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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Intese e settore automotive – Per la prima volta la Commissione Europea sanziona un’intesa consistente unicamente in una restrizione dello sviluppo tecnico

Con il comunicato stampa dell’8 luglio 2021 la Commissione Europea (Commissione) ha annunciato l’accertamento di un’intesa in violazione dell’articolo 101 TFUE consistente, per la prima volta, unicamente in una restrizione dello sviluppo tecnico e non nello scambio di informazioni commercialmente sensibili, fissazione dei prezzi, ripartizione del mercato ovvero della clientela.

L’intesa, posta in essere da Daimler, BMW e Volkswagen tra il giugno 2009 e l’ottobre 2014, aveva ad oggetto lo sviluppo tecnico nel settore delle emissioni dell’ossido di azoto e, in particolare, lo sviluppo di tecnologie idonee a ridurre le emissioni nocive prodotte dalle auto in maniera più significativa rispetto ai limiti imposti dagli standard dell'UE.

La Commissione ha accertato che in occasione di riunioni di natura tecnica svolte a cadenza regolare per discutere lo sviluppo della riduzione catalitica selettiva (ossia il processo che elimina le emissioni nocive di ossido di azoto delle auto diesel attraverso l’iniezione di un composto chimico a base di urea – detto AdBlue – nei gas di scarico) le case automobilistiche si sarebbero coordinate per ridurre il libero gioco della concorrenza basata sullo sviluppo del pieno potenziale della tecnologia a loro disposizione, in grado di consentire emissioni inferiori alle soglie imposte dalle norme europee. Il coordinamento anti-concorrenziale si sarebbe concretizzato nel raggiungimento di un accordo sulle dimensioni dei serbatoi di AdBlue e degli intervalli per il refill, nonché nel raggiungimento di una posizione comune sul consumo medio stimato di AdBlue. Il comportamento collusivo è stato affiancato da uno scambio di informazioni commercialmente sensibili sui medesimi argomenti. I comportamenti anzidetti, ritenuti idonei a limitare la concorrenza su caratteristiche del prodotto rilevanti per i clienti, costituiscono una violazione per oggetto dell’art. 101 TFUE sub specie di limitazione dello sviluppo tecnico.

Trattandosi del primo caso accertato di intesa di questa tipologia la Commissione ha applicato alle sanzioni irrogate alle case automobilistiche una riduzione del 20%. Sempre con riguardo alle sanzioni, se Daimler ha ottenuto l’immunità dalla sanzione per aver rivelato alla Commissione l’esistenza dell’intesa, Volkswagen ha ottenuto, sempre in virtù della cooperazione prestata nell’ambito del programma di clemenza, una riduzione dell’importo della sanzione pari al 45%. Inoltre, tutte e tre le case automobilistiche hanno aderito alla procedura di settlement, beneficiando di un’ulteriore riduzione del 10% dell’importo della sanzione. Complessivamente, le sanzioni irrogate ammontano a circa 875 milioni di euro.

Il caso in esame è stato presentato dalla Commissione come idoneo a dimostrare che la normativa a tutela della concorrenza è idonea anche a contribuire al perseguimento degli obiettivi del Green Deal europeo. Un’azione di enforcement troppo vigorosa, tuttavia, potrebbe compromettere l’innovazione derivante da proficue collaborazioni tra gli operatori del settore. Proprio a tal fine, nel caso in parola la Commissione si è preoccupata di fornire alle case automobilistiche delle indicazioni su come condurre la cooperazione tra loro esistente relativa al sistema di riduzione catalitica selettiva senza che sollevi criticità concorrenziali. Non resta dunque che vedere se – come sembra probabile – il caso in commento costituirà solo il primo di un nuovo filone di istruttorie della Commissione e delle autorità della concorrenza nazionali.

