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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 18 dicembre 2023
Diritto della concorrenza – Europa / Intese e settore chimico – La Commissione europea sanziona per circa 47,7 milioni di euro la società Lantmännen per un’intesa relativa al meccanismo di formazione dei prezzi all’ingrosso dell’etanolo
La Commissione europea (la Commissione) ha sanzionato la società Lantmännen ek för e la sua controllata Lantmännen Biorefineries AB (congiuntamente, Lantmännen) per circa 47,7 milioni di euro per aver partecipato ad un cartello per la definizione dei prezzi all’ingrosso dell’etanolo (la Decisione) insieme alla società Abengoa SA (Abengoa) mentre Alcogroup SA (Alcogroup), inizialmente perseguita, era stata successivamente considerata non responsabile.
In particolare, le tre imprese (le Imprese) avrebbero colluso per influenzare la definizione del benchmark di riferimento elaborato dalla società S&P Global Platts (Indice Platts) al fine di artificialmente aumentare il prezzo dell’etanolo – un alcool derivante dalle biomasse ed utilizzato come biocarburante per veicoli – e di conseguenza i propri ricavi dalle vendite. L’Indice Platts veniva elaborato attraverso un processo di valutazione chiamato “Market on Close” (MOC) che analizza i prezzi delle negoziazioni avvenute nel porto di Rotterdam e nel barge market di Amsterdam-Rotterdam-Anversa (ARA) in un orario compreso tra le 16.00 e le 16.30, ora di Londra (Finestra MOC) – le piazze di negoziazione più importanti in Europa per il prezzo dell’etanolo.
L’indagine della Commissione ha rivelato che le Imprese avrebbero: (i) coordinato regolarmente tramite chat le proprie condotte commerciali prima, durante e dopo la Finestra MOC; (ii) limitato la fornitura di etanolo consegnato nell’area di Rotterdam per essere venduto durante la Finestra MOC e (iii) scambiato informazioni commercialmente sensibili.
La Decisione perviene in seguito ad un provvedimento del 21 dicembre 2021 con la quale la Commissione aveva sanzionato – a seguito di una procedura di settlement – Abengoa per circa 20 milioni di euro (già oggetto di commento della presente Newsletter) e ad un’altra decisione dello scorso maggio di chiudere l’istruttoria nei confronti di Alcogroup, senza accertare alcuna infrazione né irrogare alcuna sanzione a carico di quest’ultima. Anche Lantmännen aveva inizialmente aderito alla procedura di settlement insieme ad Abengoa, ma successivamente non aveva confermato il contenuto di quanto indicato dalla Commissione nel settembre del 2021. Ciò ha portato, dunque, la Commissione ad inviare un nuovo Statement of Objections (SO) nel giugno del 2022 per poi adottare l’attuale Decisione.
La Decisione in commento si segnala in virtù fra l’altro della peculiarità degli accadimenti relativi alla procedura di settlement, il cui infruttuoso esito ha presumibilmente contribuito alla particolare lunghezza del procedimento, iniziato nel 2015. Sarà ora interessante osservare se – come presumibile – Lantmännen impugnerà la Decisione della Commissione, e se in tale sede emergeranno in particolare le motivazioni che hanno portato alla mancata conclusione del procedimento con una transazione per questa impresa.
Fabio Bifarini
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Aiuti di Stato e disciplina fiscale – la Corte di Giustizia dell’Unione europea conferma che il tax ruling accordato dal Lussemburgo ad alcune società del gruppo Amazon non costituisce un aiuto di Stato
Con la sentenza resa lo scorso 14 dicembre 2023 nella causa C-457/21 P, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) ha confermato – sebbene per motivi parzialmente diversi da quelli decisivi in primo grado – l’annullamento disposto dal Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) della decisione della Commissione europea (la Commissione) che aveva ritenuto alcune società del gruppo Amazon (Amazon) beneficiarie di un illegittimo aiuto di Stato (la Decisione) da parte del Granducato del Lussemburgo (il Lussemburgo).
Anche in questa occasione, come già avvenuto lo scorso 5 dicembre in relazione alle cause riunite C-451/21 P e C-454/21 P (oggetto di commento della presente Newsletter), la CGUE torna a pronunciarsi in materia di tax rulings, ossia le decisioni negoziate adottate dalle autorità fiscali nazionali al fine di stabilire in anticipo il quantum e/o la metodologia di calcolo di un determinato tributo a carico di una specifica impresa.
