CGUE ha dichiarato che il Tribunale avesse correttamente concluso che gli accordi controversi costituissero restrizioni della concorrenza “per oggetto”. A tale riguardo, la CGUE ha precisato che la conclusione circa la esistenza di una restrizione “per oggetto” deve essere accolta qualora il prezzo della transazione trova “… trova unicamente spiegazione nell’interesse commerciale sia del titolare del brevetto […] sia del presunto contraffattore a non farsi concorrenza in base ai meriti”. Ciò avviene, in particolare, quando il saldo positivo netto dei pagamenti è sufficientemente alto da indurre effettivamente il produttore di medicinali generici a rinunciare a entrare nel mercato interessato.

La CGUE ha ritenuto infondata la difesa di Lundbeck, secondo cui si sarebbe limitata a esercitare e far valere i propri diritti di proprietà intellettuale. La CGUE ha sottolineato che gli accordi di Lundbeck andavano ben oltre il proprio diritto di opporsi alle contraffazioni (che non dovrebbe eccedere la portata e la durata di validità residua di tale brevetto), essendo volti a pagare i genericisti per non farli entrare sul mercato. In particolare, emergeva dalle clausole degli accordi che i genericisti si impegnavano a cessare la vendita di qualsiasi tipo di citalopram per la durata dell’accordo, e non soltanto di quello ritenuto potenzialmente contraffatto alla luce dei brevetti di procedimento di Lundbeck. Si noti, in ogni caso, che la CGUE ha confermato le conclusioni del Tribunale secondo cui, indipendentemente dal fatto che le restrizioni imposte derivassero o meno dall’ambito di applicazione dei brevetti della Lundbeck, queste sarebbero nonostante tutto anticoncorrenziali per oggetto, dato che non era dimostrato che il citalopram prodotto dalla violasse uno dei brevetti, i genericisti avevano espressamente contestato che i prodotti generici fossero contraffatti e le restrizioni della loro autonomia commerciale erano state indotte da ingenti pagamenti invertiti, che ne costituivano la contropartita.

La CGUE ha poi respinto l’argomento secondo cui, tenuto conto della novità e della complessità delle fattispecie, la Commissione non avrebbe potuto sanzionare le imprese senza violare il principio della certezza del diritto. In proposito, la CGUE ha ricordato che ciò che rileva è solo determinare se un’impresa è in grado di stabilire che il suo comportamento aveva carattere anticoncorrenziale, mentre non è decisivo verificare se questa medesima impresa aveva effettivamente constatato tale carattere della propria condotta. Secondo la CGUE, il tenore letterale dell’art. 101 TFUE e la giurisprudenza in relazione ai diritti di proprietà intellettuale non poteva lasciare dubbi sull’illegittimità di tali accordi. In virtù della conseguente prevedibilità di una sanzione, non poteva configurarsi nemmeno una violazione del principio di determinatezza della legge applicabile, garantito dall’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Infine, la CGUE ha respinto le argomentazioni di Xellia Pharmaceuticals e Alpharma, secondo cui la durata irragionevole del procedimento amministrativo (l’accordo con Lundbeck era stato firmato nel 2002 e la Commissione ha aperto un’indagine solo nel 2012) aveva comportato una violazione dei loro diritti di difesa, in quanto non disponevano più di documenti utili che avrebbe potuto scagionarli. La CGUE ha infatti ritenuto che, tenuto conto dell’indagine settoriale nel campo dei medicinali generici avviata dalla Commissione nel 2008, su tali società incombeva in ogni caso un dovere di prudenza, che imponeva loro di assicurare la conservazione di documenti utili al fine di disporre di prove necessarie nell’eventualità di azioni amministrative o giudiziarie.

La sentenza in esame riveste particolare interesse perché definisce i criteri per ritenere quando una transazione tra una impresa farmaceutica “originator” e i produttori di farmaci generici possa costituire una violazione del diritto della concorrenza.

