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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e conflitto Russo-Ucraino – La Commissione formula una proposta di quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia degli Stati Membri

Con il comunicato stampa del 10 marzo scorso, la Commissione europea (la Commissione) ha reso noto di voler adottare un quadro temporaneo per disciplinare le misure di aiuto di Stato (il Quadro temporaneo) a sostegno dell’economia europea per fronteggiare le conseguenze derivanti dalla invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Tale strumento, già adottato per sostenere le economie degli Stati membri durante la crisi sanitaria da Covid-19, trova la sua base giuridica nella disposizione dell’articolo 107(3)(b) TFUE, la quale prevede che possono essere ritenuti compatibili con il mercato interno, previa valutazione da parte della Commissione, aiuti di stato adottati “per porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”. Il Quadro temporaneo, se adottato, si affiancherebbe alla possibilità già prevista per gli Stati membri di adottare misure ai sensi dell’articolo 107(2)(b) TFUE, previsione secondo qui sono ritenuti compatibili con il mercato interno gli aiuti pubblici destinati a “ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali” per mitigare i danni direttamente causati dall’invasione militare della Russia, inclusi gli effetti negativi derivanti dalle sanzioni economiche già prontamente adottate nei confronti della Russia e delle imprese russe.

Al momento non è ancora stato pubblicato il testo integrale di tale proposta, tuttavia il comunicato stampa ne delinea i punti fondamentali. Nello specifico, sarebbe previsto la possibilità di considerare compatibili col mercato comune le misure di sostegno alla liquidità a favore di tutte le imprese che si trovano in una situazione di crisi dovuta all’interruzione dei loro rapporti commerciali con le società di matrice russa oggetto di sanzioni, mediante il conferimento di garanzie e prestiti agevolati, nonché gli aiuti sotto qualunque forma a favore delle cosiddette imprese energivore per sostenerle a contrastare il drammatico aumento dei prezzi delle materie prime energetiche.

Come detto, le misure che vengono adottate in seno al Quadro temporaneo sarebbero comunque soggette allo scrutinio della Commissione. La proposta includerà pertanto le condizioni di compatibilità da applicare a tali misure e, dall’altro, gli Stati membri rimarranno soggetti all’obbligo di notifica preventiva alla Commissione e al dovere di dimostrare che le misure notificate siano necessarie, adeguate e proporzionate per porre rimedio al grave turbamento dell'economia generato dal conflitto e che siano pienamente rispettate tutte le condizioni previste dal Quadro temporaneo. Si tratta dunque di un quadro eccezionale e temporaneo volto a consentire agli Stati membri di adottare misure di intervento nell’economia in deroga alla disciplina ordinaria sugli aiuti di Stato.

È evidente il parallelismo con quanto accadeva esattamente due anni fa agli albori dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19: ancora una volta la Commissione non è rimasta sorda alle richieste di sostegno provenienti dagli Stati membri e si è dimostrata pronta ad utilizzare con flessibilità gli strumenti già a sua disposizione per permettere agli Stati membri di sostenere in maniera efficiente le proprie economie e nel rispetto delle regole che governano il mercato interno.

Sabina Pacifico

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Aiuti di Stato e selettività delle misure fiscali – Secondo l’Avvocato Generale la Commissione avrebbe errato nel ritenere che le norme fiscali di Gibilterra costituissero un aiuto di Stato illegale

Il 10 marzo 2022, l’Avvocato Generale Kokott (l’AG), con riferimento a un rinvio pregiudiziale proposto dal dall’Income Tax Tribunal of Gibraltar (il Tribunale per le imposte sul reddito di Gibilterra) dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CdG), ha rassegnato le proprie conclusioni cercando di fare luce sulle incertezze che si affrontano quando una normativa tributaria nazionale è potenzialmente incompatibile con il diritto dell’Unione in materia di aiuti di Stato.

