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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 20 marzo 2023

Diritto della concorrenza – Europa / Concentrazioni e abusi – La Corte di Giustizia conferma che le autorità nazionali possono applicare l’articolo 102 TFUE alle concentrazioni sottosoglia

Con la sentenza pubblicata lo scorso 16 marzo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale promosso dalla Corte d’Appello di Parigi volto a chiarire i confini tra l’ambito di applicazione del Regolamento UE sul controllo delle concentrazioni n. 139/2004 (EUMR) e quello del divieto di abuso di posizione dominante nel caso di operazioni di concentrazione che non vengano sottoposte ad alcun meccanismo di scrutinio ex ante. Più nello specifico la CGUE ha risposto al quesito se l’art. 102 TFUE possa essere applicato a concentrazioni che non superino le soglie di rilevanza né comunitaria né nazionale e che non siano state oggetto di rinvio alla Commissione europea (la Commissione) ai sensi dell’art. 22 EUMR.

La vicenda oggetto del procedimento principale trae origine dall’acquisizione del controllo esclusivo di ITAS (ITAS), società attiva nel mercato della diffusione di servizi televisivi via digitale terrestre in Francia (i servizi DDT), da parte di Télédiffusion de France (TDF), società che fino al 2004 ricopriva le vesti di monopolista legale nel medesimo settore. Tale operazione, conclusa nel 2016, non era stata notificata né alla Commissione né alla Autorité de la Concurrence (la ACF), in quanto non erano state superate le soglie di fatturato stabilite rispettivamente dalla EUMR e dal Codice di Commercio Francese, né era stata oggetto di referral alla Commissione ex art. 22 EUMR. Ciononostante, a seguito di una segnalazione trasmessa successivamente dall’operatore concorrente Towercast SASU (Towercast), la ACF ha trasmesso a TDF una notifica degli addebiti ritenendo che l’operazione costituisse un abuso di posizione dominante “strutturale” nei mercati all’ingrosso, a monte e a valle, della diffusione dei servizi DDT. Tuttavia, la stessa ACF ha successivamente chiuso il procedimento senza accertare alcuna infrazione, ritenendo in sostanza che (i) l’adozione della EUMR (anche a partire dal precedente regolamento UE sulle concentrazioni del 1989) avesse tracciato una netta linea di demarcazione tra il controllo delle concentrazioni e quello delle pratiche anticoncorrenziali, e che (ii) la EUMR si applichi alle concentrazioni in via esclusiva, precludendo di conseguenza l’applicabilità dell’art. 102 TFUE a un’operazione di concentrazione in assenza di un comportamento abusivo distinto dalla mera operazione. Avverso tale decisione, Towercast ha presentato ricorso dinanzi al giudice del rinvio.

Sul merito della questione, la CGUE ha innanzitutto evidenziato come la EUMR non escluda a priori la possibilità di esercitare un controllo ex post delle concentrazioni poiché tale regolamento va ricondotto in un quadro normativo inteso a dare attuazione alle disposizioni di cui agli artt. 101 e 102 TFUE. Infatti, non solo la base giuridica per l’adozione della EUMR si rinviene nell’art. 103 TFUE, il quale prevede la possibilità di introdurre regolamenti e direttive “utili ai fini dell’applicazione dei principi contemplati dagli articoli 101 e 102”, ma è la stessa EUMR (al considerando n. 7) ad affermare che tali articoli “non sono sufficienti a controllare tutte le concentrazioni con effetti distorsivi”. Inoltre, la CGUE ha precisato che, sebbene l’art. 21 EUMR – il quale esclude l’applicabilità del Regolamento (UE) n. 1/2003, ossia le norme per l’applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE, alle concentrazioni – rimandi ad una definizione “sostanziale” di concentrazione, nel definire l’ambito di applicazione del regolamento non si può prescindere dal considerare le soglie che conferiscono all’operazione una dimensione comunitaria.

Con riferimento alle operazioni sottosoglia, residuerebbe dunque uno spazio a favore del diritto procedurale degli Stati membri per l’applicazione dell’art. 102 TFUE, norma di diritto primario che si ricorda avere effetto diretto e che non riconosce alcuna eccezione. Dunque, la CGUE sottolinea che, nel valutare tale ipotesi di abuso strutturale, le autorità nazionali dovranno innanzitutto verificare se (i) la società acquirente benefici, già prima dell’operazione, di una posizione dominante nel mercato rilevante, e successivamente se (ii) la concentrazione abbia ostacolato sostanzialmente la concorrenza in tale mercato, ovvero se “il dominio così raggiunto lasci sul mercato solo imprese dipendenti per il loro comportamento dall’impresa dominante”.