Roberta Laghi

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Diritto della Concorrenza Italia / Intese e settore dei diritti TV della Serie A di calcio – L’AGCM ha avviato un’istruttoria riguardo ad alcune clausole dell’accordo fra TIM e DAZN

In data 6 luglio 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha avviato nei confronti di TIM S.p.A. (TIM), DAZN Limited e DAZN Media Services S.r.l. (collettivamente, DAZN) un’istruttoria con riguardo ad alcune clausole di un accordo sottoscritto fra TIM e DAZN per la distribuzione e il supporto tecnologico relativo ai contenuti dei Pacchetti 1 e 3 dei diritti per la visione delle partite del Campionato di calcio di Serie A nel triennio 2021-2024 (l’Accordo).

Lo scorso 26 marzo, ad esito della procedura di gara avviata all’inizio di gennaio, la Lega Nazionale Professionisti Serie A (LNPA) aveva assegnato a DAZN i Pacchetti 1 e 3, ricomprendenti i diritti a trasmettere, per ciascun turno del Campionato di Serie A, 7 partite in esclusiva (per un totale di 266, su tutte le piattaforme) e 3 in co-esclusiva (per un totale di 114, solo sulla piattaforma internet). Poco prima della presentazione delle offerte, DAZN aveva quindi stipulato una estensione dell’accordo già in essere con TIM per la distribuzione del proprio servizio OTT (ed il relativo supporto tecnologico).

L’Accordo ha una durata complessiva di 6 anni a partire dal 1° luglio 2021, ossia di 3 anni, rinnovabili per un ulteriore triennio qualora, tra le altre cose, DAZN riottenesse l’assegnazione dei diritti audiovisivi relativi alle successive stagioni della Serie A. Secondo il provvedimento di avvio, esse prevederebbe una esclusiva in favore di TIM e, in particolare, stabilirebbe inter alia:

(i) che TIM sarà l’unico operatore di telecomunicazione e operatore media audiovisivo autorizzato da DAZN a vendere il servizio DAZN in modalità congiunta (“hard bundle”) o con un’offerta à la carte, anche se sono previste numerose eccezioni a favore in particolare di Apple, Google e Amazon, oltre che di una altra serie di produttori di device su quali si può vedere il servizio OTT di DAZN;

(ii) una serie di limiti alla distribuzione diretta da parte di DAZN dei propri servizi.

Posto quanto sopra, su segnalazione di vari operatori (tra i quali Vodafone e Sky), l’AGCM ha avviato l’istruttoria in commento, volta ad accertare l’esistenza di una possibile intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 TFUE. Secondo l’AGCM, le restrizioni della concorrenza discenderebbero: (i) dalle previsioni dell’accordo che limitano commercialmente e tecnicamente DAZN nell’offerta di servizi di televisione a pagamento, riducendo la capacità di quest’ultima di proporre sconti agli utenti e di scegliere ulteriori modalità di trasmissione che ritiene più consone (in termini di metodologie di trasmissione utilizzate, di dispositivi in cui l’app DAZN è disponibile al pubblico, di possibilità per gli utenti di usufruire dei servizi di pagamento tramite conto telefonico), nonché, sempre secondo l’AGCM, riducendo altresì gli incentivi all’investimento di DAZN per l’interconnessione con gli operatori di telefonia fissa e mobile e per l’adeguamento della propria rete di distribuzione dei contenuti; (ii) dalle previsioni dell’accordo che, a causa dell’ampia esclusiva, ostacolerebbero la possibilità per gli operatori di telecomunicazioni concorrenti di TIM di applicare sconti o di concedere ai propri utenti voucher promozionali per l’offerta dei contenuti relativi alle partite di Serie A.

L’istruttoria è, inoltre, volta a verificare la restrittività dell’intesa con riferimento a ulteriori elementi che riguardano la possibile adozione da parte di TIM di soluzioni tecniche non disponibili per gli operatori di telecomunicazione concorrenti.

Oltre a quanto sopra, in considerazione del fatto che la vendita delle offerte dei contenuti del Campionato di calcio di Serie A è appena iniziata, l’AGCM ha anche avviato un procedimento per l’eventuale adozione di misure cautelari che verranno disposte solo laddove, all’esito del contraddittorio con le parti, dovesse risultare che i comportamenti attuati da TIM e DAZN siano andati a determinare danni gravi e irreparabili alla concorrenza.

