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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza Italia / Concentrazioni e settore dei servizi televisivi – L’AGCM ha revocato le misure imposte nel Procedimento Sky Italia/R2 sulla base dei recenti sviluppi nel mercato dei servizi televisivi a pagamento

Con il provvedimento adottato il 12 aprile 2022, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha revocato le misure imposte a Sky Italia S.r.l. e Sky Italia Holdings S.p.A. (Sky) in seguito all’acquisizione, perfezionata prima dell’ottenimento dell’autorizzazione dell’AGCM, di R2 S.r.l. (R2), ossia delle attività tecniche pay tv del gruppo Mediaset e della sua infrastruttura tecnologica per l’offerta via digitale terrestre.

L’istruttoria avviata in seguito alla notifica dell’operazione aveva evidenziato come quest’ultima comportasse la sostanziale eliminazione dell’unico concorrente principale di Sky, ossia Mediaset, dal mercato nazionale dell’offerta dei servizi tv a pagamento.

Nonostante l’operazione sia stata in seguito abbandonata dalle parti, l’AGCM ha rilevato che alcuni effetti anticompetitivi si erano ugualmente verificati, ad esempio in seguito alla consistente migrazione di clienti registrata a seguito dell’operazione complessivamente considerata. Poiché la restituzione dell’infrastruttura non avrebbe permesso il ristabilimento dello status quo ante e l’eliminazione degli effetti restrittivi della concorrenza già prodotti, nonché con l’ulteriore intento di incentivare la concorrenza nel mercato della pay tv cercando di valorizzare i servizi tv via internet, ossia gli unici da cui poteva derivare una pressione concorrenziale sull’operatore dominante, l’AGCM aveva imposto a Sky delle misure ex art. 18 co. 3 della Legge 287/1990. Queste consistevano principalmente (i) nel divieto, per il territorio italiano, di stipulare contratti di acquisizione di contenuti audiovisivi per la trasmissione via internet con clausole di esclusiva o equivalenti, (ii) nel divieto di utilizzare informazioni e asset detenuti da R2 ai fini della proposizione di proprie offerte commerciali televisive a pagamento e (iii) nell’obbligo di garantire l’accesso a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie ad una eventuale nuova piattaforma proprietaria digitale terrestre compatibile con gli asset di R2 modificati durante il periodo in cui questa era sottoposta al controllo di Sky.

Nel novembre 2021, Sky ha trasmesso un’istanza per richiedere la revisione delle suddette misure, evidenziando come, negli ultimi tre anni, alcuni cambiamenti sostanziali nel mercato rilevante abbiano portato ad un ridimensionamento significativo della sua quota di mercato. In particolare, ha evidenziato il mutamento delle abitudini dei consumatori a favore dei servizi offerti via internet avvenuto durante il periodo pandemico, il significativo sviluppo delle infrastrutture a banda larga necessarie per la trasmissione ad alta qualità dei contenuti streaming, nonché l’assegnazione a DAZN dei diritti televisivi per la trasmissione della Serie A e il rafforzamento di altri operatori come Disney+ e Amazon. Ciò ha ora trovato sostanziale riscontro nella nuova istruttoria condotta dall’AGCM, dalla quale emerge quindi uno scenario sostanzialmente differente rispetto a quello precedentemente accertato. L’offerta di servizi pay tv via internet è passata da rappresentare il 38% del mercato nel 2018 al 61% nel 2020, con la conseguente contrazione dei restanti segmenti. Inoltre, in Italia, i volumi di tali servizi sono aumentati del 33% tra 2019 e 2021 e la relativa spesa dei consumatori ha subito un incremento del 20% dal 2018 al 2020.

Nonostante continui a ritenere che la posizione di Sky sia ancora dominante, l’AGCM ha confermato una significativa riduzione della sua quota di mercato (passata dall’80% al 54%) e, conseguentemente, dell’indice di concentrazione HHI (passato da 8900 punti a 4000 punti). Pertanto, considerando anche la ridotta vigenza residua delle misure (inizialmente valide fino al 21 maggio 2022) e la contestuale assenza di procedure di assegnazione di contenuti significativi (come quella per i diritti per la trasmissione della Serie A), l’AGCM ha disposto la revoca delle misure in questione.