Con la sentenza oggetto di commento, la CGUE ha definitivamente chiarito – in linea con quanto indicato dall’Avvocato Generale Kokott nelle sue conclusioni (già oggetto di commento in questa Newsletter)– che una concentrazione non soggetta ad uno scrutinio ex ante ai sensi della EUMR e del diritto nazionale può essere invece sottoposta ad uno scrutinio ex post ai sensi dell’art. 102 TFUE.

La sentenza, pur non sorprendente, è importante in quanto, in una fase di espansione dell’ambito e delle ambizioni dei regimi di merger control, conferma la disponibilità in capo alle autorità antitrust di un ulteriore strumento di enforcement che potrebbe rivelarsi utile specialmente nei casi di acquisizione di start-up attive in settori altamente innovativi (le c.d. killer acquisitions).

Resta peraltro da chiarire fino in fondo se l’art. 102 TFUE possa trovare applicazione in relazione a operazioni di concentrazione che sono state notificate ad una autorità nazionale e pertanto al di fuori dell’ambito applicativo dell’art. 21 EUMR.

Niccolò Antoniazzi

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Concentrazioni e settore del trasporto aereo – La Corte di Giustizia rigetta definitivamente l’appello di American Airlines nella causa sui diritti acquisiti da Delta per l’aeroporto di London Heathrow

Con la sentenza dello scorso 16 marzo (la Sentenza), la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) ha integralmente respinto l’impugnazione proposta da American Airlines Inc. (American Airlines) avverso la decisione della Commissione europea (la Commissione) del 30 aprile 2018 di riconoscimento dei diritti acquisiti da Delta Air Lines Inc. (Delta) a seguito dagli impegni presentati dalla stessa American Airlines nel contesto della propria fusione con US Airways Group (US Airways, congiuntamente con American Airlines, le Parti), avvenuta nel 2013.

La vicenda aveva preso le mosse dal procedimento di esame della citata concentrazione tra American Airlines e US Airways, nel corso del quale la Commissione aveva ritenuto che tale operazione suscitasse seri dubbi antitrust, in relazione alla rotta tra gli aeroporti London Heathrow e Philadelphia International Airport. Al fine di rispondere alle criticità concorrenziali evidenziate dalla Commissione, le Parti avevano proposto taluni rimedi, poi approvati dalla Commissione nell’agosto 2013. Tali rimedi includevano la cessione di una serie di bande orarie (slot) dell’aeroporto di Heathrow ad un nuovo entrante, con la possibilità per quest’ultimo di acquisire definitivamente i diritti su tali slot qualora ne fosse stato fatto un “uso adeguato” durante il periodo di utilizzo di sei stagioni consecutive (c.d. “grandfathering rights”). In tale contesto, Delta fu l’unica compagnia aerea a presentare un’offerta per l’assegnazione degli slot e, in seguito all’approvazione dell’accordo con American Airlines da parte della Commissione, iniziò ad operare la rotta Heathrow-Philadelphia all’inizio della stagione aerea dell’estate 2015.

Successivamente, il 28 settembre 2015 American Airlines ha inviato una lettera alla Commissione asserendo che Delta non avrebbe operato gli slot ottenuti in modo conforme alla sua offerta iniziale e che pertanto non avrebbe fatto un “uso adeguato” di tali bande durante le stagioni estiva 2015 e invernale 2015/2016. Di conseguenza, tali stagioni non avrebbero dovuto essere contabilizzate nel periodo di utilizzo per l’ottenimento di diritti acquisiti. Tuttavia, in data 30 aprile 2018, la Commissione ha adottato una decisione (la Decisione) in cui constatava che Delta avesse fatto un uso adeguato degli slot durante il periodo di utilizzo, riconoscendo pertanto i grandfathering rights a quest’ultima.

Nella Decisione, la Commissione si è concentrata sull’interpretazione letterale di talune espressioni inserite dalle Parti nella proposta finale degli impegni ed in particolare sul corretto significato dell’espressione “uso adeguato”, che costituisce il criterio giuridico propedeutico alla concessione dei grandfathering rights. Nell’ottica della Commissione, l’interpretazione corretta di tale espressione si ricaverebbe sulla base dell’art. 10, paragrafo 2, del Regolamento (CEE) n. 95/93 sull’assegnazione delle bande orarie negli aeroporti comunitari (il Regolamento sugli slot), ove è espresso il principio secondo cui, “…affinché un vettore aereo possa operare le bande orarie assegnate durante il periodo successivo, deve dimostrare di aver operato le stesse per almeno l’80% del tempo nel corso del periodo di pianificazione oraria per la quale esse sono state assegnate” (c.d. “Regola 80/20”). A parere della Commissione, dunque, sarebbe stato irragionevole esigere dal nuovo potenziale entrante una percentuale di utilizzo pari al 100% (come preteso da American Airlines), in quanto ciò avrebbe reso molto meno attraenti i rimedi basati sugli slot, dal momento che tale requisito sarebbe, oltre che sproporzionato rispetto alla norma che prevede un utilizzo degli slot nella misura dell’80%, già molto difficile da soddisfare.

