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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE /Antitrust e settore digitale – La Commissione europea ha avviato un procedimento nei confronti di Google per condotte anticoncorrenziali nei servizi di pubblicità online

Con il press release dello scorso 22 giugno, la Commissione europea (la Commissione) ha comunicato l’avvio di un procedimento istruttorio (il Procedimento) nei confronti di Google Inc. (Google), al fine di valutare se quest’ultima abbia posto in essere una serie di condotte in violazione delle norme antitrust dell’Unione europea in tema di accordi tra imprese concorrenti (ai sensi dell’articolo 101 TFUE) e di abuso di posizione dominante (ai sensi dell’articolo 102 TFUE), in particolare favorendo i propri servizi di fornitura di tecnologie per la pubblicità online all’interno del settore dei servizi di ‘ad tech’, ossia al fine di pubblicare banner e video pubblicitari sul web e su app mobili. Tale materiale pubblicitario permette agli editori di finanziare la creazione di contenuti, spesso fruibili gratuitamente degli utenti.

Come specificato nel press release, la Commissione intende investigare in dettaglio se siffatte condotte – qualora fosse provata l’effettiva adozione delle stesse da parte di Google – siano andate a detrimento non solo dei concorrenti di Google attivi nei servizi di fornitura di tecnologie per l’online advertising ma anche degli inserzionisti e degli editori.

Google riveste un ruolo di particolare rilevanza in tale settore, in quanto fornisce diversi servizi di intermediazione tra inserzionisti ed editori, al fine di permettere la pubblicazione e visualizzazione degli annunci sui vari siti web ed app presenti sui dispositivi mobili.

Alla luce della rilevanza della posizione di Google, la Commissione ha dichiarato l’intenzione di analizzare in particolare le seguenti condotte:

  • l’obbligo asseritamente imposto da Google ai soggetti terzi di utilizzare i propri servizi (ossia, Google Display & Video 360 e/o Google Ads) per acquistare spazi pubblicitari sulla piattaforma YouTube;
  • l'obbligo asseritamente imposto da Google di utilizzare la propria piattaforma di annunci pubblicitari che offre agli editori i mezzi per gestire la visualizzazione di annunci pubblicitari sui loro siti web (ossia, Google Ad Manager) al fine di offrire spazi pubblicitari su YouTube; nonché le restrizioni asseritamente poste in essere da Google sul modo in cui i servizi concorrenti di Google Ad Manager sono in grado di offrire spazi pubblicitari online sulla medesima piattaforma YouTube;
  • l'asserito trattamento preferenziale di Google AdX (la piattaforma che consente agli editori di vendere il loro inventario attraverso aste in tempo reale) da parte dei summenzionati Google Display & Video 360 e/o Google Ads e viceversa;
  • le restrizioni asseritamente poste in essere da Google alla possibilità dei soggetti terzi, come gli inserzionisti, gli editori o gli intermediari di pubblicità online concorrenti, di accedere ai dati sull'identità o sul comportamento degli utenti raccolti per il tramite dei servizi di intermediazione pubblicitaria di Google;
  • la volontà annunciata da Google di proibire il posizionamento di ‘cookies’ di terze parti all’interno di Chrome. Sul punto, in particolare, Google intenderebbe avviare un sistema (denominato Privacy Sandbox) atto a creare uno standard web volto a consentire ai siti web di accedere alle informazioni degli utenti senza comprometterne la privacy. Com’è intuibile, tale decisione avrà effetti significativi sul settore della pubblicità online e la Commissione intende analizzarli in dettaglio; e infine
  • la volontà annunciata da Google di non rendere più disponibile a terzi il sistema di identificazione del singolo dispositivo mobile dotato del sistema operativo Android (di proprietà di Google) qualora un utente rinunci alle funzioni di pubblicità targettizzata.

Alla luce di quanto detto – soprattutto delle ultime due condotte indicate – occorre in questa sede tenere a mente che la Commissione dovrà considerare non solo la normativa antitrust, bensì anche le regole europee a protezione della privacy (in particolare, il GDPR). Come riconosciuto dalla Commissione, infatti, questi due diversi insiemi di norme devono lavorare di pari passo al fine di garantire il libero gioco della concorrenza nei mercati della pubblicità online ma, altresì, che la privacy degli utenti sia adeguatamente tutelata.