Nell’attesa degli sviluppi che questa vicenda potrà avere nelle prossime settimane, non può non rilevarsi la peculiarità di questa istruttoria laddove, da un lato, sembrerebbe non tenere in pieno conto l’analisi controfattuale, dalla quale emerge con chiarezza che DAZN ha acquistato la piena esclusiva sui diritti relativi alla settimana della Serie A e che di una analoga esclusiva avrebbe potuto godere TIM se avesse partecipato e vinto la gara indetta dalla LNP lo scorso gennaio. Difficile, invero, comprendere come la concessione di una esclusiva a TIM possa modificare la situazione che si è creata a seguito dell’esperimento della gara, tipico meccanismo di concorrenza per il mercato; dall’altro, il fatto che il segnalante principale sia il soggetto ancora oggi quasi-monopolista nel mercato della Pay-TV sembra sollevare qualche dubbio circa l’impatto che questa istruttoria potrebbe avere sul processo competitivo e sull’abbandono dello status quo a favore di un mercato maggiormente concorrenziale.

Luca Feltrin

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Intese e batterie al piombo esauste – L’AGCM chiude l’istruttoria sulla presunta intesa tra società attive nel recupero e riciclaggio delle batterie

Con il provvedimento pubblicato nel Bollettino del 5 luglio scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha accolto gli impegni presentati da alcune società attive nel recupero e riciclaggio delle batterie al piombo esauste – Fiamm Energy Technology S.p.A., Clarios Italia S.r.l., Eco-bat S.r.l., Piomboleghe S.r.l., Piombifera Italiana S.p.A., ed E.S.I. Ecological Scrap Industry S.p.A. (le Parti) – nonché del consorzio COBAT RIPA (COBAT) cui le Parti aderiscono, nel contesto di un procedimento volto ad accertare una potenziale intesa avente ad oggetto la definizione delle condizioni economiche di acquisto delle batterie esauste raccolte da COBAT.

Il settore interessato dal provvedimento è quello della filiera del recupero delle batterie al piombo per veicoli e industriali esausti. Secondo un modello di economia circolare, le batterie esauste vengono acquistate dai c.d. raccoglitori, principalmente da officine meccaniche e autoricambi. Il rifiuto raccolto viene poi trasformato dai riciclatori (cd. smelter), per il suo riutilizzo nel processo di produzione di batterie nuove (svolto da produttori terzi). In tale contesto, il consorzio COBAT gestisce l’attività di intermediazione nella gestione dei rifiuti nella fase che si colloca tra la raccolta e il riciclo (c.d. sistema di raccolta e trattamento), in concorrenza con altri sistemi di raccolta e riciclo.

Nel provvedimento di avvio del dicembre 2019, l’AGCM aveva ipotizzato l’esistenza di un’intesa, in violazione dell’art. 101 TFUE, volta ad assicurare ai soci storici i COBAT un flusso continuo di rifiuti a prezzi controllati e ad escludere dal mercato i sistemi di raccolta concorrenti.

In primo luogo, tale strategia avrebbe interessato lo stadio della negoziazione di COBAT con i raccoglitori, mediante l’acquisizione a scopo escludente di informazioni riservate sui punti di approvvigionamento dei raccoglitori, anche applicando prezzi di acquisto delle batterie esauste differenziati a seconda dell’origine del rifiuto.

Le Parti, inoltre, avrebbero falsato il processo di definizione del prezzo di acquisto del rifiuto a base delle gare periodiche indette da COBAT, e dalle quali erano esclusi i riciclatori nazionali non consorziati in COBAT nonché i riciclatori esteri. In particolare, nell’ambito degli organi consortili di COBAT, le Parti avrebbero proceduto con una ripartizione pro-quota degli accumulatori esausti (mediante la spartizione dei lotti) agli smelter a prezzi progressivamente più bassi nell’ottica di abbassare il valore della risorsa acquistata per gli operatori a monte nella filiera.