American Airlines aveva dunque impugnato la Decisione dinanzi al Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale), deducendo un errore di diritto relativo all’interpretazione del termine “uso adeguato”. Tuttavia, il Tribunale aveva constatato che lo stesso era stato interpretato correttamente dalla Commissione nel senso di “assenza di uso improprio” e conformemente ad una lettura sistematica della clausola in questione con il Regolamento sugli slot. Il ricorso veniva pertanto respinto e la sentenza appellata da American Airlines.

La CGUE, in ultima istanza, ha respinto ora definitivamente l’impugnazione, avallando sia la decisione della Commissione che la sentenza del Tribunale, nonché conformandosi alle conclusioni dell’Avvocato Generale Rantos (già oggetto di commento nella nostra Newsletter del 18 luglio 2022).

La Sentenza è d’interesse, inoltre, perché con essa la CGUE ha colto l’occasione per ribadire alcuni importanti principi di diritto relativi alla ratio e all’interpretazione dei rimedi presentati nel contesto di concentrazioni. In particolare, la CGUE chiarisce che (i) i rimedi devono poter eliminare i problemi di concorrenza constatati e garantire strutture di mercato concorrenziali. In particolare, contrariamente ai rimedi assunti nel corso del procedimento di fase II, quelli proposti nel corso della fase I non mirano ad impedire un ostacolo significativo ad una concorrenza effettiva ma piuttosto a dissipare chiaramente tutti i seri dubbi al riguardo e la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale per valutare se tali misure correttive costituiscano una risposta diretta e sufficiente in grado di dissipare tali dubbi. La CGUE inoltre afferma che (ii) i rimedi basati sugli slot sono volti a riprodurre non il servizio giornaliero completo precedentemente gestito da una delle parti della concentrazione, ma piuttosto la medesima pressione concorrenziale precedentemente esercitata da queste ultime; la cessione di slot a un nuovo operatore deve quindi consentirgli di utilizzare tali slot alle stesse condizioni previste per le parti della concentrazione prima della stessa. Infine, la CGUE aggiunge l’importante chiarimento volto ad indicare che (iii) il formulario MC non è un documento meramente preparatorio, bensì un documento complementare ai rimedi che raccoglie le informazioni pertinenti dirette a dimostrare che le misure correttive così adottate sono atte a rendere l’operazione di concentrazione di cui trattasi compatibile con il mercato interno. Pertanto, tale documento riveste un’importanza fondamentale per consentire alla Commissione di valutare il contenuto, l’obiettivo, la redditività e l’efficacia dei rimedi proposti.

Luca Casiraghi

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Tutela del consumatore / Clausole abusive e settore bancario – La Corte di Giustizia chiarisce quando è integrata la natura abusiva di una clausola di un mutuo ipotecario contenente una commissione di apertura del credito

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE), con la sentenza del 16 marzo 2023 relativa alla causa C-565/21, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale da una controversia sorta dinanzi al Tribunal Supremo (la Corte Suprema spagnola), tra CaixaBank SA (l’Istituto bancario) e un consumatore (il Consumatore), ha chiarito le condizioni in presenza delle quali una clausola prevista in un contratto di credito ipotecario relativa ad una commissione di apertura del mutuo è “abusiva” ai sensi del diritto dell’Unione Europea sui contratti con i consumatori.

Nel dirimere in punto di diritto la questione, la CGUE prende le mosse dai parametri per il controllo del carattere abusivo di una siffatta commissione, fissati dagli artt. 3, 4, e 5 dalla Direttiva 93/13/CEE (la Direttiva) (la quale – come noto – è stata trasposta in Italia con regole ora contenute nel Codice del Consumo, agli articoli 33 ss., ove peraltro si parla invece di clausole “vessatorie”).

La Direttiva prevede che il carattere abusivo/vessatorio di una clausola è valutato tenendo conto della natura dei beni e dei servizi oggetto del contratto e dunque, come chiarito dalla stessa CGUE, con ciò si devono intendere le clausole “…che fissano le prestazioni essenziali dello stesso contratto e che, come tali, lo caratterizzano…”.