Luigi Eduardo Bisogno
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Concentrazioni e settore dell’ottica – La Commissione approva con condizioni l’acquisizione di GrandVision da parte di EssilorLuxottica

Con il comunicato stampa dello scorso 23 marzo 2021, la Commissione europea (la Commissione), al termine di un’istruttoria avviata nel febbraio 2020, ha comunicato di aver approvato condizionatamente l’operazione di acquisizione (l’Operazione) di GrandVision (GrandVision), impresa attiva a livello globale nei mercati per il commercio al dettaglio di prodotti ottici e per la fornitura di servizi oculistici, da parte di EssilorLuxottica S.A. (EssilorLuxottica), multinazionale franco-italiana attiva in tutte le fasi della produzione e della vendita di lenti oftalmiche, occhiali e prodotti ottici (congiuntamente, le Parti).

L’Operazione era stata inizialmente notificata alla Commissione il 23 dicembre 2019, a seguito della conclusione, in data 30 luglio 2019, di un Block Trade Agreement ai sensi del quale EssilorLuxottica avrebbe acquistato da HAL Optical Investments B.V. il 76,72% delle azioni ordinarie di GrandVision, acquisendone anche il controllo esclusivo.

Successivamente, nel febbraio 2020, la Commissione ha deciso di avviare un’istruttoria (c.d. fase II) in quanto, a seguito di una prima verifica di mercato, erano emersi alcune criticità potenziali derivanti dalla concentrazione e relative, in particolare, alla combinazione tra la forte posizione di mercato detenuta da EssilorLuxottica nel mercato a monte della fornitura all'ingrosso di lenti ed occhiali, con la posizione di primo piano di GrandVision nel mercato a valle distribuzione al dettaglio di tali prodotti.

Dalle valutazioni svolte nel corso dell’istruttoria, nonché dalle risultanze di una seconda e maggiormente dettagliata analisi di mercato (coinvolgente oltre 4300 ottici operanti in tutta l’Unione europea), la Commissione ha ritenuto che dalla concentrazione potessero derivare due principali problematiche anticoncorrenziali: (i) la prima, di natura essenzialmente verticale, era relativa al fatto che l’entità risultante dalla combinazione avrebbe potenzialmente avuto la capacità di sfruttare la propria posizione rilevante nel mercato a monte della fornitura all’ingrosso di montature per occhiali in Belgio, Italia e Paesi Bassi al fine di rendere maggiormente difficoltoso l’accesso ai propri prodotti da parte dei rivenditori al dettaglio concorrenti nel mercato a valle; e (ii) la seconda, a carattere orizzontale, in base alla quale l’Operazione avrebbe riunito i due maggiori rivenditori al dettaglio attivi in Italia, con una quota aggregata di mercato quasi tre volte maggiore di quella detenuta dal secondo operatore.

Al fine di porre rimedio a tali preoccupazioni, EssilorLuxottica ha presentato un pacchetto di impegni strutturali, ritenuti dalla Commissione idonei, accettando di cedere: (i) la catena di negozi GrandOptical, composta di 35 punti vendita al dettaglio in Belgio; (ii) 174 punti vendita italiani, ossia l’intera catena di negozi “VistaSì” e 72 negozi della catena “GrandVision by”; e (iii) 142 negozi della catena “Eyewish” nei Paesi Bassi.

Per un’analisi dettagliata di quelle che sono state le valutazioni effettuate dalla Commissione in occasione della fase II sarà necessario attendere la pubblicazione del provvedimento finale; è chiaro, comunque, che la decisione in esame sarà destinata ad avere effetti duraturi nei mercati italiani della produzione e della vendita di lenti e occhiali.

Luca Casiraghi
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Diritto della concorrenza Italia / Attività di segnalazione e legge per la concorrenza – L’AGCM invia al Presidente del Consiglio dei Ministri le proprie proposte sul disegno di legge per la concorrenza

Con la segnalazione del 23 marzo 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), ha inviato al Governo le proprie proposte per la predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza.

L’AGCM ha evidenziato in incipit come la ripresa economica successiva alla crisi pandemica e il piano Next Generation EU siano occasioni fondamentali per indirizzare le scelte di Governo verso una complessiva semplificazione e modernizzazione dell’apparato burocratico-amministrativo, che rischierebbe di gravare eccessivamente sugli operatori economici, non permettendo quindi al Paese di godere appieno degli importanti effetti benefici della concorrenza sulla ricrescita economica.