Le valutazioni dell’AG si inseriscono all’interno della controversia che vede coinvolti Fossil (Gibraltar) Limited (Fossil) e l’Amministrazione finanziaria a Gibilterra (l’Amministrazione finanziaria), concernente l’obbligo relativo al pagamento di imposte ai sensi di una normativa nazionale – ossia l’Income Tax Act 2010 (ITA 2010).

L’ITA 2010 è una legislazione in materia di imposte sul reddito su base territoriale relativa agli utili e i guadagni che maturano o hanno origine in Gibilterra e che prevedeva due esenzioni (una riguardante gli interessi derivanti da prestiti infragruppo e da royalties e una in materia di doppia imposizione fiscale). Tuttavia, nel 2019, con una modifica all’ITA 2010 (ITA 2019) veniva introdotta una tassazione retroattiva che colpiva i redditi maturati da royalties infragruppo nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio 2011 e 31 dicembre 2013. Di conseguenza, la ricorrente si ritrovava debitrice nei confronti della Amministrazione finanziaria in virtù del debito fiscale retroattivo nato dall’ITA 2019.

A rendere più intricata la vicenda è il fatto che quest’ultima si inserisce nell’ambito di una Decisione (UE) 2019/700 della Commissione europea (la Decisione) che indagava sull’ITA 2010 e sulla portata delle esenzioni ivi previste, considerate dalla Commissione un vantaggio selettivo e pertanto in contrasto con la normativa europea in materia di aiuti di Stato (peraltro, a seguito di un ricorso proposto da un’altra impresa, la Decisione è tuttora oggetto di valutazione dinanzi al Tribunale).

L’AG, prendendo in considerazione anche il contenuto della Decisione, ricostruisce l’intera vicenda alla luce dei principi generali previsti dalla normativa in materia di aiuti di Stato. Innanzitutto, l’analisi ricade soprattutto sull’esenzione relativa alle royalties infragruppo, norma che è espressione di quella autonomia fiscale riconosciuta sia dall’Unione europea sia dall’OCSE. Pertanto, trattasi di una norma generale e astratta, elemento che, secondo l’AG, appare già esso stesso idoneo ad escludere quella selettività richiesta dall’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. In base a quest’ultimo, come è noto, affinché possa configurarsi “aiuto di Stato” è necessario che ricorra, nell’ambito di una serie di concomitanti requisiti, la concessione di un vantaggio selettivo al suo beneficiario. Secondo l’AG dunque “…[i]l carattere selettivo non può essere dedotto dal fatto che l’imputazione riguarda solo i contribuenti che soddisfino i requisiti di una doppia imposizione. Di conseguenza l’imputazione […] dell’imposta sui redditi derivanti da royalties pagata negli Stati Uniti non può essere qualificata né come aiuto di Stato, né come elusione della Decisione”.

Le conclusioni dell’AG forniscono una utile puntualizzazione della giurisprudenza circa la natura selettiva o meno di una normativa tributaria nazionale. Resta da vedere se la CdG confermerà le conclusioni dell’AG.

Maria Spanò

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Diritto della Concorrenza Italia / Intese e aviazione non di linea – In ottemperanza a due sentenze del Consiglio di Stato l’AGCM ha ridotto la sanzione di circa 32 milioni di euro

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM), a seguito di due pronunce del Consiglio di Stato (CdS) del luglio e dell’agosto scorso, ha rideterminato la sanzione inflitta a Babcock Mission Critical Services Italia S.p.A. (BCMS Italia) e alla sua controllante Babcock Mission Critical Services International SA (BCMS International).

La condotta contestata alle due società era stata sanzionata da una decisione dell’AGCM, commentata in questa Newsletter, che riguardava una serie di accordi che, secondo l’AGCM, alcune società attive nel settore del trasporto aereo con elicottero avevano posto in essere per alterare il libero gioco della concorrenza nel mercato dei servizi di antincendio boschivo, concordando tra l’altro i prezzi dei servizi di volo con elicotteri. A BCMS Italia e International era stata irrogata in solido una sanzione superiore a 50 milioni di euro.

