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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 23 gennaio 2023

Diritto della concorrenza – Europa / Abuso di posizione dominante e reti di distribuzione – La Corte di Giustizia si pronuncia sulla nozione di singola unità economica e sul valore del test del “concorrente altrettanto efficiente”

Con la sentenza  del 19 gennaio scorso su rinvio pregiudiziale operato dal Consiglio di Stato (il CdS) nella causa che vede opposta Unilever Italia Mkt. Operations S.r.l. (Unilever) all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) ha offerto importanti chiarimenti in merito (i) ai criteri che identificano l’esistenza di una singola unità economica laddove il collegamento tra imprese formalmente indipendenti avvenga unicamente sulla base di vincoli contrattuali, e (ii) alla portata applicativa dei principi affermati dalla medesima CGUE nella sentenza Intel con riguardo al valore del test del c.d. “as efficient competitor” (AEC).

In via introduttiva, giova ricordare che il rinvio si inserisce nel contesto dell’appello promosso da Unilever avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo regionale per il Lazio (il TAR) che aveva integralmente confermato la decisione dell’AGCM del 2017, con la quale era stata irrogata a Unilever un’ammenda superiore a 60 milioni di euro per l’ abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE posto in essere nel mercato dei gelati preconfezionati per consumo immediato.

Secondo l’AGCM, prima, e il TAR poi, Unilever doveva ritenersi responsabile in via diretta ed esclusiva delle condotte poste in essere dai propri distributori nei confronti dei punti vendita che offrono i prodotti Unilever, consistenti nell’imposizione nei confronti dei secondi di clausole di esclusiva accompagnate da un articolato insieme di sconti e commissioni condizionati (a) al raggiungimento di determinate soglie di ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti Unilever e (b) alla commercializzazione di determinati assortimenti di prodotti Unilever. Ciò in quanto, ad avviso dell’AGCM, sebbene tali condotte fossero formalmente poste in essere dai distributori di Unilever, essi non dovevano ritenersi degli operatori economici indipendenti per effetto di un alto grado di interferenza esercitato da Unilever nei confronti delle politiche commerciali da essi adottate.

In secondo luogo, l’AGCM e il TAR avevano ritenuto di non dover tenere conto degli studi economici prodotti da Unilever al fine di dimostrare che la prassi contestata non fosse idonea ad avere effetti preclusivi nei confronti dei propri concorrenti almeno altrettanti efficienti, in quanto, ad avviso dell’AGCM, i principi enunciati dalla CGUE nella sentenza Intel dovrebbero essere applicati esclusivamente ai casi dove vengano in rilievo sconti fidelizzanti e non anche a condotte più articolate ricomprendenti anche clausole di esclusiva.
Richiamate le conclusioni dell’Avvocato Generale Rantos, già oggetto di commento nella presente Newsletter, con riferimento al primo quesito la CGUE chiarisce che una condotta adottata – come nel caso di specie – da operatori diversi da quello in posizione dominante, può nondimeno essere imputata a quest’ultimo laddove venga dimostrato che tale condotta è stata posta in essere conformemente a istruzioni specifiche impartire dall’impresa dominante “…a titolo di esecuzione di una politica decisa unilateralmente…” da essa.

Tale conclusione – ad avviso della CGUE – vale, in particolare, in situazioni come quella nel caso di specie, dove tali clausole erano sottoposte dai distributori ai gestori dei punti vendita senza alcuna possibilità di apportare modifiche, salvo espresso assenso del produttore.

Quanto al secondo quesito, dopo aver sottolineato che un abuso di posizione dominante può essere accertato, “in particolare”, quando la condotta abbia “…prodotto effetti preclusivi nei confronti di concorrenti di efficienza quantomeno pari all’autore di tale comportamento…”, o, ancora, qualora detto comportamento si sia fondato “…sull’utilizzo di mezzi diversi da quelli riconducibili ad una concorrenza ‘normale’, vale a dire fondata sui meriti…”, la CGUE offre una sorta di “interpretazione autentica” del contenuto della sentenza Intel affermando che una compiuta valutazione degli effetti – favorevoli e sfavorevoli – per la concorrenza derivanti dalla condotta contestata, può essere effettuata solo a seguito di un’attenta analisi della capacità escludente di essa con riguardo a “…concorrenti efficienti almeno tanto quanto l’impresa in posizione dominante…”; tale conclusione, ad avviso della CGUE, sebbene riferita in Intel ai soli meccanismi di sconto, ha portata più ampia, dovendosi applicare anche a condotte più articolate, incluse le clausole di esclusiva (e ciò anche in ragione della necessità di garantire un pieno esercizio del diritto di difesa).