I temi affrontati con riguardo alle problematiche concorrenziali sono molteplici: dalle infrastrutture agli appalti, dalla rimozione delle barriere nel mercato alla sostenibilità ambientale, fino alla tutela della salute e la modifica della l. 287/1990 (legge italiana sulla concorrenza).

Tra le varie raccomandazioni avanzate, l’AGCM ha proposto l’introduzione di un nuovo sistema di notifica solo eventuale per le operazioni di concentrazione c.d. sotto-soglia, ossia che non ricadono nell’obbligo di notifica diretta in quanto le imprese interessate dalla stessa non raggiungono determinati livelli di fatturato. Secondo la proposta dell’AGCM la stessa potrebbe chiedere di notificare un’operazione al ricorrere di certe condizioni, ovvero quando tale operazione (i) rischi di creare un danno per la concorrenza nel mercato nazionale, od una rilevante parte di esso; (ii) sia stata realizzata nei precedenti 6 mesi; e, infine, (iii) ricada in una delle due soglie di fatturato previste dall’art. 16 comma 1, l. 287/90 oppure il fatturato mondiale totale dell’insieme delle imprese sia superiore a 5 miliardi di euro.

In tema di abuso di dipendenza economica, considerando l’emergente potere delle piattaforme digitali, l’AGCM propone di introdurre una presunzione relativa di dipendenza economica nel caso in cui un’impresa utilizzi servizi di intermediazione offerti da una piattaforma digitale come tramite per raggiungere utenti finali, fornitori od accrescere la disponibilità di dati. Nello specifico, tale dipendenza economica si configurerebbe, ex multis, ogni qualvolta tali piattaforme impongono determinate condizioni di acquisto o vendita eccessivamente gravose, oppure caso applichino condizioni oggettivamente diverse per medesime prestazioni.

In materia di condotte unilaterali, e sempre con in mente il settore digitale, l’AGCM ha altresì proposto di prevedere per la stessa il potere di qualificare un’impresa come di “primaria importanza per la concorrenza in più mercati” ove rispetti alcune delle seguenti caratteristiche: (i) possegga una posizione dominante in uno o più mercati; (ii) sia caratterizzata da un grado di integrazione verticale e/o dalla presenza su mercati contigui; (iii) detenga dati rilevanti per la concorrenza; (iv) la sua attività consenta ad imprese terze di accedere ai mercati a valle o a monte; e (v) abbia una influenza sull’attività economica di imprese terze. L’AGCM potrebbe vietare a queste imprese determinate condotte elencate in una c.d. “lista nera” tra le quali, ad esempio, ostacolare l’interoperabilità di beni o servizi o la portabilità di dati oppure ostacolare altre imprese nelle loro attività sui mercati quando le attività dell’impresa di primaria importanza siano rilevanti per l’accesso ai mercati di approvvigionamento o di sbocco, salvo prova che queste condotte siano oggettivamente giustificate.

Infine, è stata proposta sia l’estensione del termine per la conclusione delle attività istruttoria di c.d. fase II in caso di concentrazioni, che diverrebbe di 90 giorni, dagli attuali 45 giorni, sia la possibilità per l’AGCM di sanzionare, al di fuori dei procedimenti istruttori, imprese, soggetti o enti che si rifiutino o che ritardino senza giustificato motivo di fornire documenti o informazioni richieste, cosa ora possibile solo in caso di avvio formale di un procedimento.

Resta ora da vedere se ed in che misura tali proposte saranno considerate meritevoli da parte del Legislatore, tenendo a mente che soltanto nel 2017 le proposte sono state effettivamente recepite.

Luca Campise
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e concessioni autostradali – L’AGCM sanziona Autostrade per l’Italia per i disagi alla circolazione

Con il provvedimento del 16 marzo 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato Autostrade per l’Italia S.p.A. (ASPI o la Società) per aver attuato una pratica commerciale scorretta ai sensi del Codice del Consumo (artt. 20, 22, 24 e 25) essenzialmente per aver creato disagi alla circolazione.