Il CdS, a valle del rigetto integrale delle impugnative innanzi al TAR Lazio, aveva osservato che: “…il fatturato da prendere in considerazione [ai fini del calcolo del massimo edittale], ferma la solidarietà e la corresponsabilità tra le due Società, è solo quello di controllante e controllata e non anche di altre imprese del gruppo non operanti in Italia e/o impossibilitate a prevenire o far cessare l’illecito de quo, quindi solo con solidarietà strettamente verticale. Da ciò discende che solo in parte qua la misura di tal sanzione va rimodulata”. Con ciò significando che l’AGCM aveva errato nel tenere in considerazione, ai fini del calcolo del massimo edittale, non soltanto i fatturati di BMCS International, BCMS Italia e BCMS Fleet, le società operanti in Italia, ma anche i fatturati di altre imprese facenti parte del gruppo (BCMS Ghana e BCMS Congo) il cui capitale sociale era posseduto per il 90% e il 100%, rispettivamente, da BCMS Italia, ma che non operavano in Italia.

Le parti, sentite nell’ambito del procedimento di rideterminazione, hanno anche richiesto all’AGCM di sottrarre dal fatturato rilevante ai fini del calcolo del massimo edittale anche i ricavi delle vendite infragruppo realizzate in favore di BCMS Congo e BCMS Ghana. L’AGCM, tuttavia, non ha ritenuto di procedere con tale sottrazione in quanto le sentenze del CdS non avrebbero contestato le modalità di calcolo di questa tipologia di vendite che, secondo l’AGCM, vanno escluse solo per evitare, qualora l’impresa non disponga di un dato di fatturato consolidato, la duplicazione di voci di fatturato nel computo totale.

Dunque, in ottemperanza delle sentenze, l’Autorità ha individuato un nuovo fatturato totale delle parti pari alla somma dei fatturati di BCMS International, BCMS Italia e BCMS Fleet, escludendo le società che operavano all’estero (ma includendo le vendite infragruppo realizzate da BMC Italia in favore BMCS Congo e BMCS Ghana). La sanzione irrogata dall’AGCM è quindi pari al nuovo massimo edittale, ossia 18 milioni di euro.

La vicenda in commento è di particolare interesse in quanto riguarda le concrete modalità di calcolo del massimo edittale a valle delle pronunce – invero non chiarissime – del CdS, le quali escludono il fatturato delle imprese del gruppo non operanti in Italia e/o impossibilitate a prevenire o far cessare l’illecito de quo dal computo del fatturato a cui applicare il limite edittale del 10%.

Alessia Delucchi

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Pratiche commerciali scorrette e Serie A – L’AGCM ha irrogato una sanzione di 1 milione di euro a Sky Italia per la diffusione di informazioni ingannevoli sull’aggiudicazione dei diritti calcistici

Con provvedimento adottato il 1° marzo, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha irrogato una sanzione di 1 milione di euro a Sky Italia S.r.l. (Sky) per la diffusione di informazioni ingannevoli sull’aggiudicazione dei diritti calcistici delle partite del campionato di calcio di Serie A per la stagione sportiva 2021-2022, condotta vietata dall’articolo 21 del Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo).

La vicenda prende le mosse dalla mancata aggiudicazione a Sky di tutti i diritti esclusivi relativi a 7 delle 10 partite per giornata della Serie A. Nel periodo tra il 2 e il 14 maggio, attraverso comunicazioni e video in autoplay sul sito internet di Sky, messaggi in sovraimpressione durante alcune trasmissioni televisive e tramite l’invio di sms ed email personalizzate, è stato comunicato ai clienti che, in seguito ad una asserita e generica incertezza sull’assegnazione dei diritti televisivi per il triennio 2021-2024, era offerta loro la possibilità di usufruire gratuitamente del pacchetto “Sky Calcio” dal 1 luglio al 30 settembre, eventualmente recedendo senza costi aggiuntivi.