La vicenda trae origine dalla ristrutturazione delle attività del gruppo Amazon in Europa, che aveva comportato la creazione di due diverse società, LuxSCS (titolare del diritto di sfruttamento, anche in sublicenza, di alcuni diritti di proprietà intellettuale riconducibili al marchio Amazon) e LuxOpCo (licenziataria di tali diritti, in cambio del pagamento di royalties in favore di LuxSCS). In tale contesto, l’amministrazione tributaria lussemburghese aveva concordato con Amazon le modalità di determinazione delle royalties che LuxOpCo avrebbe versato a LuxSCS, nonché il trattamento fiscale riservato a quest’ultima, ai suoi soci stabiliti negli Stati Uniti e ai dividendi distribuiti agli stessi (il Tax Ruling).
Ad avviso della Commissione, tuttavia, tale Tax Ruling aveva determinato un illegittimo aiuto di Stato, nella misura in cui avrebbe derogato al principio di c.d. arm’s length così come definito dall’OCSE in diverse linee guida (le Linee Guida OCSE), secondo cui, ai fini fiscali, nella determinazione dei prezzi di trasferimento di beni tra imprese associate – per esempio, in quanto facenti parte del medesimo gruppo – deve aversi riguardo alle condizioni che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti. Principio, questo, ritenuto dalla Commissione facente parte del sistema tributario generale applicabile in Lussemburgo, a fronte del quale valutare la selettività e il vantaggio conferito dal Tax Ruling.
Investito del ricorso promosso da Amazon e dal Lussemburgo avverso la Decisione, il Tribunale, pur riconoscendo l’applicabilità del suddetto principio e delle Linee Guida OCSE, aveva tuttavia annullato la Decisione, sottolineando diversi errori commessi dalla Commissione nella loro applicazione concreta (si veda il contributo pubblicato nella presente Newsletter).
Si giunge così dinanzi alla CGUE, la quale – come anticipato – ha confermato l’annullamento della Decisione, sebbene per motivi diversi da quelli individuati dal Tribunale, e aderendo solo parzialmente a quanto suggerito dall’Avvocato Generale Kokott nelle proprie conclusioni (anch’esse oggetto di commento nella presente Newsletter).
Secondo la CGUE, infatti, la Commissione avrebbe errato in radice nel ritenere che il principio di c.d. arm’s length e le Linee Guida OCSE costituissero “parte integrante” del quadro giuridico tributario lussemburghese vigente all’epoca del Tax Ruling; né, precisa la CGUE, può dirsi che un asserito principio di c.d. arm’s length in materia tributaria possa dirsi applicabile in tutta l’Unione europea, al di fuori dei tributi armonizzati. E dal momento che tale errore ha inciso in maniera determinante sull’individuazione del quadro normativo di riferimento, a fronte del quale valutare l’eventuale selettività e il vantaggio conferito al Tax Ruling, ciò, conclude la CGUE, risulta sufficiente ai fini dell’annullamento della Decisione.
La pronuncia della CGUE risulta di particolare rilievo in quanto rappresenta l’ennesima battuta d’arresto subita dalla Commissione in tema di tax rulings, dopo le già ricordate cause riunite C-451/21 P e C-454/21 P e, ancora prima, nelle cause riunite C-885/19 P e C-898/19 P del novembre 2022 (anch’esse oggetto di commento della presente Newsletter). Con essa, la CGUE ha pertanto avuto modo di sottolineare nuovamente come in materia fiscale, al di fuori dei tributi armonizzati, debba ritenersi che la libertà degli Stati membri di determinare la fisionomia dei propri sistemi tributari debba ritenersi massima.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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Aiuti di Stato e Regolamento de minimis – La Commissione europea ha adottato due regolamenti sugli aiuti di Stato de minimis e ai servizi di interesse economico generale
Con un press release dello scorso 13 dicembre, la Commissione europea (la Commissione) ha comunicato di aver adottato due regolamenti (i Regolamenti) atti a modificare le regole attualmente in essere – in naturale scadenza il prossimo 31 dicembre – e relative al trattamento i) degli aiuti di Stato di entità non rilevante (Aiuto di Stato De Minimis), nonché ii) degli aiuti di Stato, comunque di importo ridotto, concernenti i servizi di interesse economico generale (Aiuti di Stato SIEG).
