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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Diritto europeo e sovvenzioni estere – La Commissione propone un nuovo regolamento contro gli effetti distorsivi causati dagli aiuti esteri nel mercato unico

La Commissione europea (la Commissione) ha proposto un nuovo strumento legislativo per rimediare alle distorsioni causate nel mercato unico dalle sovvenzioni pubbliche concesse ad imprese da Stati esteri (il Proposta di Regolamento). La Proposta di Regolamento è il punto di arrivo di un lungo procedimento consultivo volto a cercare di rimediare una lacuna normativa percepita rispetto agli aiuti concessi da Stati esteri, che – diversamente dagli aiuti concessi dagli Stati membri, soggetti a controlli rigorosi da parte delle istituzioni europee – non sono generalmente oggetto di alcun controllo. In particolare, la Proposta di Regolamento fa seguito all’adozione del Libro bianco del giugno 2020 sullo stesso tema e di cui questa Newsletter ha già trattato.

La Proposta di Regolamento prevede tre strumenti per il controllo degli aiuti esteri:

(i) l’obbligo di notificare alla Commissione – autonomamente rispetto alla eventuale notifica ai fini del regime di merger control – delle concentrazioni tra imprese che (i.i) hanno generato un fatturato combinato all’interno dell’Unione superiore ai 500 milioni di euro e (i.ii) hanno ricevuto contributi finanziari superiori a 50 milioni di euro erogati da governi non-UE negli ultimi tre anni; nonché

(ii) un corrispondente obbligo di notifica nell’ambito della presentazione di offerte per appalti pubblici del valore superiore a 250 milioni di euro; e altresì

(iii) il potere ex officio della Commissione di verificare se vi sono state sovvenzioni in grado di incidere sulle dinamiche di mercato – la Commissione menziona a titolo di esempio gli investimenti in nuovi settori ovvero le concentrazioni e gli appalti sotto-soglia.

Deve notarsi che rispetto alla notifica della presentazione di un’offerta per un appalto pubblico (di cui al punto (ii) supra), per evitare di ridurre l’efficienza dei processi di public procurement, ciò non determina la sospensione del procedimento di aggiudicazione. Rispetto alle proposte prefigurate nel libro bianco, non è stato invece riproposto il tema della capacità di sussidi esteri di mettere alcune imprese in una migliore condizione per l’ottenimento di fondi pubblici europei.

Nell’ambito dei controlli ex officio e delle notifiche previste dalla Proposta di Regolamento, la Commissione dovrà valutare se l’esistenza della sovvenzione determini una distorsione del mercato interno basandosi su fattori quali l’ammontare, la natura e la ratio del sussidio, nonché le condizioni e il livello di attività economica dell’impresa e dei mercati interessati (articolo 3), effettuando un bilanciamento tra gli effetti negativi del sussidio e gli effetti positivi sullo sviluppo dell’attività economica interessata (articolo 5). In ogni caso, stando alla lettera della Proposta di Regolamento, la Commissione godrà di ampi margini di discrezionalità nell’esercizio dei poteri ivi previsti. Sembra altrettanto ampia la latitudine dei suoi poteri investigativi, che permetterebbero di “… ricercare ogni informazione consideri necessaria …” per valutare se una misura costituisce una sovvenzione distorsiva del mercato interno, richiedendo informazioni e conducendo ispezioni, anche, in ipotesi, all’esterno dell’Unione, con il consenso dell’impresa e del Paese coinvolto (articolo 8).

Non sorprende, pertanto, che anche i poteri rimediali descritti dalla Proposta di Regolamento risultino particolarmente ampi: dall’imposizione di sanzioni fino al 10% del fatturato combinato delle imprese coinvolte in una concentrazione o in una gara pubblica non notificata o proibita (articoli 25 e 32), alla possibilità di vietare l’aggiudicazione del contratto oggetto di una gara pubblica (articolo 30).