Il 14 maggio si era quindi conclusa la procedura di assegnazione dei rimanenti diritti non esclusivi relativi a 3 partite per giornata, accompagnata dalla rinuncia da parte di Sky al ricorso ex art. 700 c.p,c, contro l’aggiudicazione a DAZN dei diritti esclusivi relativi alle 7 partite per giornata. Il giorno dopo, Sky ha rimosso dal proprio sito web i messaggi di cui sopra, senza però inviare alcun messaggio individuale di rettifica o integrazione, limitandosi a pubblicare un comunicato contenente il risultato della gara (ossia l’ottenimento dei diritti per la trasmissione di 3 partite su 10 a giornata in co-esclusiva) e gli ulteriori eventi calcistici che sarebbero stati trasmessi da Sky. La campagna informativa individuale è avvenuta solo successivamente, dal 23 giugno al 1° luglio (ossia a valle dell’avvio del procedimento e a fronte della prospettiva di un intervento in via cautelare da parte dell’AGCM).

L’AGCM ha sanzionato Sky in quanto ha ritenuto che quest’ultima avesse rappresentato un periodo di incertezza (tra l’assegnazione a DAZN in data 26 marzo e la rinuncia al ricorso intervenuta il 14 maggio) che tale non era, poiché già dal 26 marzo Sky era comunque consapevole dell’impossibilità di continuare ad offrire un pacchetto comprendente 7 partite su 10 a giornata. Di conseguenza, secondo l’AGCM, Sky ha erroneamente rappresentato ai clienti la possibilità che il pacchetto rimanesse inalterato, portandoli ad adottare una scelta commerciale (il mancato recesso) che non avrebbero altrimenti adottato.

Per quanto riguarda la sanzione, l’AGCM ha ritenuto adeguato imporre una sanzione pari a 1 milione di euro, un ammontare relativamente limitato se parametrato al fatturato complessivo di Sky (pari a circa 2,9 miliardi di euro nel 2020) e alla prassi di enforcement sempre più aggressivo da parte dell’AGCM nel settore delle pratiche commerciali scorrette (in particolare, nei confronti delle c.d. Big Tech) e che probabilmente trova la sua ragion d’essere nella durata di soli circa due mesi della condotta contestata. Resta da vedere quale sarà l’esito di un possibile ricorso avverso il provvedimento.

Niccolò Antoniazzi

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Contratti pubblici e patto di integrità – Il TAR Lazio si pronuncia sulla valenza del Patto di integrità contenente una clausola risolutiva espressa in caso di rinvio a giudizio

Con la sentenza n. 2319 del 28 febbraio 2022, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) afferma che non ogni rinvio a giudizio per corruzione di un legale rappresentante della società contraente integra gli estremi dell’inadempimento contrattuale del Patto di integrità, ma solamente quel rinvio che interviene dopo la sua stipula.

Il ricorso trae origine dall’impugnazione del provvedimento di Roma Capitale (la stazione appaltante) con cui era stata disposta l’esclusione di una società (la società esclusa) da una procedura di gara per l’affidamento di un servizio di analisi e studio. In particolare, veniva applicata la procedura negoziata sottosoglia comunitaria ai sensi dell’art. 36 co. 2 lett. b) del d.lgs. 50/2016 (il Codice Appalti) con criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

La società esclusa vinceva la gara e diveniva aggiudicataria provvisoria del servizio, fatte salve le necessarie verifiche circa l’esistenza di eventuali motivi di esclusione. Durante l’esperimento dei controlli, la stazione appaltante rilevava che, nel Patto di integrità stipulato con la società esclusa, era previsto che l’eventuale presenza di una misura cautelare o di un rinvio a giudizio per reati di corruzione, disposto nei confronti di soggetti con funzioni di responsabilità nell’impresa, avrebbe rappresentato un motivo di esclusione dalla procedura di affidamento. La stazione appaltante, avendo quindi constatato che il Direttore Tecnico della società era stato rinviato a giudizio nel 2015 per i reati di cui agli artt. 319-321 c.p. (ossia, per reati di corruzione), escludeva dalla gara la società esclusa, che presentava ricorso al TAR Lazio lamentando, inter alia, il difetto di motivazione e la contraddittorietà ed illogicità manifesta del provvedimento di esclusione.