In particolare, le modifiche – per quanto riguarda le disposizioni sugli Aiuti di Stato De Minimis – riguardano:
- l’aumento dell’importo massimo di aiuto ricevibile da una singola impresa in tre anni e considerabile de minimis, da 200.000 euro (la soglia applicabile dal 2008) a 300.000 euro. La ratio di tale modifica risiede nella necessità di tenere in debita considerazione l’inflazione che si è accumulata da allora;
- l’introduzione dell’obbligo per gli Stati membri di registrare gli aiuti de minimis in un apposito registro istituito a livello nazionale (o dell’UE) a partire dal 1° gennaio 2026; e
- l’introduzione di particolari agevolazioni ed esenzioni a favore degli intermediari finanziari, al fine di facilitare ulteriormente l’emissione di prestiti e garanzie (non richiedendo più un totale pass-on dei vantaggi dagli intermediari finanziari ai beneficiari finali).
Per quanto concerne, invece, le modifiche agli Aiuti di Stato SIEG, queste riguardano:
- l’aumento dell’importo massimo di aiuto ricevibile da una singola impresa in tre anni e considerabile de minimis da 500.000 euro (soglia applicabile dal 2012) a 750.000 euro (anche tale modifica è stata dettata dall’inflazione); e
- anche per tali aiuti, è stata disposta l’introduzione di un registro centrale (a livello nazionale o UE) in cui i singoli Stati membri, a partire dal 1° gennaio 2026, dovranno registrare gli aiuti concessi.
La Commissione ha adottato i Regolamenti (e le relative modifiche) di cui sopra tenendo in considerazione i risultati ricevuti in seguito al lancio di una consultazione avviata nel novembre 2022, a cui hanno risposto oltre 100 parti interessate.
Luca Feltrin
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e influencer digitali – L’AGCM ha sanzionato per oltre un milione di euro le società riconducibili a Chiara Ferragni e di 420 mila euro a Balocco
Con il provvedimento adottato lo scorso 14 dicembre (il Provvedimento), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato le società Fenice S.r.l. (Fenice) e TBS Crew S.r.l. (TBS) – entrambe detentrici dei diritti relativi al marchio “Chiara Ferragni” (il Marchio Ferragni), e deputate alla loro gestione – e Balocco S.p.A. Industria Dolciaria (Balocco, congiuntamente con Fenice e TBS, le Parti) per aver posto in essere una pratica commerciale scorretta.
La vicenda trae origine dalla collaborazione commerciale tra le Parti (denominata “Pandoro Pink Christmas”) in forza della quale Balocco annunciava l’immissione in commercio, nel novembre 2022, di un pandoro “griffato” con il Marchio Ferragni, pubblicizzando tanto in un suo comunicato stampa aziendale, quanto sul cartiglio della confezione del pandoro – e parallelamente anche sui canali social di Chiara Ferragni –, il proprio impegno verso l’Ospedale Regina Margherita di Torino nel “finanziare l’acquisto di un nuovo macchinario che permetterà di esplorare nuove strade per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing”.
Nel procedimento aperto dall’AGCM in merito alla Pandoro Pink Christmas in seguito alla segnalazione pervenuta dall’Associazione Utenti dei Servizi Radiotelevisivi (il Procedimento), è emerso che l’unica somma devoluta in beneficenza da parte di Balocco è stata di 50 mila euro, i quali erano peraltro stati donati a maggio 2022, dunque ben prima dell’iniziativa in questione. Tale somma è risultata essere stata devoluta una tantum in ossequio agli accordi contrattuali intercorrenti tra le Parti, e, in base alla documentazione contrattuale esaminata nel Procedimento, non sarebbe stata prevista alcun’altra donazione legata ai ricavi derivanti dalla vendita dei pandori con il Marchio Ferragni.
Secondo la ricostruzione dell’AGCM, il consumatore medio sarebbe stato tratto in inganno da una rappresentazione falsata dell’iniziativa, che induceva a ritenere che vi fosse una correlazione tra la vendita del pandoro con il Marchio Ferragni ed il quantum da destinare in una successiva donazione all’Ospedale Regina Margherita. Al riguardo, l’AGCM ha addotto che il prezzo medio di vendita di 9,37 euro del panettone griffato con il Marchio Ferragni rispetto ai 3,68 euro del panettone tradizionale di Balocco, con il quale non vi è alcuna differenza, se non nella confezione di maggior pregio, sarebbe stato un ulteriore elemento determinante nell’ingenerare l’idea che tale sovrapprezzo fosse giustificato dalle istanze solidaristiche dell’iniziativa.