Questo rappresenta il sesto procedimento nei confronti di Google avviato dalla Commissione dal 2010. Per comprendere più in dettaglio le ragioni della Commissione, nonché per appurare se Google ha effettivamente agito in violazione della normativa antitrust europea occorrerà attendere la conclusione del Procedimento e la relativa decisione, tenuto conto che le condotte di Google nel settore AdTech sono oggetto di indagine in svariati Paesi, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Australia (e sono state di recente sanzionate dall’Autorità antitrust francese, si veda la newsletter in proposito).

Luca Feltrin

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Antitrust e settore digitale – Anche Apple finisce sotto la lente del Bundeskartellamt

Lo scorso 21 giugno, l’Autorità della concorrenza tedesca (Bundeskartellamt) ha comunicato di aver avviato un procedimento nei confronti di Apple in applicazione delle nuove regole della concorrenza nazionali indirizzate alle grandi imprese digitali e dirette a intervenire in modo maggiormente tempestivo ed efficace nella repressione di condotte percepite come restrittive della concorrenza. L’indagine del Bunsdeskartellamt fa seguito a quelle avviate negli ultimi mesi nei confronti di Facebook, Amazon e Google.

In via preliminare, si rammenta che in data 18 gennaio 2021 è entrata in vigore una ulteriore modifica della legge contro le restrizioni della concorrenza (Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen, GWB), la quale ha introdotto un ventaglio di nuovi strumenti per limitare il potere delle c.d. Big Tech e che prescindono dall’accertamento di una posizione dominante su un mercato di riferimento.

La sezione 19, lettera a), del GWB assoggetta al controllo del Bundeskartellamt le imprese attive su versanti multilaterali che rivestono un'importanza fondamentale per la concorrenza su più di un mercato (ossia sono di “paramount cross-market significance”). Queste vengono individuate attraverso una serie di elementi tra i quali la titolarità di una posizione dominante in uno o più mercati, l'accesso a una quantità significativa di dati, la notevole solidità finanziaria e l’integrazione verticale. Una volta stabilito che un'impresa riveste fondamentale importanza cross-market, il Bundeskartellamt può proibirle di porre in essere pratiche ritenute abusive nel loro specifico contesto quali, tra le altre, ostacolare i concorrenti su mercati in cui l’impresa in questione potrebbe espandersi rapidamente, creare barriere all'entrata in un mercato sfruttando i dati raccolti in un altro mercato in cui l’impresa è in una posizione dominante, limitare l'interoperabilità dei prodotti o la portabilità dei dati nonché il c.d. self-preferencing, ossia, favorire i propri prodotti rispetto a quelli dei concorrenti.

Con il provvedimento in esame, il Bundeskartellamt ha avviato il primo step previsto dalla sezione 19, lettera a), del GWB, consistente nell’accertamento della “paramount cross-market significance” di Apple. In particolare, l’autorità tedesca intende esaminare: (i) la posizione di Apple nei mercati relativi ai prodotti hardware (tablet, computer, wearables) e dei servizi connessi (App Store, iCloud, AppleCare, Apple Music, Apple Arcade, Apple Tv+ etc.); (ii) se Apple, mediante l’integrazione di tali prodotti abbia creato un ecosistema digitale che si estende su una pluralità di mercati; e (iii) la dimensione delle sue risorse tecnologiche e finanziarie, nonché la quantità di dati a cui ha accesso. In tale contesto, uno dei punti centrali delle indagini sarà il funzionamento dell'App Store, il quale è in grado di incidere in modo molto significativo sulle attività commerciali di terzi.

Sulla base dei risultati di questa prima fase, il Bundeskartellamt valuterà in maggiore dettaglio le condotte specifiche di Apple. In proposito, l’autorità ha rivelato di aver già ricevuto diversi reclami che includono: la segnalazione di un’associazione di categoria nel settore pubblicitario relativa alle limitazioni del tracciamento degli utenti introdotto con il sistema operativo iOS 14.5, nonché contro l’installazione di default ed esclusiva di applicazioni sviluppate da Apple stessa Infine, gli sviluppatori di app avrebbero criticato anche l’uso obbligatorio del sistema di acquisti in-app di Apple e la commissione del 30% ad esso associato (in proposito, si segnala che un’analoga segnalazione di Spotify ha già fatto scaturire un’indagine da parte della Commissione europea).