Il provvedimento in esame, inserito nel contesto della decisione che ha aperto maggiormente le porte allo sviluppo del settore streaming in Italia, offre una panoramica aggiornata sulle nuove dinamiche del mercato dei servizi televisivi a pagamento, confermando da un lato il potere di mercato goduto dall’incumbent storico Sky e allo stesso tempo dando atto della dinamicità che l’offerta degli OTT ha portato in questo settore.

Niccolò Antoniazzi

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Concentrazioni e settore della stampa quotidiana e periodica – L’AGCM indaga l’acquisto del controllo congiunto di Press-Di da parte di Artoni e SRH

Nell’adunanza del 12 aprile scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deliberato l’avvio di un’istruttoria per indagare i possibili effetti anticoncorrenziali derivanti dall’acquisizione del controllo congiunto di Press-Di Distribuzione Stampa e Multimedia S.r.l. (Press-Di) da parte di Artoni Group S.p.A. (Artoni) e SRH S.r.l. (SRH) (l’Operazione). Più precisamente, l’Operazione prevede la cessione da parte di Mondadori Media S.p.A. (Mondadori) – che detiene attualmente la totalità delle partecipazioni di Press-Di – della quota di maggioranza in Press-Di ad Artoni e SRH.

Nel provvedimento di avvio l’AGCM dà atto che Artoni e SRH operano nella distribuzione locale di stampa quotidiana e periodica ove detengono, attraverso i distributori controllati, una posizione dominante in vari mercati locali, individuati in relazione alla dimensione provinciale ovvero di aggregazioni di province contigue. Press-Di è invece il secondo maggiore operatore nel mercato nazionale della distribuzione della stampa quotidiana e periodica e i suoi prodotti comprendono le più note testate giornalistiche di rilievo nazionale.

L’AGCM ha ritenuto che, prima facie, l’Operazione potrebbe determinare effetti preclusivi di natura verticale nei mercati della distribuzione locale in cui Artoni e SRH non sono ancora attivi e ciò in ragione della potenziale (ed eventuale) decisione di revoca dei mandati di Press-Di nei confronti di distributori locali terzi concorrenti con la conseguenza che tale strategia – se attuata – potrebbe minare la capacità concorrenziale di quest’ultimi in considerazione della rilevanza dei prodotti di stampa distribuiti da Press-Di, oltre che rafforzare la posizione dominante detenuta dalle suddette nel mercato della distribuzione locale di stampa quotidiana e periodica su tutto il territorio nazionale. Inoltre, l’Operazione oggetto di analisi potrebbe, secondo l’AGCM, avere degli effetti anticoncorrenziali anche nel mercato nazionale della distribuzione di stampa periodica e quotidiana poiché Artoni e SRH, attraverso le loro posizioni dominanti a livello locale, potrebbero favorire la distribuzione dei periodici distribuiti da Press-Di, precludendo o limitando gli sbocchi per i concorrenti nazionali che operano nel mercato della distribuzione nazionale della stampa quotidiana e periodica.

L’analisi dell’AGCM si concentrerà altresì sul patto di non concorrenza e sul divieto di storno dei dipendenti di Press-Di in capo a Mondadori per valutarne l’accessorietà rispetto all’Operazione (e quindi l’oggettiva necessità ai fini dell’Operazione). Si tratta di un aspetto interessante in quanto clausole simili sono molto diffuse nelle operazioni M&A.
Resta da vedere come e se le criticità sollevate dall’AGCM verranno risolte nel provvedimento finale.

Maria Spanò

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Legal news / Ambush marketing – L’AGCM applica per la prima volta la normativa contro la pubblicità parassitaria e sanziona Zalando

Lo scorso 29 marzo, con il provvedimento 30099/2022, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato Zalando SE (Zalando) con una ammenda pari a euro 100.000 per aver posto in essere, per pochi giorni nel mese di giugno 2021, un’iniziativa pubblicitaria ritenuta parassitaria ai sensi dell’art. 10 del decreto-legge 11 marzo 2020, n. 16 (Decreto), convertito con modificazioni dalla legge 8 maggio 2020, n. 31.