La Proposta di Regolamento descrive un framework strutturato che attribuisce poteri penetranti caratterizzati da ampia discrezionalità, sia nella conduzione delle indagini, sia nella irrogazione di sanzioni pecuniarie e/o nell’imposizione di misure correttive comportamentali e/o strutturali. Inoltre, la Proposta di Regolamento riflette la consapevolezza che l’importante sforzo normativo volto ad assicurare il level playing field all’interno del mercato unico non può che essere viziato irrimediabilmente fintanto che elementi distorsivi originanti dall’esterno del mercato stesso potranno dispiegarvi i propri effetti senza incontrare, quantomeno, un livello di scrutinio analogo a quello a cui sono assoggettati le imprese destinatarie di sussidi all’interno dell’Unione. Anche i commenti dei vertici della Commissione riflettono la medesima consapevolezza di dover porre freno ai “… vantaggi sleali derivanti dalle sovvenzioni [che] rappresentano un flagello per la concorrenza internazionale” (Dombrovskis).

Nell’ambito della procedura legislativa ordinaria dell’Unione, la Proposta di Regolamento sarà ora esaminata dal Parlamento e dagli Stati membri, in vista dell’adozione di un testo definitivo del regolamento, che potrà tenere in considerazione le osservazioni che è nel frattempo possibile far pervenire alla Commissione.

Riccardo Fadiga
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Concentrazioni e obblighi informativi – La Commissione europea ha sanzionato Sigma-Aldrich per aver fornito informazioni scorrette e fuorvianti nel corso dell'indagine sull’acquisizione da parte di Merck

Lo scorso 3 maggio 2021, la Commissione Europea (Commissione) ha comunicato di aver inflitto a Sigma-Aldrich Corporation (Sigma-Aldrich) una sanzione pari a 7,5 milioni di euro per aver fornito informazioni inesatte e fuorvianti nel corso del procedimento di controllo della relativa acquisizione da parte di Merck KGaA (Merck), in violazione dell’art. 14, paragrafo 1, lettera a), del Regolamento (EU) n. 139/2004 sul controllo delle concentrazioni (EUMR). Tale articolo infatti permette alla Commissione di sanzionare, fino all’1% del fatturato, le società che forniscono “… indicazioni inesatte o fuorvianti in una richiesta, dichiarazione, notificazione o integrazione ad una notificazione”.

Il 21 aprile 2015 Merck aveva notificato il proprio progetto di acquisizione di Sigma-Aldrich alla Commissione, la quale aveva approvato la concentrazione il successivo 15 giugno 2015, subordinatamente all’attuazione di impegni adottati da parte di parte di Merck. La Commissione aveva infatti rilevato che l’entità risultante dalla concentrazione avrebbe detenuto, in diversi mercati relativi a prodotti chimici di laboratorio, quote di mercato tali da non poter subire una pressione concorrenziale sufficiente da parte delle altre imprese, con il rischio di un aumento dei prezzi.

Gli impegni proposti da Merck consistevano sostanzialmente nella: (i) cessione di varie attività produttive di Sigma-Aldrich situate in Germania; (ii) dismissione di vari marchi e brand su base mondiale; (iii) concessione di una licenza temporanea del marchio Sigma-Aldrich per la fornitura di solventi e inorganici nello Spazio economico europeo; e nel (iv) trasferimento delle informazioni sui clienti insieme ad una soluzione per garantire un canale temporaneo al mercato.

Nel 2016, a seguito di una segnalazione ricevuta da una terza parte, la Commissione aveva aperto un procedimento volto ad accertare se, in fase di negoziazione degli impegni, Merck e Sigma-Aldrich avessero fornito informazioni inesatte o fuorvianti circa l’esistenza di un progetto innovativo, rilevante e connesso ad un ramo di azienda ceduto nell’ambito degli impegni (il Progetto iCap). Nella comunicazione degli addebiti (c.d. Statement of Objections) trasmesso nel giugno del 2017 (quindi sostituito da un secondo Statement of Objections nel giugno 2020) con il quale la Commissione dichiarava di proseguire il procedimento nei confronti della sola Sigma-Aldrich la Commissione rilevava che, qualora fosse stata a conoscenza del Progetto iCap durante la fase di negoziazione degli impegni l’avrebbe senz’altro incluso nell’oggetto degli stessi. Non essendo avvenuto ciò, secondo la Commissione sarebbe stata alterata la valutazione della redditività e competitività del ramo ceduto.