Alla luce di quanto emerso in sede istruttoria, l’AGCM ha ritenuto che il messaggio pubblicitario veicolato fornisse una rappresentazione scorretta dell’iniziativa benefica relativa al reperimento dei fondi da destinare in beneficenza, falsando la percezione del consumatore nel poter contribuire a tale iniziativa. Pertanto, Balocco e le società riconducibili a Chiara Ferragni sono state sanzionate rispettivamente per 420.000 euro e per poco più di 1 milione di euro.
Il caso in commento risulta essere di particolare interesse poiché testimonia come la tutela consumeristica si estrinsechi anche al di fuori dei canali pubblicitari tradizionali, ed interessi altresì i c.d. influencer.
Giuseppe Schinella
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Appalti, concessioni e regolazione / Diritto amministrativo e settore Farmaceutico - Il Tar Lazio rinvia alla Corte costituzionale il pay-back sui dispositivi medici
Con l’ordinanza 17553 del 2023 il TAR Lazio ha rinviato alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale relativa al c.d. meccanismo di pay-back previsto a carico delle aziende che forniscono dispositivi medici per il Servizio sanitario nazionale. Al superamento di determinati livelli di spesa pubblica, tale meccanismo impone a queste aziende di restituire una parte dei corrispettivi che hanno incassato per la vendita di dispositivi medici ad enti del sistema sanitario nazionale.
Il meccanismo di “pay-back” è stato originariamente introdotto con l’art. 9 ter del d.l. 18 giugno 2015 n. 78, come strumento per contenere la spesa pubblica sui dispositivi medici e con l’obiettivo di ripianare l’eccedenza di spesa rispetto ai limiti programmati fissati a livello nazionale. Lo strumento prevede la ripartizione della spesa eccedente tra le regioni e i fornitori di dispositivi medici, chiamati a restituire parte del corrispettivo ricevuto dall’amministrazione, più specificamente il 40% per l’anno 2015, il 45% per il 2016, e 50% per il 2017 e 2018.
Tuttavia, il meccanismo di pay-back è rimasto lettera morta sino al 2022, in mancanza dei provvedimenti attuativi. Con il d.l. n. 115 del 2022, il legislatore ha modificato la disciplina sul pay-back introducendo la possibilità di applicare questo meccanismo a carico delle imprese retroattivamente a partire dal 2022. Il Ministerio della Saluto ha quindi individuato i criteri per la definizione del tetto di spesa regionale per gli anni 2015- 2018 e le Regioni hanno provveduto ad emettere i provvedimenti per il recupero degli importi nei confronti delle singole aziende fornitrici.
Diverse aziende hanno quindi impugnato questi atti contestando l’illegittimità costituzionale della disciplina che introduceva l’obbligo di pay-back.
Il TAR Lazio ha ritenuto la questione non manifestamente infondata e l’ha rimessa alla valutazione della Corte costituzionale. In particolare, il TAR Lazio prospetta la possibile violazione dei seguenti articoli costituzionali: dell’art. 23 Cost. perché imporrebbe il rimborso retroattivamente; dell’art. 41 in quanto comprime l’attività imprenditoriale attraverso prescrizioni eccessive, poiché al momento della presentazione dell’offerta nella procedura di gara l’azienda non è in grado di comprendere se gli verrà richiesto il 50% del corrispettivo ricevuto e quale sarà l’utile finale ottenuto dalla vendita; dell’art. 3 e dell’art. 117 Cost. in quanto le aziende partecipano al ripianamento dei costi di eccedenza della spesa pubblica senza partecipare alla determinazione del tetto di spesa, senza poter scegliere la quantità di prodotto vendere alle Regioni e quindi partecipare al contenimento della spesa, e soprattutto, senza conoscere in alcun modo il livello di spesa annuale dell’Amministrazione al momento della presentazione dell’offerta.
Il meccanismo di pay-back non è stato applicato solo al settore dei dispositivi medici. Infatti, esiste anche un analogo meccanismo di pay-back nel settore farmaceutico su cui la Corte costituzionale si è già pronunciata con sentenza n. 70 del 2017. In quel caso, la Corte ha confermato la legittimità costituzionale dell’istituto, ritenendo preminente l’interesse allo sviluppo e la disponibilità dei farmaci innovativi. L’ordinanza di rinvio del TAR Lazio mette in evidenza che questo elemento è assente nella disciplina del pay-back sui dispositivi medici.