La CGUE evidenzia, inoltre, in ordine al requisito della trasparenza fissato dall’art. 4 par. 2 della Direttiva, come questo non debba ritenersi limitato al carattere comprensibile sul piano formale e lessicale delle clausole, ma che tale requisito debba essere interpretato in maniera estensiva. Tale impostazione, a ben vedere, è coerente con la ratio di fondo dell’intero sistema di tutela del consumatore della Direttiva: ovvero l’idea che il consumatore versi in una situazione di asimmetria informativa, che lo qualifica come parte contrattuale debole.

Pertanto, l’obbligo di trasparenza va inteso nel senso che una clausola che preveda una commissione di apertura di credito non solo deve essere grammaticalmente comprensibile per il consumatore, ma deve “…esporre in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo al quale si riferisce la clausola […] in modo che il consumatore sia posto in grado di valutare le conseguenze economiche che gliene derivano…”. In altre parole, la natura chiara e comprensibile della clausola deve essere dedotta dal contratto considerato nel suo complesso e spetta pertanto al giudice nazionale adito valutare di volta in volta la sussistenza di tali requisiti, alla luce del complesso degli elementi di fatti rilevanti.

La CGUE suggerisce ad adiuvandum alcuni elementi di fatto rilevanti sulla base dei quali il giudice nazionale può operare tale valutazione, quali, ad esempio, la pubblicità di un istituto bancario in relazione al tipo di contratto sottoscritto, l’informazione fornita dal mutuante nell’ambito della negoziazione nonché anche la collocazione e la struttura della clausola all’interno del contratto. Elementi, questi, che posso essere presi in considerazione ai fini della valutazione della chiarezza e comprensibilità della clausola, ma sempre tenendo conto del livello di attenzione che ci si può aspettare dal consumatore medio.

Infine, la CGUE ha sottolineato come il giudice adito, nel verificare la sussistenza del requisito della trasparenza, così come previsto dall’art. 4 della Direttiva, non possa prendere in considerazione la notorietà diffusa tra i consumatori di una clausola che prevede una commissione di apertura, in quanto tale elemento è indipendente dal modo in cui siffatta clausola è redatta nell’ambito di un contratto specifico (come quello di cui si tratta nel caso di specie).

In conclusione, la sentenza in esame costituisce un importante monito della CGUE ad evitare interpretazioni atomistiche dei contratti, specificamente in relazione al profilo della abusività (o vessatorietà – nel nostro ordinamento) di clausole inserite in rapporti fra professionisti e consumatori. In tale contesto, l’oggetto principale dei contratti, pur non potendo in quanto tale essere soggetto allo scrutinio del giudice o dell’autorità di tutela dei consumatori (l’AGCM, in Italia), resta nondimeno un imprescindibile riferimento nella valutazione da operare ai sensi della Direttiva (e relativa normativa di attuazione).

Shirin Farvid

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Energy / Riforma del mercato dell’energia elettrica – La Commissione europea ha proposto di riformare l’assetto del mercato dell’energia elettrica dell’UE

In data 14 marzo 2023, la Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato una proposta di riforma del mercato dell’energia elettrica dell’Unione europea (la Proposta). A tal proposito, la Commissione ha proposto di apportare modifiche ai seguenti atti legislativi: (i) Regolamento (UE) n. 2019/943 sul mercato interno dell’energia elettrica; (ii) Direttiva (UE) n. 2019/944 relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica; e (iii) Regolamento (UE) n. 1227/2011 concernente l’integrità e la trasparenza del mercato dell’energia all’ingrosso.

La Proposta è incentrata su aspetti che richiedono adeguamenti urgenti in particolar modo per ridurre l’impatto dei prezzi del gas sulle bollette dell’energia elettrica, sostenendo allo stesso tempo la transizione energetica (esigenza messa in evidenza soprattutto alla luce della crisi energetica provocata dal conflitto russo-ucraino).

In primo luogo, la Proposta introduce una serie di misure tese a incentivare contratti a più lungo termine e più stabili con produttori di energia non fossile (e.g. i nuovi investimenti nelle rinnovabili fruiranno del sostegno pubblico grazie ai contratti bidirezionali per differenza). Fine ultimo è quello di far in modo che le bollette elettriche dei consumatori possano risentire meno dell’impatto dei combustibili fossili e riflettano il costo inferiore delle energie rinnovabili.