La Commissione ha pertanto deciso di sanzionare per 7,5 milioni di euro Sigma-Aldrich per tre distinte violazioni dell’art. 14, paragrafo 1, lettera a) dell’EUMR, ossia per aver fornito, quantomeno negligentemente, informazioni incorrette o fuorvianti circa il Progetto iCap in occasione di due risposte a richieste di informazioni, nonché nel documento trasmesso alla Commissione con cui la società illustrava gli impegni offerti. Tuttavia, la Commissione ha chiarito che la decisone di sanzionare Sigma-Aldrich non pregiudica in alcun modo la precedente decisione di approvazione della concentrazione.

Quanto alla determinazione delle sanzioni, la Commissione ha ritenuto che le violazioni commesse da Sigma-Aldrich fossero particolarmente gravi alla luce: (i) della ratio sottesa dall’obbligo di fornire informazioni corrette e non fuorvianti nei procedimenti di controllo delle concentrazioni, in quanto esso è fondamentale per garantire l’efficace funzionamento di tale sistema; (ii) del chiaro collegamento tra il Progetto iCap ed il ramo d’azienda oggetto degli impegni; e (iii) del fatto che Sigma-Aldrich era l’unica a poter offrire alla Commissione informazioni corrette e pertinenti sul Progetto iCap, in quanto di natura segreta.

La decisione in commento rappresenta solamente il terzo caso di sanzioni inflitte per aver fornito informazioni incorrette o fuorvianti da quando è entrata in vigore la EUMR. In precedenza, la Commissione aveva sanzionato, per le medesime ragioni, General Elettric per 52 milioni di euro e Facebook per 110 milioni di euro, in relazione, rispettivamente, alle acquisizioni di LM Wind e Whatsapp.

Luca Casiraghi
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Abusi e settore del tech – La Commissione accusa Apple di abusare della propria posizione dominante attraverso l’App Store

Il 30 aprile scorso, la Commissione europea (Commissione) ha annunciato di aver inviato una comunicazione degli addebiti (c.d. statement of objections SO) ad Apple, in cui la accusa di aver abusato della sua posizione dominante nella distribuzione di app per lo streaming musicale, attraverso l’App Store, al fine di favorire il proprio servizio di streaming musicale, Apple Music. L’indagine era partita dopo la segnalazione di Spotify, nel marzo 2019.

In primo luogo, la Commissione avrebbe constatato che Apple detiene una posizione dominante nel mercato della distribuzione di app di streaming musicale attraverso il suo App Store. Secondo la Commissione, i dispositivi e il software di Apple formerebbero un “ecosistema chiuso” in grado di soddisfare ogni aspetto dell'esperienza utente per iPhone e iPad. Inoltre, è emerso che gli utenti dei dispositivi Apple sarebbero molto fedeli al marchio. L'App Store sarebbe parte di questo ecosistema e rappresenta l'unico mezzo che gli utenti di iPhone e iPad possono utilizzare per scaricare applicazioni per i loro dispositivi mobili. Di conseguenza, per servire gli utenti iOS, gli sviluppatori di app non avrebbero altra scelta che distribuire le loro applicazioni attraverso l'App Store (secondo Margrethe Vestager, richiamando nozioni facenti parte del disegno di regolamento per il c.d. Digital Market Act, “… Apple is a gatekeeper to users of iPhones and iPads via the App Store”).

La Commissione accusa Apple di aver adottato due condotte nei suoi rapporti con gli sviluppatori di app che si porrebbero asseritamente in contrasto con il divieto di abuso di posizione dominante ex art. 102 TFUE:

• l'uso obbligatorio del meccanismo di acquisto in-app di Apple (IAP) per la distribuzione di contenuti digitali a pagamento. Apple addebita poi agli sviluppatori di app una commissione del 30% su tutti gli abbonamenti acquistati attraverso lo IAP obbligatorio;

• non consentendo agli sviluppatori di app di informare gli utenti sulle possibilità di acquisto alternative al di fuori delle app, che di norma sarebbero più economiche.