Pertanto, fermo restando che l’uso da parte di un’impresa in posizione dominante di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti può essere sufficiente, in determinate circostanze, a denotare l’esistenza di un abuso, la CGUE ha in conclusione chiarito come il test dell’AEC (i) rappresenti solo “…uno dei diversi metodi che consentono di valutare se una [condotta] abbia la capacità di produrre effetti preclusivi…”, non potendosi dunque ritenere che le autorità antitrust abbiano l’obbligo giuridico di fondarsi su tale criterio per dichiarare il carattere abusivo di una condotta, e che, tuttavia, (ii) “…laddove un’impresa in posizione dominante […] fornisca ad un’autorità [antitrust] un’analisi fondata sul criterio del concorrente altrettanto efficiente…”, essa non possa escludere tale prova senza esaminarne il valore probatorio, anche nel caso in cui le condotte controverse siano molteplici, e anche laddove gli effetti cumulati di tali condotte non possano essere presi in considerazione mediante tale criterio (per esempio perché solo gli effetti di alcune condotte possono essere stimati).

La pronuncia appare di particolare rilievo dal momento che, da un lato, determina una possibile significativa, forse eccessiva, espansione del concetto di “singola unità economica” e, dall’altro, ribadisce la centrale importanza dell’analisi economica e della necessità di garantire un pieno esercizio dei diritti di difesa.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Private enforcement e disclosure – La CGUE chiarisce a quali condizioni il giudice nazionale può ordinare la divulgazione di prove anche qualora il procedimento civile sia stato sospeso

Con la sentenza pubblicata lo scorso 12 gennaio, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale presentato dalla Corte Suprema della Repubblica Ceca (CSRC) nell’ambito di un’azione c.d. standalone per il risarcimento del danno da illecito antitrust promossa da RegioJet a.s. (RegioJet), un operatore di trasporto ferroviario asseritamente danneggiato da un potenziale abuso di posizione dominante consistente nell’applicazione di prezzi predatori in una specifica tratta da parte di České dráhy, a.s. (ČD), operatore ferroviario incumbent nella Repubblica Ceca.

Ai fini del presente commento è opportuno riportare brevemente alcuni elementi fattuali. Nel 2012, l’autorità ceca garante della concorrenza (UOHS) ha avviato un’istruttoria per accertare la potenziale condotta abusiva. Nel 2015, non essendo la UOHS ancora giunta ad una decisione, RegioJet ha deciso di promuovere un’azione standalone in sede civile. Tuttavia, nel 2016 la Commissione europea (la Commissione) ha deciso di avviare anch’essa un’indagine avente ad oggetto i medesimi fatti e, di conseguenza, la UOHS ha sospeso il proprio procedimento in ossequio alle disposizioni di coordinamento contenute nel Regolamento (UE) 1/2003. Lo stesso ha fatto successivamente il giudice nazionale, non prima però che il ricorso in merito ad una negata istanza di esibizione documentale giungesse dinanzi alla CSRC.

Con riferimento alle principali questioni pregiudiziali, la CGUE ha innanzitutto stabilito che la Direttiva 2014/104, conosciuta agli addetti ai lavori come la Direttiva Danni (la Direttiva), non osta a che un giudice nazionale possa ordinare l’esibizione di prove in un giudizio promosso per ottenere il risarcimento del danno da illecito antitrust quando tale procedimento sia stato sospeso in attesa dell’esito di un’indagine della Commissione sui medesimi fatti.