L’AGCM aveva altresì ipotizzato che, in seno agli organi consortili di COBAT, le Parti avessero condiviso informazioni commercialmente nonché concordato di non acquistare accumulatori al piombo per veicoli e industriali esausti da sistemi di raccolta concorrenti.

Al fine di risolvere le criticità evidenziate dall’AGCM, le Parti hanno presentato un set di impegni comuni ai sensi dell’articolo 14-ter della legge n. 287/1990. In particolare:

  1. le Parti si sono impegnate a dismettere le quote detenute dagli smelter in COBAT, a seguito della sua trasformazione in società per azioni. A valle del processo di dismissione, COBAT sarà a tutti gli effetti un sistema di soli produttori, come avviene per tutti gli altri operatori nazionali di raccolta di accumulatori esausti;

  2. COBAT si è impegnata a svolgere le gare secondo criteri di concorrenza ed efficienza descritti in dettaglio negli impegni. Le batterie esauste saranno quindi allocate esclusivamente attraverso aste telematiche periodiche aperte a tutti gli operatori autorizzati, italiani o esteri.

  3. Le Parti si sono impegnate a limitare l’accesso alle informazioni sensibili relative alle gare (es. offerte, prezzi, quantità assegnate etc.) da parte dei componenti del CdA di Cobat.

  4. Cobat si è impegnata a non richiedere ai raccoglitori informazioni sui detentori del rifiuto presso i quali si approvvigionano. Cobat richiederà solo le informazioni essenziali per la gestione della raccolta e per l’adempimento dei propri obblighi informativi previsti dalla normativa ambientale.

Infine, in sede di modifiche accessorie, Cobat si è impegnata a dotarsi di un programma di compliance antitrust, gestito da un antitrust compliance officer, che definisca procedure e norme comportamentali con riferimento alle attività di acquisto e vendita di rifiuti, e che confluirà in un report da trasmettere annualmente all’AGCM.

L’AGCM ha ritenuto che tali impegni fossero idonei a eliminare le “pregresse distorsioni strutturali suscettibili di impedire il corretto funzionamento della filiera del recupero degli accumulatori esausti in Italia e, dall’altro, ... ad introdurre adeguati presidi di contrasto ad eventuali condotte anticoncorrenziali”.

In tal senso, viene in rilievo l’intervento strutturale delle Parti, consistente nella definitiva dismissione delle quote detenute dagli smelter in COBAT.

Luigi Eduardo Bisogno

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Concentrazioni e settore delle telecomunicazioni – Via libera condizionato dell’AGCM all’acquisizione di CK Hutchison Networks Italia S.p.A. da parte di Cellnex Italia S.p.A.

Lo scorso 15 giugno, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha autorizzato con rimedi l’operazione di concentrazione (Operazione) consistente nell’acquisto, da parte di Cellnex Italia S.p.A. (Cellnex), del controllo esclusivo di CK Hutchison Networks Italia S.p.A. (CKHNI), attiva nella fornitura di servizi di ospitalità su infrastrutture passive.

Il provvedimento conclude l’istruttoria avviata lo scorso marzo. Nel provvedimento di avvio dell’istruttoria, l’AGCM aveva osservato che l’Operazione ha luogo in un mercato che sta attraversando una fase di consolidamento, iniziata con la creazione dell’impresa comune Inwit da parte di TIM e Vodafone Italia (operazione approvata dalla Commissione UE con condizioni, cfr. Caso M.9674 – Vodafone Italia/TIM/Inwit JV). Le preoccupazioni concorrenziali dell’AGCM erano eminentemente di natura orizzontale, in quanto l’AGCM aveva ritenuto che, a seguito dell’Operazione, Cellnex sarebbe diventato il primo operatore nel segmento dei servizi di ospitalità nei confronti dei terzi a livello nazionale (escludendo quindi la componente captive del mercato), con una quota di mercato superiore al 70%. Inoltre, ad avviso dell’AGCM, l’Operazione avrebbe comportato la scomparsa dal mercato del terzo operatore, ossia CKHNI, con conseguente rimozione della relativa pressione concorrenziale. Tutto quanto precede, ad avviso dell’AGCM, avrebbe potuto consentire a Cellnex di attuare comportamenti unilaterali quali aumenti di prezzo o riduzioni della capacità disponibile sul mercato, anche tramite razionalizzazione dei siti (c.d. decommissioning).