La contestazione preliminare della Commissione è che tali regole distorcano la concorrenza nel mercato dei servizi di streaming musicale, aumentando i costi degli sviluppatori di app di streaming musicale concorrenti (come Spotify). Questo a sua volta porterebbe a prezzi più alti per i consumatori per i loro abbonamenti musicali in-app sui dispositivi iOS.

Apple ha respinto con forza le accuse della Commissione, sottolineando come le regole dell’App Store non abbiano impedito a Spotify di diventare il più grande servizio di abbonamento musicale al mondo. Apple ha dichiarato che Spotify non pagherebbe nessuna commissione su oltre il 99% dei suoi abbonati, e pagherebbe solo una commissione del 15% sugli abbonati rimanenti acquisiti tramite l’App Store. Secondo Apple, al centro di questo caso vi sarebbe quindi la richiesta di Spotify di pubblicizzare offerte alternative sull’app per iOs, “una pratica che nessun negozio digitale al mondo consente”.

Le pratiche di Apple rispetto all’App Store sono sotto esame anche negli Stati Uniti. Apple infatti dovrà rispondere alle accuse del colosso dei videogiochi Epic Games di aver intenzionalmente creato un “ecosistema” all'interno di iOS per fidelizzare i propri clienti e sfruttare la propria posizione dominante.

Luigi Eduardo Bisogno
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore del trasporto aereo – L’AGCM ha accolto gli impegni proposti da Vueling sulla cancellazione dei voli a causa del COVID-19

In data 13 aprile 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha pubblicato la decisione con cui ha accolto gli impegni presentati dalla società Vueling Airlines S.A. (Vueling), attiva nel settore dei servizi di trasporto aereo di linea di passeggeri, su rotte nazionali e internazionali, in relazione al procedimento per pratiche commerciali scorrette (ingannevoli e aggressive) aperto nei suoi confronti a settembre 2020.

Le pratiche ritenute scorrette riguardavano la vendita dei biglietti aerei per i voli operanti dal 3 giugno 2020, data a partire dalla quale il Decreto Legge n. 33/2020 aveva nuovamente consentito gli spostamenti all’interno e all’esterno del territorio nazionale a seguito delle restrizioni dovute allo scoppio della pandemia da COVID-19. Secondo l’AGCM, la Vueling avrebbe:

(i) cancellato i servizi di trasporto, facendo riferimento a una motivazione inerente alla pandemia da COVID-19, pur trattandosi di servizi da svolgere in un periodo nel quale non erano più vigenti limiti di circolazione conseguenti all’emergenza sanitaria;

(ii) fornito informazioni lacunose e ambigue sulla soppressione dei voli già venduti, nonché sui diritti di rimborso spettanti ai passeggeri, giustificando tale cancellazione con motivi legati alla pandemia e omettendo di prospettare l’alternativa possibile tra rimborso in denaro e voucher sostitutivo;

(iii) creato difficoltà di contatto con i servizi di assistenza gratuita alla clientela, rendendo in concreto possibile l’utilizzo del solo canale di comunicazione a pagamento.

Nel corso del procedimento Vueling ha modificato la propria condotta, adottando una serie di azioni che – insieme poi ad altre – sono state presentate come impegni, i quali sono stati ritenuti idonei dall’AGCM.

Soffermandoci sugli impegni principali (in totale gli impegni approvati sono stati undici), in primo luogo, Vueling si è impegnata ad evitare ogni riferimento al COVID-19 nella cancellazione dei voli laddove non sussistano obiettive restrizioni agli spostamenti. In secondo luogo, Vueling ha previsto una procedura automatizzata per la gestione delle prenotazioni relative a voli cancellati e delle richieste di rimborso in danaro. Più nello specifico, Vueling sta rendendo disponibile un “bottone” (link) per ottenere il rimborso in danaro (in alternativa al voucher, che Vueling si è impegnata a maggiorare del 10%), che sarà raggiungibile direttamente dalla e-mail che viene inviata automaticamente una volta che il passeggero abbia richiesto un rimborso a seguito della cancellazione del volo. Così facendo, il passeggero verrà reindirizzato a una pagina web in cui potrà inserire gli estremi della carta di credito ed ottenere il rimborso in danaro. Per ovviare alla terza condotta summenzionata, Vueling ha reso gratuita la linea telefonica messa a disposizione dei passeggeri interessati dalle cancellazioni e ha apportato altre migliorie al servizio.