Il provvedimento in esame conferma ancora una volta la volontà del Bundeskartellamt di concentrare i propri sforzi nel settore digitale, sfruttando appieno i poteri di intervento attribuiti dalle nuove norme.

Luigi Eduardo Bisogno

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Intese e settore assicurativo – La Commissione europea invia a Insurance Ireland una comunicazione degli addebiti per aver limitato l’accesso alla piattaforma di condivisione dei dati sulle frodi assicurative

Il 18 giugno 2021 la Commissione Europea (Commissione) ha comunicato l’invio a Insurance Ireland di una comunicazione degli addebiti per informarla dei risultati preliminari dell’istruttoria condotta ex art. 101 TFUE sulle condotte riguardanti l’accesso alla piattaforma Insurance Link (la Piattaforma) che avrebbero avuto l’effetto di limitare la concorrenza sul mercato irlandese dell’RC auto.

Insurance Ireland è un’associazione che raggruppa imprese attive nel settore assicurativo in Irlanda (che coprono circa il 90% del mercato nazionale RC auto). Essa gestisce la Piattaforma, che consente di accedere ai dati sui sinistri, offrendo dunque all’utilizzatore la possibilità di valutare meglio il rischio e facilitando l’identificazione di eventuali frodi. L’accesso alla Piattaforma (‘alimentata’ con i dati delle associate) è stato riservato sin dal 2009 alle sole compagnie assicurative associate a Insurance Ireland.

Secondo la Commissione, la circostanza che le imprese assicurative fossero tenute a rispettare determinati requisiti e a superare il processo di ammissione all’associazione per poter fruire della Piattaforma avrebbe fatto sì che alcune tipologie di imprese assicurative abbiano ottenuto l’accesso alla Piattaforma solo dopo anni. Tali imprese, pertanto, si sarebbero trovate in una posizione di svantaggio competitivo rispetto alle imprese che avevano accesso alla Piattaforma, subendo conseguenze negative in termini di costi, qualità del servizio e prezzi. Peraltro, ad avviso della Commissione, la gestione anzidetta del meccanismo di accesso alla Piattaforma avrebbe costituto una barriera all’ingresso per eventuali nuovi operatori che intendessero affacciarsi al mercato, dunque con conseguenze negative anche per i consumatori, danneggiati da una potenziale riduzione dei fornitori di servizi assicurativi.

Il caso in esame presenta plurimi profili di interesse.

Anzitutto, esso contribuirà a chiarire al ricorrere di quali condizioni la condivisione di informazioni fra imprese concorrenti sia da ritenersi procompetitiva, e debba anzi essere accessibile alla totalità degli operatori di mercato onde evitare distorsioni delle dinamiche concorrenziali. La questione appare tutt’altro che scontata laddove si consideri che in Italia una vicenda per molti versi analoga al caso in discussione ha determinato l’avvio di un’istruttoria da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Essa riguarda l’avvio di un ‘progetto antifrode’ nei rami vita e danni da parte dell’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA) che prevedeva, tra l’altro, la realizzazione di banche dati e lo sviluppo di algoritmi comuni per determinare indicatori del rischio frode di cui le imprese assicurative si sarebbero potute servire sia in fase assuntiva sia in fase liquidativa. In merito l’AGCM ha ritenuto necessario l’avvio di un’istruttoria (ad oggi in corso) per approfondire preoccupazioni concorrenziali riguardanti: (i) l’assenza di sufficienti garanzie di terzietà (essendo la gestione del progetto demandata ad un’associazione di imprese); nonché (ii) se e in che termini lo scambio di informazioni reso necessario dal progetto potesse determinare un aumento artificiale della trasparenza nei mercati interessati, facilitando fenomeni collusivi.

In questo contesto, peraltro, giocherà un ruolo anche la revisione, al momento in corso, delle Linee guida sull’applicabilità dell’articolo 101 TFUE agli accordi di cooperazione orizzontale. La Commissione ha recentemente dichiarato, infatti, che intende includere nelle nuove Linee guida indicazioni che agevolino gli operatori nella valutazione della compatibilità degli accordi di data pooling e data sharing con il diritto della concorrenza.