Il TAR Lazio ha accolto il ricorso per difetto di motivazione, annullando il provvedimento e riammettendo la società esclusa alla gara. In tale contesto ha svolto importanti considerazioni sulla portata del Patto di integrità.

Il giudice amministrativo ha evidenziato infatti che la causa di esclusione invocata non rientra nei motivi previsti dall’art. 80 co. 5 del Codice Appalti, ma costituisce una causa di esclusione speciale aggiuntiva di fonte extra-codicistica, in quanto il suo fondamento risiede nel combinato disposto anche di altre normative (dell’art. 1 co. 17 l. n. 190/2012, c.d. Legge Severino o Anticorruzione, e dell’art. 83 co. 8 del Codice Appalti).

L’elemento determinante della decisione in commento non concerne l’astratta adeguatezza della clausola a causare l’esclusione o a risolvere il contratto, ma il fattore temporale in cui il rinvio a giudizio era intervenuto e la valenza del Patto di integrità. Il rinvio a giudizio per corruzione del Direttore Tecnico della società esclusa non si era verificato per un delitto commesso durante la procedura di gara o l’esecuzione del contratto, ma per un evento risalente al 2015, i cui fatti erano completamente estranei alla gara in discorso e si erano manifestati in una data in cui l’accordo ancora non era stato concluso. In tale contesto, la motivazione della sentenza evidenzia come venga meno il concetto stesso di inadempimento, dal momento che gli impegni assunti con il Patto di integrità possano valere solamente per il futuro e non anche per il passato, per definizione già trascorso; solo i rinvii a giudizio per corruzione intervenuti dopo la firma dell’accordo possono costituire, quindi, un inadempimento contrattuale.

Nelle argomentazioni del TAR Lazio, tale conclusione non comporta però che eventuali rinvii a giudizio antecedenti al Patto di integrità siano totalmente insignificanti, solo perché cronologicamente anteriori. Un rinvio a giudizio passato potrebbe infatti essere rilevante se taciuto o negato dall’impresa concorrente in sede di presentazione della domanda di partecipazione alla gara, in quanto potrebbe integrare gli estremi dell’omissione o della falsità dichiarativa. Ciò nonostante, anche la concreta efficacia escludente del silenzio e della negazione rispetto ad un rinvio a giudizio precedente andrebbe analizzata caso per caso (in base ai criteri stabiliti dall’art. 80 co. 5, lett. c-bis) del Codice Appalti).

L’importanza della pronuncia in esame risiede dunque nell’affermazione della valenza pro futuro del Patto di integrità: il provvedimento di esclusione della stazione appaltante viene infatti annullato per eccesso di potere nella figura sintomatica del difetto di motivazione in quanto la società era stata esclusa non per l’omissione o la negazione di un rinvio a giudizio precedente, ma per la mera constatazione di un evento oggettivamente verificatosi prima dell’indizione della gara (laddove invece il Patto di integrità ha valenza pro futuro).

Elena Scanzano

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Legal news / Antitrust e mercato del lavoro – Un rapporto dell’Amministrazione Biden esamina diffusione ed effetti delle condotte anticoncorrenziali nel mercato del lavoro

Lo scorso 7 marzo, il Dipartimento del Tesoro americano ha pubblicato un rapporto – intitolato “The State of Labor Market Competition” – relativo allo stato della concorrenza nel mercato del lavoro statunitense. Il rapporto fa seguito a un Executive Order – che il rapporto definisce “historic” – emanato dall’Amministrazione Biden lo scorso 9 luglio 2021 volto a promuovere il welfare dei lavoratori e dei consumatori americani mediante diversi strumenti normativi, tra cui spicca – per quanto qui di interesse – la disciplina antitrust.