Tali impegni sono stati considerati dall’AGCM come idonei a far venir meno i profili di scorrettezza ipotizzati in sede di avvio del procedimento e, allo stesso tempo, ad offrire sollecitamente un ristoro significativo a tutti i consumatori interessati dalla pratica contestata, superiore rispetto alla mera interruzione di quest’ultima.

Per l’AGCM, infatti, è sembrato evidente il vantaggio per i consumatori, derivante dalla possibilità di optare, attraverso una procedura snella e con il supporto di un servizio clienti potenziato, per il voucher di valore maggiorato, ovvero per il rimborso in forma pecuniaria.

Si ricorda che quest’ultimo tema (i.e. quello dell’importanza di offrire al consumatore non solo il voucher, ma anche il rimborso) è stato spesso toccato nell’ultimo anno non solo dall’AGCM, ma anche da altre autorità – quali la CMA britannica – che hanno sottolineato l’importanza per tutelare il consumatore di assicurare a quest’ultimo, in conformità con la normativa europea, il rimborso in denaro.

Mila Filomena Crispino
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Pratiche commerciali scorrette e prezzi “eccessivi”– L’AGCM ritiene scorretta l’applicazione di prezzi differenziati e di margini superiori al 100% sui gel igienizzanti

Con la decisione adottata il 13 aprile 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato per 5.000 euro una farmacia di Termoli (Professionista) per aver posto in essere una pratica commerciale aggressiva.

La vicenda era nata dalla contestazione al Professionista di aver applicato a taluni prodotti (mascherine FFP1 e gel igienizzante nei formati da 1lt e 75 ml), divenuti essenziali per la prevenzione del COVID, prezzi diversi per prodotti appartenenti allo stesso lotto, nonché un ricarico eccessivo nel periodo 2-12 marzo 2020. All’esito dell’istruttoria, l’AGCM ha concluso che:

- con riguardo alle mascherine FFP1 e al gel igienizzante nel formato da 1lt., il Professionista fosse effettivamente incorso in un errore materiale, dovuto essenzialmente al mancato censimento dei prodotti nel database Federfarma e, conseguentemente, nel gestionale della farmacia. Ciò aveva condotto all’applicazione al consumatore di prezzi diversi per lo stesso prodotto, in quanto di volta in volta l’operatore individuava il prodotto inserito nel gestionale ritenuto più simile a quello oggetto della vendita, applicando il relativo prezzo. Con riguardo al ricarico applicato a questi prodotti, l’AGCM ha calcolato che fosse in media inferiore al 100%;

- con riguardo al gel igienizzante nel formato da 75 ml., nonostante il prodotto fosse censito nel database Federfarma con l’indicazione di un prezzo non vincolante, il Professionista avesse applicato un prezzo al pubblico non costante e un ricarico ‘significativamente’ superiore al costo d’acquisto e in ogni caso superiore al 100% anche tenendo conto di una stima favorevole dei costi di servizio e, pertanto “eccessivo”.

Pertanto, l’AGCM ha ritenuto che il Professionista, con riguardo alla vendita del solo gel igienizzante in formato da 75 ml, abbia violato l’art. 25, comma 1, lett. c), del Codice del Consumo, per non aver “… esercitato la diligenza professionale necessaria ad evitare che ai consumatori fossero praticati prezzi elevati e non giustificati dai costi di acquisto come dimostra la percentuale di ricarico significativamente superiore al 100% per un prodotto divenuto di prima necessità quale il gel disinfettante in confezioni portatili da 75 ml e ha, quindi, sfruttato indebitamente il condizionamento derivante dal timore del contagio e dalla necessità di approvvigionarsi di gel disinfettanti”.