Giulia Valenti
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Agcom e gioco d’azzardo online – Sanzionate per complessivi oltre 3 milioni di euro Google e Twitch per aver violato il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo
Con le due delibere pubblicate l’11 dicembre 2023 (le Delibere), l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) ha sanzionato le società Google Ireland Limited (Google) e Twitch Interactive Germany GmbH (Twitch) per aver violato le disposizioni di cui all’articolo 9 del c.d. Decreto Dignità che vietano qualsiasi forma di pubblicità (anche indiretta) del gioco d’azzardo o di scommesse con vincite in denaro, effettuate mediante qualunque mezzo di diffusione.
L’Agcom ha individuato sulle piattaforme YouTube (di cui Google è proprietaria) e Twitch rispettivamente 47 e 45 canali, contenenti migliaia di video con finalità promozionale diretta o indiretta del gioco d’azzardo. Nelle Delibere, l’Agcom ha operato una valutazione circa la responsabilità di Google e Twitch, in considerazione della loro natura di hosting provider e, in particolare, ai sensi della nuova normativa sui servizi digitali – c.d. Digital Services Act (DSA). Infatti, l’Agcom ha richiamato principalmente la disposizione di cui all’articolo 6 del DSA, il quale esclude la responsabilità dell’hosting provider nel caso in cui esso (i) non sia a conoscenza dei contenuti illegali; o (ii) non appena venga a conoscenza di tali contenuti illegali, agisca immediatamente per rimuoverli. Al fine di verificare l’applicabilità di tale disposizione ai canali oggetto della violazione, l’Agcom ha richiamato la prassi di verifica delle informazioni e dei contenuti condivisi attraverso le piattaforme YouTube e Twitch, evidenziando che per entrambe le piattaforme esistono due distinte tipologie di canali, ossia quelle appartenenti ai content creator non verificati o c.d. “comuni” e quelle dei content creator verificati o “partner”.
Con riferimento ai content creator comuni, la dichiarazione di conformità alla legge dei contenuti avviene mediante la semplice accettazioni dei termini e condizioni di utilizzo della piattaforma al momento dell’apertura del canale, in maniera automatizzata e “passiva”, tale da escludere che il provider in questo caso possa essere a conoscenza della tematizzazione o dei contenuti del canale. Conseguentemente l’Agcom ha ritenuto applicabile l’articolo 6 del DSA a questi canali per entrambe le piattaforme (per un totale di 20 canali di YouTube e 19 di Twitch).
Viceversa, con riferimento ai content creator verificati, è presente una seconda fase contrattuale fra gli utenti e la piattaforma al raggiungimento di determinate soglie di “popolarità”, che conduce alla conclusione di un accordo di partnership commerciale. Tale accordo prevede un controllo dei contenuti e delle informazioni, non più automatizzato ma umano, per verificare l’idoneità dei contenuti alla partnership. In ragione di tale ulteriore controllo (e contrariamente a quanto obiettato da Google e Twitch) l’Agcom ha ritenuto che esse fossero a conoscenza dei contenuti illegali ben prima della contestazione da parte dell’Agcom e che, pur avendo appreso della situazione, non avessero immediatamente provveduto alla rimozione. Pertanto, ha ritenuto inapplicabile ai restanti canali (27 di YouTube e 26 di Twitch) l’articolo 6 del DSA.
Inoltre, l’Agcom ha deciso di ridurre ulteriormente il numero di canali oggetto di contestazione ricomprendendo solo quelli che diffondono contenuti prevalentemente destinati al pubblico italiano, per un totale di 15 canali YouTube e 6 canali Twitch. Considerando ciascun canale come una singola condotta in violazione dell’articolo 9 del Decreto Dignità, ha infine applicato il cumulo materiale e sanzionato Google per oltre due milioni e Twitch per 900 mila euro.
Sebbene la decisione si collochi nel noto filone relativo alla responsabilità dell’hosting provider, è interessante notare come l’Agcom abbia per la prima volta fatto ricorso alle norme contenute nel DSA per valutare tale responsabilità. Infine, si segnala come, con riguardo ad una analoga fattispecie, l’applicazione dell’articolo 6 del DSA ha condotto ad un esito diverso per la piattaforma TikTok, nei confronti della quale l’Agcom ha archiviato il procedimento, non ravvisando alcuna responsabilità della piattaforma.
Irene Indino
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