L’Executive Order fondava le proprie conclusioni sulla considerazione che “over the last several decades, as industries have consolidated, competition has weakened in too many markets, denying Americans the benefits of an open economy and widening racial, income, and wealth inequality”. L’incremento della concentrazione nel mercato americano si sarebbe riflesso anche sul mondo del lavoro: afferma in questo senso l’Executive Order che “consolidation has increased the power of corporate employers, making it harder for workers to bargain for higher wages and better work conditions”. Al fine di correggere queste tendenze, l’Amministrazione Biden dichiara di voler perseguire “a whole-of-government approach”, fondato in prima battuta su un diverso e più ampio utilizzo delle agenzie e delle norme già esistenti.

Il rapporto in commento – che verosimilmente, come si dirà infra, costituisce il prologo dei prossimi interventi dell’Amministrazione Biden in materia – espone gli esiti dell’indagine sullo stato della concorrenza nel mercato del lavoro statunitense commissionata dallo stesso Executive Order.

Il mercato del lavoro statunitense – stando a quanto emerge dal rapporto – sarebbe caratterizzato da una forma di concorrenza di tipo monopsonistico: benché in linea teorica il numero di datori di lavoro sia evidentemente ampio, nei fatti la controparte datoriale gode di un forte potere di mercato, che le consente di abbassare gli stipendi e peggiorare le condizioni di lavoro senza timore di reazioni da parte dei lavoratori.

Tale asserito monopsonio datoriale si fonderebbe su diversi fattori, tra cui: (i) la strutturale asimmetria informativa tra lavoratori e datori di lavoro. Considerato che frequentemente l’ammontare della retribuzione viene discussa solo nelle fasi finali del procedimento di assunzione, il lavoratore non ha modo di conoscere la retribuzione media di mercato e di compararla alla propria. Se a ciò si aggiunge che la ricerca del lavoro è di per sé un’attività dispendiosa in termini di tempo, ne deriva un generale disincentivo alla mobilità anche a fronte di un peggioramento delle condizioni di lavoro; (ii) l’outsourcing di molte attività lavorative, che si traduce frequentemente nel calo del potere negoziale dei lavoratori rispetto all’acquirente del servizio e in una marcata riduzione dello stipendio; (iii) restrizioni contrattuali alla mobilità dei lavoratori. Questi possono assumere le forme di obblighi di non concorrenza in capo al lavoratore o di accordi di no-poaching tra imprese concorrenti, che si vincolano a non assumere o ad offrire lavoro ai reciproci dipendenti. Rinviando a recenti ricerche economiche, il rapporto afferma che l’assenza di concorrenza nel mercato del lavoro si traduce mediamente in una riduzione del 15-25% della retribuzione rispetto a quanto dovuto in normali condizioni di mercato.

Come recentemente dichiarato da Tim Wu, Special Assistant del Presidente Biden per le politiche della concorrenza, il rapporto costituisce “a strong signal about the direction in which antitrust enforcement and policy is going”. A dimostrazione dell’orientamento che caratterizza l’Amministrazione in carica, si segnala che lo scorso novembre il DOJ ha presentato ricorso contro una concentrazione tra Penguin Random e Simon & Schuster – due tra i principali operatori del mercato editoriale americano – fondando la propria theory of harm sull’aumento del potere negoziale dell’entità risultante dalla concentrazione nei confronti degli autori e sulla verosimile riduzione delle royalties che ne sarebbe derivata. Sulla stessa scia, tra i temi su cui l’FTC e il DOJ hanno aperto una consultazione pubblica nell’ambito della revisione delle Horizontal Merger Guidelines, figura la possibilità di includere nell’analisi dell’impatto di una concentrazione anche i “labor market effects of mergers”.

Il documento in commento si inserisce quindi in linea di continuità con una serie di interventi diretti ad ampliare l’ambito di applicazione del diritto antitrust oltre il perimetro tradizionale dei patti di non concorrenza e/o dei cd. accordi no-poaching, al fine di garantire maggior tutela ai lavoratori. Un simile approccio pone tuttavia notevoli interrogativi. Il diritto antitrust è davvero lo strumento più adattato a rispondere a simili istanze sociali?

Alessandro Canosa

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