La decisione in commento suscita grande interesse e ci sia permesso, grandi perplessità per una pluralità di ragioni. Anzitutto, pone qualche domanda che l’AGCM abbia ritenuto aggressiva una condotta consistente essenzialmente nell’applicazione di prezzi differenziati per lo stesso prodotto nonché di prezzi ritenuti eccessivi, fattispecie entrambe tradizionalmente ritenute illecite solo se poste in essere da imprese in posizione dominante, ai sensi del diritto antitrust. Ebbene, nel caso di specie, attraverso il ricorso ad una diversa base giuridica (ossia il divieto di pratiche commerciali scorrette che, tuttavia, postula la sussistenza di una circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore) l’AGCM ha cercato di superare, anzitutto, lo scoglio rappresentato dalla difficoltà di dimostrare la sussistenza di una posizione dominante detenuta dal professionista sul mercato rilevante.

In secondo luogo, appare curiosa la modalità di individuazione della soglia al di sopra della quale i prezzi applicati sono stati ritenuti eccessivi. Nel caso di specie, infatti, la valutazione è stata operata alla luce di uno studio di settore dell’Agenzia delle Entrate sull’attività economica delle farmacie. Sulla base di tale studio, contenente “indicatori di rilevanza economica”, tra cui il “ricarico” (rapporto tra l’“ammontare dei corrispettivi percepiti” e una misura di costo dato dalla somma del “costo del venduto” e del “costo per la produzione di servizi”) sono state individuate le soglie rilevanti per il Professionista, comprese tra il 32% circa e il 100%. Pertanto, nel caso in esame, l’AGCM ha ritenuto illegittima l’applicazione di un ricarico superiore al 100%. Un simile approccio non può che destare perplessità con riguardo alla ampia discrezionalità che residua in capo all’AGCM nell’individuazione delle soglie al di sopra delle quali i prezzi vengono ritenuti eccessivi (peraltro, nel caso di specie, lo studio di settore anzidetto era stato prodotto dallo stesso Professionista durante la fase istruttoria). A tale discrezionalità, infatti, corrisponde una notevole difficoltà, dovuta all’incertezza, da parte dei professionisti di valutare consapevolmente la liceità delle proprie condotte commerciali.

In ultimo, in una prospettiva più generale e con lo sguardo rivolto a possibili future applicazioni di questa argomentazione giuridica sempreché superi il vaglio giurisdizionale, residua un forte dubbio sulla legittimità di un’azione da parte dell’AGCM che sanziona un’impresa (non dominante) per condotte che attengono alla determinazione dei prezzi dei suoi prodotti che non necessariamente devono essere orientati ai costi. Una simile valutazione appare estremamente delicata e in grado di sollevare profili finanche di legittimità costituzionale. Peraltro, sebbene nel caso di specie sia stata imposta una sanzione di importo limitato (pari al minimo edittale attualmente previsto), si rileva come il carattere afflittivo delle sanzioni per pratiche commerciali scorrette sia destinato a crescere significativamente nel breve periodo, con il recepimento della disciplina europea che prevede sanzioni fino ad un massimo del 4% del fatturato annuo realizzato dall’impresa per tali violazioni. Pertanto, qualora le questioni sollevate dalla decisione in esame dovessero riproporsi in futuro, è ragionevole attendersi ulteriori approfondimenti nonché un dibattito sulla idoneità dello strumento qui in esame per “colpire” fattispecie di prezzi “eccessivi”.

Roberta Laghi
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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti e indagini penali - Il Tar Lombardia interviene sul tema del “grave illecito professionale”: la conferma di un istituto ‘a geometrie variabili’

In data 26 aprile 2021, con la sentenza n. 1069/2021, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (TAR Lombardia) ha respinto il ricorso proposto da un’impresa edile (l’impresa) contro il Comune di Milano (il Comune o amministrazione resistente) e nei confronti di una ditta concorrente (la concorrente o controinteressata) riguardo l’aggiudicazione di una gara di appalto per l’esecuzione di interventi di manutenzione e ristrutturazione di manufatti di scavalcamento e sottopassi comunali.

L’impresa domandava l’annullamento della sua esclusione dalla gara, motivata per aver essa asseritamente commesso un “grave illecito professionale” e, di conseguenza, del provvedimento di aggiudicazione della gara a favore della concorrente.