Per giungere a tale conclusione, la CGUE ha evidenziato come la sospensione del giudizio non comporti alcuna perdita di competenza in capo al giudice nazionale, bensì solo una limitazione della stessa. Il giudice deve infatti unicamente astenersi dall’adottare decisioni che siano in contrasto con una precedente decisione della Commissione ed evitare decisioni contrastanti con quella contemplata dalla Commissione in un procedimento da essa avviato. Sul punto, la CGUE ha riconosciuto che ordinare ad una parte la divulgazione di prove non costituisce una decisione che in linea di principio è suscettibile di essere in contrasto con una decisione della Commissione, e ciò anche alla luce della circostanza per cui la Direttiva prevede che qualora si chieda l’esibizione di prove che non siano meritevoli di specifica tutela – così come individuate dalla Direttiva stessa – il giudice possa procedere a tale ordine “in qualsiasi momento”.

Ciò premesso, la CGUE chiarisce altresì che il giudice nazionale è comunque tenuto a limitare la divulgazione di prove a quanto è strettamente pertinente, proporzionato e necessario. Pertanto, quando ingiunge alle parti o a terzi la divulgazione di prove nell’ambito di un’azione di risarcimento danni che è stata sospesa a causa dell’avvio di un procedimento di indagine da parte della Commissione, il giudice deve assicurarsi che tale divulgazione, che deve dar seguito ad una domanda sufficientemente circoscritta e suffragata, sia necessaria e proporzionata ai fini della prosecuzione di tale azione.

Infine, la CGUE ha stabilito che una normativa nazionale che subordina l’esibizione delle prove contenute nel fascicolo dell’autorità antitrust a tutte le prove che siano state genericamente “presentate” ai fini del procedimento all’avvenuta chiusura del procedimento stesso risulta incompatibile con il diritto dell’Unione. Tale limitazione appare infatti giustificata solo con riferimento alle informazioni “elaborate” specificamente ai fini del procedimento avviato dall’autorità garante della concorrenza.

Pertanto, con la pronuncia in commento la CGUE ha contribuito a delineare ulteriormente il perimetro degli ordini di esibizione documentale che possono essere adottati dai giudici nazionali, differenziando tra informazioni “presentate” e informazioni “elaborate” ai fini del public enforcement, fermo restando un rigoroso rispetto del principio di proporzionalità.

Niccolò Antoniazzi

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Appalti e concessioni / Beneficio dell’incremento del quinto – L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato chiarisce a quali condizioni possano beneficiarne le imprese raggruppate in RTI c.d. misti

Con la sentenza del 13 gennaio 2023, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (l’Adunanza Plenaria) ha finalmente chiarito come l’istituto del c.d. “incremento del quinto”, attualmente previsto per la partecipazione agli appalti di lavori pubblici dall’art. 61, comma 2, del d.P.R. n. 207 del 2010 (il Regolamento), debba essere applicato alle varie tipologie di raggruppamenti temporanei di imprese (RTI).

L’istituto prevede infatti che una impresa possa partecipare alla gara ed eseguire i relativi lavori nei limiti della propria classifica e dei propri requisiti, aumentati di un quinto. In altri termini, se in linea generale un’impresa può svolgere una prestazione solo se in possesso di una specifica qualifica per l’attività da eseguire (e.g., OG 1 per Edifici civili e industriali) e solamente nei limiti dell’importo massimo previsto dalla relativa categoria posseduta (e.g., Classifica I - fino a euro 258.000), il c.d. “incremento del quinto” consente alle imprese di svolgere prestazioni che altrimenti non sarebbero state qualificate ad eseguire, nei limiti di un 20% in più rispetto alla qualifica posseduta.

In tale contesto, il profilo problematico attiene all’applicazione di tale regola agli RTI, nei cui confronti, la stessa norma prevede che tale beneficio si applichi a ciascuna impresa raggruppata a condizione che la singola impresa sia qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara.

Da un lato, emerge con chiarezza la finalità pro-concorrenziale della norma nella misura in cui consente ad una impresa (e in particolare alle PMI) che, astrattamente, non avrebbe i requisiti per partecipare ad una gara o di eseguire i relativi lavori, di essere comunque idonea all’aggiudicazione, potendo qualificarsi per lavori pari ad un valore superiore ad un quinto rispetto a quanto le sarebbe possibile sulla base delle sole qualifiche effettivamente possedute. Dall’altro, il contrapposto interesse della pubblica amministrazione ad aggiudicare solo ad operatori efficienti e in grado di portare a termine il lavoro affidato giustifica la condizione per cui il “beneficio del quinto” operi solamente nei confronti delle imprese raggruppate in RTI che già detengano una qualificazione pari almeno ad un quinto dell’importo totale dei lavori della gara e che, pertanto, potrebbero qualificarsi per eseguire il 20% del lavoro complessivo.