Con la decisione oggetto del presente commento, l’AGCM ha autorizzato l’Operazione. L’autorizzazione è subordinata all’implementazione, da parte di Cellnex, di misure di natura comportamentale di durata pari a 7 anni. Tali misure si applicano ai siti oggetto di acquisizione che dispongano di spazio libero per ospitare soggetti terzi e che siano collocati all’interno di Comuni con meno di 35.000 abitanti (Siti Disponibili). I beneficiari delle misure sono quei soggetti che, ad avviso dell’AGCM, potrebbero risultare maggiormente pregiudicati dall’Operazione, cioè (i) operatori FWA e (ii) operatori MNO che siano stati autorizzati a gestire una rete mobile in Italia nei 5 anni precedenti l’adozione delle misure (Nuovi Entranti).

In particolare, Cellnex dovrà:

  1. consentire ad operatori FWA e Nuovi Entranti l’accesso ai Siti Disponibili a condizioni ragionevoli e non discriminatorie;

  2. in caso di decommissioning di Siti Disponibili, impegnarsi a garantire ai soggetti ospitati il medesimo livello qualitativo dei servizi forniti, senza applicare costi aggiuntivi. Ad avviso dell’AGCM, tale misura si rende necessaria al fine di “garantire gli operatori terzi dai rischi che il processo di decommissioning della società target possa produrre effetti pregiudizievoli”;

  3. con riferimento ai Siti Disponibili, (i) mantenere in vigore i contratti per i servizi di ospitalità in essere con terze parti e non esercitare, senza giusta causa, alcun diritto di risoluzione anticipata e (ii) offrire ai soggetti i cui contratti quadro sono destinati a scadere nel periodo di attuazione delle misure, la possibilità di estendere la durata di tali contratti per tutto il periodo corrispondente alla durata delle misure;

  4. nominare un monitoring trustee, dotato di conoscenze tecniche nel settore interessato dall’Operazione, incaricato di (i) monitorare l’implementazione delle misure; (ii) esercitare il ruolo di arbitro nelle eventuali dispute generate dall’attuazione delle misure e (iii) produrre, con cadenza semestrale, relazioni all’AGCM circa lo stato di implementazione delle misure.

Con il provvedimento oggetto di questo commento, l’AGCM ha quindi posto fine ad una istruttoria lunga ed articolata. Appare interessante rilevare che le misure cui è subordinata l’autorizzazione sembrano speculari rispetto a quelle adottate nel caso Inwit, il cui ambito applicativo era circoscritto ai Comuni aventi più di 35.000 abitanti e che, tuttavia, di tale specifica preoccupazione non vi era traccia nella decisione di avvio dell’istruttoria.

Mila Filomena Crispino

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Appalti, concessioni e regolazione / Il Consiglio di Stato sul diritto di accesso ai documenti del procedimento sanzionatorio AGCM: l’accesso difensivo e il diritto alla riservatezza

Il Consiglio di Stato, con la sentenza pubblicata il 7 luglio 2021, n. 5178, ha accolto l’appello presentato da un operatore telefonico, Iliad Italia S.p.A. (l’Impresa o l’Appellante) e, in riforma della sentenza di primo grado del Tar Lazio n. 11516/2020, si è espresso sulla questione relativa al diritto di accesso agli atti e documenti di un procedimento sanzionatorio avviato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Autorità o AGCM) per pratiche commerciali scorrette nei confronti di un altro operatore telefonico (Vodafone Italia S.p.A.). Il Consiglio di Stato ha ritenuto che la conoscenza dei documenti richiesti potesse essere configurata come necessaria ai fini della difesa in giudizio, dovendo intendere la necessità ovvero la strumentalità o il collegamento tra il documento e la successiva fase difensiva in senso ampio e in astratto, senza quindi che l’Amministrazione prima e il Giudice Amministrativo poi possano farsi carico di apprezzare se e in quale misura la pretesa possa essere in astratto fondata.