Per il momento, non resta che attendere la decisione finale della Commissione sul caso, auspicando anche un opportuno coordinamento con l’AGCM che si appresta ad adottare la decisione finale sul ‘progetto antifrode’ di ANIA, così da evitare che approcci difformi da parte delle diverse autorità possano determinare un quadro di incertezza giuridica di cui non si gioverebbero né le imprese, né i consumatori.

Roberta Laghi

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Cooperazione fra autorità– L’ECN pubblica un documento sul ruolo delle Autorità nazionali nell’attuazione del DMA

In data 22 giugno 2021 si è riunita l’assemblea dei componenti dell’European Competition Network, all’esito del quale è stato pubblicato un joint paper intitolato “How national competition agencies can strengthen the DMA?” (il Joint Paper), con cui le autorità nazionali della concorrenza degli Stati Membri (le Autorità) hanno commentato il progetto di adozione del Digital Markets Act (DMA).

Con il documento in questione, in primo luogo si è sottolineato come, nel corso degli ultimi anni, le Autorità e la Commissione europea (la Commissione) abbiano dimostrato la loro abilità nello scrutinare le condotte degli operatori digitali usando “innovative reasoning or by applying well established solutions”. Questo soprattutto grazie al ricorso, da un lato, all’articolo 102 TFUE e, dall’altro, a disposizioni specifiche che i legislatori nazionali hanno introdotto con riferimento al settore digitale.

In generale, le Autorità hanno accolto con favore l’iniziativa della Commissione riguardo al DMA, che sarà un ulteriore potente strumento per affrontare efficacemente ex ante alcune condotte percepite come a maggior rischio anticoncorrenziale laddove poste in essere dai c.d. gatekeeper.

Secondo quanto riportato nel Joint Paper, le Autorità ritengono tuttavia che la via da seguire per assicurare un’efficace e rapida attuazione del DMA dovrebbe essere triplice e prevedere: (i) l’applicazione del DMA principalmente da parte della Commissione, (ii) la possibilità di applicazione del DMA, in maniera complementare, anche da parte delle Autorità, nonché (iii) l’istituzione di un meccanismo di stretto coordinamento e cooperazione tra le Autorità, la Commissione e i giudici nazionali.

Ciò premesso, secondo il Joint Paper il centro di gravità per l’applicazione del DMA dovrebbe essere a livello europeo la Commissione, che dovrebbe esercitare in maniera esclusiva alcuni dei poteri delineati nel DMA, come il potere di designare i gatekeeper o di concedere alcune esenzioni. Tuttavia, i poteri di enforcement dovrebbero, in casi specifici, essere condivisi con le Autorità per le quali il Joint Paper auspica la possibilità di avviare procedimenti contro i gatekeeper sulla base del DMA, ovvero di porre in essere alcune azioni istruttorie su richiesta della Commissione, quando sono nella posizione più adatta a trattare il caso. Quando è la Commissione ad occuparsi del procedimento, le Autorità potrebbero intervenire a sostegno dei suoi poteri investigativi, esecutivi e di controllo, anche ricevendo segnalazioni livello nazionale per suo conto o prestando assistenza alle indagini, ad esempio con riferimento alle ispezioni e alle richieste di informazioni.

Il Joint Paper è di particolare interesse in quanto si inserisce nel dibattito (molto vivace anche se in ampia misura sottotraccia) non solo circa le modalità di cooperazione tra Commissione e Autorità ma anche circa la valorizzazione del know-how e dell’esperienza delle autorità antitrust nella repressione delle condotte oggetto del DMA e al fine di evitare una eccessiva iper-regolazione ex ante, sullo stile di quella relativa al settore delle telecomunicazioni, di una area, quella dei servizi digitali, che non corrisponde ad uno specifico settore industriale e che è caratterizzata da una estrema eterogeneità dei servizi offerti e dei modelli di business dei vari operatori.