Da tempo la giurisprudenza si è interrogata su come tale istituto dovesse trovare applicazione con riferimento alle diverse tipologie di raggruppamento. Infatti, la norma è risultata pacificamente applicabile solamente con riferimento ai raggruppamenti c.d. orizzontali, in cui ogni impresa mandante svolge una quota dell’appalto complessivo. In tale ipotesi, sin dalle sue prime applicazioni, si riteneva che la singola impresa raggruppata potesse beneficiare del “beneficio del quinto” solamente a patto che vantasse una qualificazione pari almeno ad un quinto dell’intero valore dell’appalto in oggetto.

Al contrario, era controverso come tale disposizione operasse con riferimento ai raggruppamenti c.d. verticali, in cui in cui uno degli operatori economici raggruppati è chiamato ad eseguire i lavori della “categoria prevalente” – ovvero la prestazione principale – mentre gli altri sono preposti all’esecuzione di altre tipologie di lavori nelle “categorie scorporabili”, ovvero in prestazioni/lavorazioni di natura accessoria. In tale ipotesi, infatti la regola generale vorrebbe che ciascuna impresa partecipante all’RTI vanti i requisiti solo per lo svolgimento delle attività che deve svolgere e, pertanto, solamente nella rilevante “categoria prevalente” o nelle diverse “categorie scorporabile”, non anche per il lavoro complessivo dell’appalto. In tale contesto, non era chiaro se e quando una impresa potesse beneficiare del “benefico del quinto”. Ancora più incerta, era l’applicazione della norma con riferimento ai raggruppamenti c.d. misti, in cui all’interno di un raggruppamento verticale, le singole prestazioni scorporabili sono eseguite da una pluralità di operatori, a loro volta costituiti in dei sub-raggruppamenti orizzontali.

A fronte di tale incertezza, l’Adunanza Plenaria ha inteso fissare in modo chiaro e definitivo le condizioni in cui il “beneficio del quinto” operi con riferimento ai raggruppamenti verticali c.d. puri e raggruppamenti verticali c.d. misti. Con riferimento ai primi, in cui ciascuna impresa esegue completamente i lavori della propria categoria scorporata, si è stabilito che l’operatore può sempre giovarsi dell’incremento premiale del quinto, senza condizioni.

Con rifermento ai secondi, si è inteso valorizzare la funzione pro-concorrenziale dell’istituto nato proprio per garantire una più vasta partecipazione alle gare. Tale finalità sarebbe stata frustrata, ove nei casi di raggruppamenti misti, al fine di beneficiare dell’incremento del quinto, le singole imprese raggruppate per eseguire le varie prestazioni scorporabili avrebbero dovuto vantare requisiti per eseguire autonomamente il 20% dell’intero appalto. In linea con quanto sopra, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto che al fine di beneficiare dell’aumento del quinto, i componenti di ciascuno dei sub-raggruppamenti di tipo orizzontale devono essere qualificati per almeno un quinto dell’importo dei lavori della categoria prevalente o della categoria scorporata in cui lo stesso componente partecipa, e non anche con riferimento all’intero appalto oggetto della gara. Del resto, una diversa conclusione, avrebbe reso verosimilmente inapplicabile l’istituto ai raggruppamenti c.d. misti che, solitamente, vengono costituiti in relazione ad appalti di elevato importo e complessità che, per l’appunto, giustifica la partecipazione di diversi operatori anche per una singola categoria scorporabile.

In conclusione, l’Adunanza Plenaria ha ancora una volta aderito ad un approccio interpretativo di tipo pragmatico e sistematico, volto a favorire il più possibile la partecipazione anche degli operatori più piccoli alle procedure di gara, in linea con i principi più volti enunciati dalla Corte di Giustizia e dal diritto euro-unitario.

Enrico Mantovani

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