La disciplina, la cui applicazione è affidata all’AGCM ex art. 12 del medesimo Decreto, persegue l’obiettivo di approntare una tutela rinforzata agli investimenti compiuti dalle imprese al fine di diventare sponsor ufficiali di manifestazioni sportive e fieristiche di rilevanza nazionale e internazionale. In tale contesto, essa vieta (salvo consenso dei medesimi sponsor) le attività di pubblicizzazione e commercializzazione poste in essere da imprese terze che siano idonee a ingenerare nel pubblico dell’evento la convinzione che esse, pure, siano sponsor dello stesso, allo scopo di trarre da questo accostamento un vantaggio economico o concorrenziale.

La condotta contestata a Zalando consisteva nell’esposizione di un cartellone pubblicitario raffigurante una divisa calcistica bianca, la dicitura “Chi sarà il vincitore?” e le bandiere nazionali delle squadre partecipanti al Campionato Europeo di Calcio UEFA-Euro 2020, nelle immediatezze di un’area in cui erano in corso i preparativi per l’allestimento di una fan-zone che avrebbe permesso ai tifosi di seguire gli incontri sportivi. Una condotta, questa, che è stata ritenuta contraria all’art. 10, commi 1 e 2(a) del Decreto, in quanto diretta a generare nel pubblico dell’evento sportivo l’idea che Zalando fosse uno degli sponsor ufficiali dell’iniziativa.

Al fine di tentare di evitare la sanzione, l’impresa ha sostenuto (i) che nell’individuazione del perimetro di operatività del Decreto si sarebbe dovuto far leva sulla sua rubrica – (“Disposizioni urgenti per l’organizzazione dei Giochi olimpici e paralimpici invernali Milano Cortina 2026 e delle finali ATP Torino 2021-2025, nonché in materia di divieto di attività parassitarie”) – escludendone, pertanto, l’applicazione in occasione di eventi che coinvolgano sul piano organizzativo l’Italia in maniera minore, come nel caso di specie; (ii) in secondo luogo, che le disposizioni del Decreto siano eccessivamente elastiche se comparate ad altri testi normativi, come il Codice del Consumo e il Dlgs 145/2007 in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, suggerendone pertanto un’interpretazione restrittiva, che tenga assieme le opposte esigenze alla tutela dell’iniziativa economica privata, da un lato, e della libera concorrenza e libera espressione, dall’altro; (iii) infine, che l’iniziativa era peraltro inserita in un complesso di attività a carattere socio-politico condotte ogni anno dalla società nel mese di giugno (il c.d. Pride-Month), e dunque non era idonea a creare un collegamento con l’organizzazione dell’evento sportivo, anche in virtù dell’assenza di qualsivoglia segno distintivo riconducibile direttamente al Campionato Europeo.

L’AGCM ha liquidato rapidamente le diverse argomentazioni, ritenendo che: (i) al fine di individuare il perimetro di operatività della disciplina occorra fare riferimento prioritario non tanto alla rubrica delle norme del Decreto, quanto al testo stesso della normativa (dalla quale si evince inequivocabilmente la sua applicazione ad “eventi sportivi o fieristici di rilevanza nazionale o internazionale”, senza ulteriori specificazioni); (ii) le fattispecie delineate nel Decreto siano sufficientemente chiare e circoscritte, nella misura in cui l’attività di pubblicizzazione e commercializzazione è ritenuta parassitaria laddove sia idonea a indurre in errore il pubblico sull’identità degli sponsor ufficiali dell’evento; e (iii) il fine socio-politico dell’iniziativa non elida la chiara associazione tra il marchio Zalando e l’evento sportivo, ritenuta evidente alla luce delle circostanze del caso concreto. Per questi motivi, l’AGCM ha irrogato la sanzione prevista dall’articolo 12 del medesimo Decreto, anche se nella misura del minimo edittale pari a 100.000 euro in virtù della modesta gravità e della limitata durata (solo pochi giorni) della condotta.