In secondo luogo, un altro degli obiettivi centrali della riforma è il rafforzamento della protezione dei consumatori. Contro le impennate dei prezzi, come quelle provocate dalla guerra energetica della Russia contro l’Ucraina, la Proposta conferisce ai consumatori, infatti, nuovi diritti e una scelta contrattuale più ampia. Più in particolare, la Proposta obbliga tutti gli Stati membri a garantire ai consumatori il diritto a un contratto a prezzo fisso, permettere loro di concludere contratti multipli o contratti su misura combinati e di accedere a informazioni precontrattuali più chiare. La Proposta, tuttavia, prevede che i consumatori potranno contestualmente beneficiare della variabilità dei prezzi per consumare energia elettrica quando costa meno, ad esempio per ricaricare veicoli elettrici.

In aggiunta a quanto sopra, la Proposta prevede che tutti gli Stati membri dovranno designare un fornitore di ultima istanza in modo che nessun consumatore resti senza energia elettrica in caso di inadempimento del fornitore. Inoltre, secondo la Proposta, tutti gli Stati membri dovranno garantire che i consumatori vulnerabili in arretrato nei pagamenti non siano scollegati dalla fornitura. In caso di crisi, gli Stati membri potranno estendere i prezzi al dettaglio regolamentati alle famiglie e alle PMI.

La Proposta sarà adottata secondo la procedura legislativa ordinaria e, pertanto, i vari atti legislativi dovranno essere discussi e ottenere l’accordo del Parlamento europeo e del Consiglio. La Commissione confida che i co-legislatori trattino la Proposta in via prioritaria e ne auspica l’adozione nel minor tempo possibile.

Mila Filomena Crispino

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Appalti, concessioni e regolazione / Concessioni e proroghe automatiche – Il Consiglio di Stato ha confermato la natura di norma self executing del divieto UE di proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime

Il Consiglio di Stato (il CdS), con la sentenza pubblicata il 1 marzo 2023 (la Sentenza), ha accolto il ricorso presentato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ai sensi dell’art. 21-bis della legge del 10 ottobre 1990, n. 287 contro la deliberazione del Comune di Manduria (TA), con cui si estendeva il termine di durata delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative fino al 31 dicembre 2023 in ossequio a quanto disposto dall’art. 1 commi 682, 683 e 684 della l. del 30 dicembre 2018, n. 45 (la l. n. 145/2018).

Il CdS, riprendendo le motivazioni della precedente pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nelle sentenze del 9 novembre 2021, nn. 17 e 18, ha riconosciuto la natura di disposizione self executing della Direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkestein) e, in particolare, dell’art. 12, il quale pone un espresso divieto agli Stati membri di prevedere procedure di rinnovo automatico delle autorizzazioni allo svolgimento di servizi il cui numero sia limitato o di accordare altri vantaggi al prestatore uscente. La Sentenza ha infatti individuato in quest’ultima disposizione i requisiti di dettaglio e specificità riconosciuti necessari a tal fine dalla giurisprudenza UE, indicando come fondamentali criteri per la loro valutazione l’analisi dei risultati di volta in volta perseguiti dalla disposizione euro-unitaria e il tipo di disposizione nazionale necessaria a realizzare tali risultati.

Il CdS ha quindi riconosciuto come, ai fini dell’applicabilità dell’art. 12 della Direttiva n. 2006/123/CE, debba riconoscersi alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative la qualificazione in termini di autorizzazione alla fornitura di servizi nell’accezione specificata dalla direttiva e debba considerarsi sussistente il requisito della scarsità della risorsa naturale a disposizione di nuovi potenziali operatori economici.

È stato inoltre confermato nella Sentenza il principio, pacifico nella giurisprudenza del CdS, per cui il dovere di disapplicare la norma interna in contrasto con quella euro-unitaria auto-esecutiva deve considerarsi applicabile non solo ai giudici ma anche a tutti gli organi della pubblica amministrazione.

Sulla base di quanto precedentemente deciso dall’Adunanza Plenaria, il CdS ha, infine, sostenuto – nella forma di obiter dictum – che non solo i commi 682 e 683 dell’art. 1 della l. n. 145/2018, ma anche ogni norma che dovesse sopraggiungere in futuro prevedendo la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere – compresa la disposizione contenuta nell’art. 10-quater, comma 3, del decreto legge 29 dicembre 2022, n. 198 (c.d. decreto Milleproroghe) – si pone in “frontale contrasto” con la disciplina di cui all’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE, e va, conseguentemente, disapplicata da qualunque organo dello Stato. Con quest’ultimo passaggio, sembra quindi che il CdS, andando oltre l’oggetto della controversia sottopostagli, abbia voluto inviare un messaggio chiaro al legislatore su una vicenda da anni al centro del dibattito pubblico (e, in misura minore ed in modo invero meno controverso, di quello giuridico).

Alberto Galasso