La vicenda processuale origina dall’istanza di accesso che l’Impresa ha avanzato all’Autorità per ottenere copia degli atti e documenti del procedimento n. PS11381 avente ad oggetto le pratiche commerciali scorrette che un altro operatore telefonico aveva messo in atto tramite attività di c.d. winback (in particolare, tramite la diffusione di messaggi pubblicitari ritenuti ingannevoli). Il procedimento sanzionatorio era stato avviato (e concluso con la relativa sanzione) dall’AGCM proprio su segnalazione dell’Impresa.

Nel presentare l’istanza di accesso, l’Impresa giustificava il proprio interesse allegando di aver avviato un’azione in sede civile per la condanna dell’operatore telefonico sanzionato al risarcimento dei danni derivanti delle pratiche commerciali scorrette poste in essere da quest’ultimo.

In applicazione dell’art. 11 del Regolamento AGCM sulle procedure istruttorie (delibera n. 25411 del 1° aprile 2015) e, in particolare, l’Autorità riteneva di poter accogliere solo in parte l’istanza, adottando dunque un provvedimento di diniego parziale all’accesso agli atti per tutelare la riservatezza di alcune informazioni dell’operatore telefonico controinteressato.

A fronte del diniego parziale opposto dall’Autorità, l’Impresa ha proposto ricorso al Tar Lazio per vedersi riconoscere il diritto all’accesso agli atti ai sensi dell’art 24, comma 7, del d.lgs. n. 241/1990 e per la consequenziale condanna dell’Autorità all’ostensione degli atti e documenti del procedimento de quo.

In primo grado, in accoglimento delle tesi difensive dell’Autorità e dall’Impresa controinteressata, il Tar ha respinto il ricorso e affermato la legittimità del provvedimento di diniego all’accesso impugnato. In sintesi, secondo il Tar Lazio, l’Impresa ricorrente non aveva fornito sufficienti elementi in ordine (i) alla necessità e indispensabilità dei documenti richiesti (ii) e della prevalenza di tale necessità e indispensabilità rispetto al diritto alla riservatezza commerciale della controinteressata. Del resto, secondo il Tar Lazio, ai fini dell’accesso agli atti, la preminenza del diritto di difesa non assumerebbe carattere assoluto dovendo essere invece prudentemente bilanciato con quello, opposto, alla riservatezza delle informazioni di carattere commerciale e industriale.

L’Impresa, soccombente in primo grado, ha così proposto appello in Consiglio di Stato, censurando la pronuncia del Tar Lazio sotto molteplici profili. In accoglimento di uno di questi profili, il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza gravata, esprimendo un principio ‘opposto’ rispetto a quello accolto dal Tar. Secondo il supremo consesso della giustizia amministrativa, infatti, il diritto dell’Appellante ad accedere alle informazioni e ai documenti del procedimento condotto dall’AGCM non poteva essere negato dal momento che la loro conoscenza apparirebbe strettamente connessa, necessaria e preordinata alla tutela della posizione processuale assunta con l’avvio del giudizio civile.

Nel dettaglio, il Consiglio di Stato ha sottolineato in primo luogo che la vicenda processuale ruoterebbe attorno (e deve essere dunque definita) sulla base dell’art. 24, comma 7, della l. 241/1990. Il riferimento che aveva fatto l’Autorità all’art. 11 del Regolamento AGCM sulle procedure istruttorie sarebbe errato dal momento che la previsione si riferirebbe all’accesso endoprocedimentale e non all’accesso c.d. difensivo (appunto regolato dall’art. 24, comma 7, della l. n. 241/1990).