ASPI è titolare della concessione, sino al 31 dicembre 2038, per la gestione e manutenzione di oltre 3.000 km di rete autostradale in Italia. Il procedimento ha avuto ad oggetto le seguenti condotte, attuate prevalentemente tra il 2019 ed il 2020:

- riduzione delle corsie di marcia e/o limitazione della velocità massima consentita su alcuni tratti delle autostrade gestite da ASPI, con conseguente dilatazione dei tempi di percorrenza sui tratti autostradali coinvolti. Solo in un numero limitato di casi, tale disservizio è stato accompagnato da un adeguamento dell’importo richiesto agli utenti a titolo di pedaggio;

- informativa e modalità di rimborso. In particolare, ASPI non ha previsto procedure standardizzate a favore dell’utenza a fini di riduzione, eliminazione o sospensione del pedaggio in caso di disservizi. Le indicazioni sulla procedura di rimborso sono state fornite solo in alcuni casi, con forme di pubblicità inadeguate (es. attraverso pubblicazione dei relativi criteri unicamente nella sezione news del sito web di ASPI) e corredate da spiegazioni non chiare in merito alle modalità per ottenere l’eventuale rimborso (nei casi in cui ciò è stato previsto).

Sulla base di quanto emerso nel corso del procedimento, il peggioramento della qualità del servizio offerto all’utenza è stato causato dalla mancata o insufficiente attuazione, nel corso degli anni, di interventi manutentivi della rete autostradale da parte della Società. Ciò ha portato, in alcune ipotesi (es. autostrade liguri, tra cui A/10 ed A/26), alla necessità di effettuare massicci interventi di manutenzione straordinaria, con conseguenti disagi alla circolazione; in altre ipotesi (es. tratto autostradale A/14 Bologna-Taranto), alla canalizzazione del traffico su altri tratti stradali, anche in conseguenza di provvedimenti assunti da altre autorità (tra cui il sequestro di alcune carreggiate autostradali, considerate non idonee alla circolazione).

Al fine di verificare il disservizio arrecato all’utenza, l’AGCM ha usato il parametro dei tempi medi di percorrenza (TMP) su ciascun tratto interessato, comparando i TMP nel periodo antecedente ai disagi di cui sopra con quelli registrati nel corso del procedimento.

Ad esito dell’istruttoria, l’AGCM ha concluso che le condotte di cui sopra costituiscono una pratica commerciale scorretta. In primo luogo, l’AGCM ha ritenuto che le condotte di ASPI siano contrarie ai canoni di diligenza professionale ed idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dell’utente, che ha usufruito di un servizio di livello non corrispondente al pedaggio corrisposto a causa della prolungata assenza di idonei interventi manutentivi. In particolare, l’AGCM ha ricordato che il dovere di fornire un servizio adeguato all’utenza discende, da un lato, dall’atto concessorio a beneficio di ASPI; dall’altro, esso costituisce la “minima declinazione” del dovere di diligenza che incombe sulla Società, che consiste nel garantire la circolazione di veicoli a fronte del pagamento del pedaggio. In secondo luogo, l’AGCM ha qualificato le condotte rilevanti come pratiche aggressive, in quanto la Società – pur consapevole della ridotta qualità del servizio offerto – ha preteso il pagamento dell’intero pedaggio, ossia di un corrispettivo parametrato sul livello ordinario della prestazione. Infine, ad avviso dell’AGCM, le inadeguate modalità informative relative al rimborso per il disservizio causato costituiscono una condotta ingannevole a danno dell’utenza, che non è stata messa nelle condizioni di comprendere le modalità tramite le quali ottenere ristoro.

In considerazione di quanto sopra, l’AGCM ha irrogato ad ASPI una sanzione pari al massimo edittale (5 milioni di euro). Inoltre, l’AGCM ha imposto ad ASPI la pubblicazione di un estratto del provvedimento sul proprio sito web e su uno tra i quotidiani a maggiore tiratura nazionale.

Luca Villani
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