Quanto ai fatti di causa, dopo che l’impresa aveva presentato nei termini stabiliti la propria domanda di partecipazione alla gara e nelle more del procedimento di selezione della migliore offerta, organi di stampa locali avevano diramato la notizia che il legale rappresentante dell’impresa fosse coinvolto in un procedimento penale. Le condotte contestate a quest’ultimo erano asseritamente consistite in accordi con altre imprese preordinati a concordare la ripartizione di lotti di gare bandite da società partecipate dal Comune. Emergeva, inoltre, che il legale rappresentante dell’impresa fosse stato oggetto di una ordinanza del giudice penale recante l’applicazione di misure cautelari personali e fosse stato, in seguito, anche rinviato a giudizio. Sulla scorta di questi fatti, il Comune avviava un’apposita istruttoria - nell’ambito della quale acquisiva l’ordinanza del giudice penale e la documentazione delle gare interessate dalle presunte condotte illecite - per l’accertamento autonomo della rilevanza dei fatti in relazione all’affidabilità morale dell’impresa. Il Comune concludeva l’istruttoria nel senso di ritenere che i fatti rappresentati costituissero un “grave illecito professionale” ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del Codice dei contratti pubblici (d.lgs.18 aprile 2016, n. 50) e, dunque, disponeva l’esclusione oggetto del giudizio in commento.

Il ricorso proposto dall’impresa, sia pure articolato in più censure, poneva al Collegio giudicante un’unica questione di diritto: se i fatti considerati dall’amministrazione potessero o meno essere considerati espressivi di un “grave illecito professionale”.

L’impresa deduceva che il Comune si fosse erroneamente uniformato alle conclusioni raggiunte dal pubblico ministero e accolte nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare senza una valutazione autonoma e avesse, quindi, dato rilievo a fatti la cui rilevanza penale non era ancora stata definitivamente accertata nelle opportune sedi giudiziarie. Il TAR Lombardia ha ritenuto infondate tali deduzioni aderendo al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale il “grave illecito professionale” configura non una casistica chiusa, bensì una serie aperta, cui le stazioni appaltanti, di volta in volta, danno concretezza in esercizio della discrezionalità di cui dispongono. In altri termini, secondo il filone giurisprudenziale accolto nel caso in commento, il “grave illecito professionale” è un istituto ‘a geometrie variabili’ nel quale può essere sussunta qualunque condotta che si ponga in violazione di norme giuridiche (siano esse civili, penali o amministrative). In tale contesto, ai fini della loro rilevanza, non è necessario che i fatti passibili di integrare il “grave illecito professionale” siano definitivamente accertati da un provvedimento giurisdizionale e/o amministrativo, ma è sufficiente che la stazione appaltante effettui una puntuale istruttoria preordinata “ad una doverosa valutazione della loro incidenza sulla professionalità dell’operatore economico”. Al contempo, l’eventuale adozione di un’ordinanza di applicazione di misure cautelare o il rinvio a giudizio (come avvenuto nel caso di specie) non possono condurre ad un’espulsione automatica, bensì richiedono in ogni caso l’avvio di un procedimento di verifica da parte dell’amministrazione aggiudicatrice circa la rilevanza dei fatti in relazione all’affidabilità morale dell’operatore economico.

Nella causa in commento, il TAR Lombardia ha concluso che il Comune non si fosse limitato a prendere atto, uniformandovisi passivamente, dell’ordinanza penale, ma avesse compiuto un’articolata istruttoria, con verifica delle fonti, ad esito della quale era ragionevolmente giunto alla conclusione che l’impresa fosse priva dei requisiti di moralità essenziali ai fini dell’aggiudicazione di una gara d’appalto.

In attesa di un eventuale appello dinanzi al Consiglio di Stato, la sentenza in commento, apprezzabile per la sua chiarezza espositiva, pone un punto fermo rilevante: ossia l’insufficienza della mera pendenza di indagini penali e/o anche dell’adozione di ordinanze cautelari come base motivazionale sufficiente per un’eventuale esclusione di un operatore economico da una gara d’appalto.

L’elemento problematico superstite riguarda l’incapacità per un’impresa di predeterminare ex ante quali fatti possano integrare un “grave illecito professionale”, vista l’ampia discrezionalità di cui godono le stazioni appaltanti, confermata anche dal TAR Lombardia nella decisione in commento.

Alessandro Paccione
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