In secondo luogo, in presenza di un interesse c.d. difensivo, l’accesso agli atti riceve una tutela particolarmente rafforzata. Infatti, il legislatore ha previsto che l’accesso “deve comunque essere garantito” ogni qual volta la “conoscenza (dei documenti) sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”. Tale accesso (e interesse) potrebbe trovare un limite esclusivamente nel confronto con dati sensibili e giudiziari (richiedendosi allora un giudizio non di semplice necessità ma di stretta indispensabilità).

Pertanto, qualora non ‘risaltino’ dei dati sensibili o giudiziari, il diritto all’accesso c.d. difensivo deve essere valutato esclusivamente rispetto alla necessità della conoscenza degli atti e documenti ai fini della difesa in giudizio. Peraltro, nel solco tracciato dall’Adunanza Plenaria con le sentenze n. 19/2020 e la n. 4/2021, tale necessità (ovvero la strumentalità o collegamento) deve essere intesa in senso ampio e la relativa valutazione va condotta in astratto, senza quindi che l’amministrazione (prima) e il giudice amministrativo (poi) debbano farsi carico di apprezzare, loro, se e in quale misura l’azione giurisdizionale sia fondata.

Sulla base di tali principi, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, nel caso di specie, sussistesse il requisito della necessità e riconoscendo dunque il diritto all’accesso agli atti e documenti del procedimento. Tale diritto è stato comunque riconosciuto nei limiti degli atti e documenti essenziali al procedimento condotto dall’Autorità, rimettendo a quest’ultima la valutazione in ordine a tale connessione. Nel caso di specie, peraltro, l’accesso agli atti seguiva alla definizione di un procedimento dell’AGCM, avviato su segnalazione della stessa richiedente, ed appariva strumentale all’azione risarcitoria già proposta, che per definizione trova nel provvedimento (e nel procedimento) dell’AGCM il proprio fulcro.

Per concludere, appaiono utili due spunti di riflessione.

A fronte dell’impossibilità dell’amministrazione di valutare la fondatezza della azione giurisdizionale, non può essere escluso che vengano presentate delle azioni ‘strumentali’ dirette non tanto a vedere riconosciuta giustizia in ambito giurisdizionale ma, piuttosto, alla presentazione di istanze di accesso agli atti finalizzate ad ottenere informazioni di terzi altrimenti precluse (ad es, di operatori concorrenti).

Va inoltre anche evidenziata la posizione dell’operatore economico controinteressato che, nel giudizio in commento, non appare del tutto irragionevole. In effetti, se per un verso, sembra condivisibile la posizione del Consiglio di Stato rispetto ai parametri dell’accesso difensivo tipizzati dall’art. 24, comma 7, della l. n. 241/1990, per altro verso, occorre tuttavia considerare la specificità del luogo di formazione e di ‘emersione’ della documentazione “contesa”. Infatti, tale documentazione si riferisce ad un procedimento amministravo del tutto peculiare, nel quale l’AGCM è titolare di poteri ispettivi piuttosto penetranti e dove l’operatore “incolpato”, per difendersi in maniera piena, ha necessità di rivelare e offrire documenti e proposte di vario genere, come ad esempio le proposte di impegni. Per cui, la prospettiva (o il timore) di dover esporre tali documenti e tali proposte ad un accesso futuro da parte di soggetti terzi potenziali concorrenti, potrebbe condizionare (o, ancor peggio, finire per comprimere) ‘a monte’ la strategia difensiva da tenere dinanzi all’Autorità. Il tutto peraltro, si potrebbe riverberare proprio sull’esercizio dei propri diritti difensivi in un giudizio civile laddove i provvedimenti dell’autorità, su cui evidentemente si basano molte di queste azioni civili (come quella dell’Impresa nel caso de quo) ne uscissero indeboliti.

Tommaso Filippo Massari

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