La decisione costituisce la prima applicazione in Italia della disciplina del 2020 sul c.d. Ambush marketing (risultata in un ampliamento delle già eterogenee competenze dell’AGCM), la quale, peraltro, non pregiudica comunque l’applicazione delle norme vigenti in ambito civile e penale, ivi compreso il Codice del Consumo. Resta a questo punto da vedere se Zalando riterrà opportuno impugnare il provvedimento in parola.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Cartelli e programmi di clemenza – Il DOJ impone al leniency applicant di denunciare tempestivamente il fatto e di adottare rimedi aggiuntivi rispetto al risarcimento dei danni

Lo scorso 4 aprile, lo U.S. Department of Justice (DOJ) ha annunciato l’introduzione di alcune modifiche all’Antitrust Division Leniency Program (il Programma di clemenza), che consente alla prima persona fisica o giuridica che fornisca alle autorità prove di un cartello di beneficiare di un’esenzione dalla relativa sanzione. L’intervento in commento costituisce la seconda modifica al Programma di clemenza da parte del DOJ dal 2008.

Commentando la nuova Leniency policy, l’Attorney General Jonathan Kanter ha motivato la riforma con la necessità di garantire che il Programma imponga un adeguato sforzo risarcitorio in capo a chi vi accede, limitando il rischio di recidive. Sulla base di queste premesse, il DOJ ha in primo luogo introdotto un obbligo di facere supplementare in carico al leniency applicant: oltre al risarcimento dei danni e alla piena cooperazione con le autorità nel corso dell’attività istruttoria, l’impresa che aspira a ottenere l’immunità dovrà dare attuazione a “additional remedial measures”, la cui natura ed estensione vengono lasciate intenzionalmente indeterminate dalle nuove FAQ pubblicate dal DOJ. Scopo della nuova disposizione è assicurare che il leniency applicantfully remedies the harm caused by the offense, to the extent not covered by restitution”: a questo fine, il DOJ potrebbe dare ad esempio rilievo – tenendo conto del ruolo assunto dal leniency applicant nella vicenda collusiva e dalla natura del danno causato – al licenziamento del personale direttamente responsabile della condotta e all’attuazione di meccanismi preventivi rispetto alla reiterazione della condotta.

In seconda battuta, il DOJ ha introdotto un termine temporale entro cui il leniency applicant deve denunciare la condotta collusiva alle autorità: l’impresa che ambisca all’immunità dovrà presentare il markerat the first sign of potential wrongdoing even if it is not certain that the wrongdoing occurred”. La clausola, seppur elastica, sembra imporre un requisito stringente in capo al potenziale denunciante, se combinato con la necessità di dimostrare la tempestività della denuncia – onere che il nuovo Programma di leniency addossa al leniency applicant.

Parallelamente, anche la Commissione Europea (Commissione) ha iniziato un processo di revisione della propria disciplina in materia di leniency, mosso apparentemente da principi opposti a quelli del DOJ. Secondo quanto recentemente affermato da un policy advisor del DG COMP, preso atto del forte calo registrato negli ultimi anni nel numero delle leniency, la Commissione sta cercando di rafforzare gli incentivi delle società a denunciare la propria partecipazione in condotte collusive. Sul tavolo della Commissione pende in particolare la proposta di esentare il primo leniency applicant dalla responsabilità civile per il risarcimento del danno causato dall’infrazione oggetto della domanda di immunità. Ciò, se da un lato mira a far venire meno uno dei principali disincentivi che attualmente sembrano frenare le imprese dal partecipare ad un programma di clemenza, dall’altro pone la seria questione se e in che misura sia opportuno addossare agli altri cartellisti la quota di risarcimento imputabile al leniency applicant così esentato e se tale soluzione sia in seguito compatibile con gli ordinamenti nazionali dei 27 Stati membri.

Come è noto, in entrambe le giurisdizioni, i programmi di clemenza costituiscono il principale strumento a disposizione delle autorità antitrust per la scoperta di condotte collusive generalmente destinate alla segretezza, introducendo un elemento di incertezza nell’equilibrio cooperativo del cartello e inducendo i partecipanti a una rottura strategica dell’accordo collusivo secondo lo scenario classico del dilemma del prigioniero. Sorprende, in questo senso, l’introduzione da parte del DOJ di un limite temporale per la presentazione del marker, che potrebbe avere l’effetto opposto di sterilizzare il rischio di rottura di un cartello decorso il lasso di tempo utile per la presentazione della leniency e di aumentare l’incentivo a proseguire nella condotta collusiva, posto che l’impresa cartellista non avrebbe più a disposizione alcuna exit strategy per evitare la sanzione. Resta da vedere quale sarà la posizione che assumerà la Commissione sul punto.

Alessandro Canosa

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