Mila Filomena Crispino

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Appalti, concessioni e regolazione / Il Consiglio di Stato si pronuncia su Ilva e ordinanze “contingibili” e urgenti

In data 23 giugno 2021, con sentenza n. 4802/2021, il Consiglio di Stato ha accolto gli appelli di Arcelor Mittal S.p.A. e di Ilva S.p.A. volti alla riforma della sentenza del Tar Puglia (n. 249/2021) in ordine alla nota questione ambientale dell’impianto siderurgico “ex Ilva” di Taranto (ex Ilva o Stabilimento) e alla possibilità o meno di proseguirne le attività a maggiore impatto. Oggetto del contendere era la legittimità dell’ordinanza contingibile e urgente del Sindaco di Taranto, adottata nell’esercizio dei poteri di ultima istanza, basati su presupposti di necessità e urgenza ed in assenza di altri rimedi tipici ed efficacia previsti dall’ordinamento, di cui quest’ultimo gode a protezione della salute della cittadinanza.

A causa di anomali fenomeni emissivi verificatisi nel 2019, il provvedimento in questione aveva imposto alle società appellanti, in qualità rispettivamente di gestore e proprietario dello Stabilimento, di risolvere, entro un termine di 60 giorni, le maggiori criticità, pena la sospensione delle attività industriali degli impianti più inquinanti. Il giudizio di primo grado si era concluso con una pronuncia favorevole all’operato del Sindaco a cui è immediatamente seguita l’impugnazione da parte delle società soccombenti.

Gli appelli si articolavano in una pluralità di censure tra cui le più rilevanti erano: (i) in primo luogo, il denunciato difetto assoluto di attribuzione al Sindaco del potere di emanare l’atto sul presupposto dell’esistenza di rimedi tipici per fronteggiare qualunque emergenza connessa al funzionamento dello Stabilimento; (ii) in secondo luogo, e in via subordinata rispetto alla prima doglianza, l’insussistenza dei presupposti di contingibilità e urgenza necessari ai fini della legittimità dell’ordinanza stessa.

In tale contesto, il Consiglio di Stato ha dichiarato infondata la prima censura non ritenendo che l’esistenza di rimedi tipici (tra cui i poteri d’urgenza del Comune di cui al Testo Unico delle leggi sanitarie, i rimedi previsti dal Codice dell’Ambiente in connessione all’Autorizzazione Integrata Ambientale e quelli apprestati dalle disposizioni speciali riguardanti l’ex Ilva) debba necessariamente avere come conseguenza il difetto assoluto di attribuzione al Sindaco del potere di adottare un’ordinanza contingibile e urgente, laddove ricorra un’ipotesi di emergenza ambientale e sanitaria non altrimenti contrastabile. Tuttavia, nel caso di specie, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto insussistenti il presupposto di contingibilità e urgenza dell’ordinanza rappresentato dalla “materiale impossibilità di differire l’intervento ad altra data”.

Nello specifico, il Collegio ha rilevato che non vi fosse a monte dell’ordinanza una situazione ambientale così compromessa da non poter essere affrontata tramite i rimedi tipici apprestati dall’ordinamento. Da ciò derivava che il potere di ordinanza, pur astrattamente esercitabile, si fosse nella fattispecie illegittimamente sovrapposto “alle modalità con le quali, ordinariamente, si gestiscono e si fronteggiano le situazioni di inquinamento ambientale e di rischio sanitario, per quegli stabilimenti produttivi abilitati dall’A.I.A.”. In altre parole, pur riconoscendo l’esistenza di criticità ambientali e sanitarie correlate all’attività industriale dello Stabilimento, il Consiglio di Stato non ha ravvisato un tale coefficiente di gravità da giustificare e legittimare l’adozione del rimedio atipico dell’ordinanza contingibile e urgente.

La sentenza in commento è interessante nella misura in cui fa emergere nitidamente il conflitto che talvolta sussiste tra i contrapposti interessi pubblici alla produzione industriale (con le connesse ricadute occupazionali) e alla tutela dell’ambiente e della salute. In un tale contesto, in cui è oggettivamente complesso trovare equilibri stabili e durevoli, il Consiglio di Stato, pur ritenendo illegittimo l’intervento del Sindaco, ha elaborato una motivazione che non esclude in radice la possibilità di emanare ordinanze contingibili e urgenti volte all’interruzione di attività industriali, bensì limita l’ambito di esercizio di tale potere a quelle situazioni di minaccia non altrimenti affrontabili se non mediante interventi di carattere atipico e straordinario.

Alessandro Paccione

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